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Tre anni di legge sul “dopo di noi”: passare dal bisogno ai diritti

Il dopo di noi ha stabilito nuovi diritti sociali, ora bisogna garantirne l’accessibilità. È questa la questione centrale per rinnovare il nostro welfare. Non è mistero per nessuno che la legge ha tante difficoltà di realizzazione perché non é ancora accompagnata da una “cultura sociale”, disseminata nelle nostre comunità, ma è mia ferma convinzione che la legge sul dopo di noi può essere leva per un rinnovamento del welfare state in favore di un welfare di prossimità e generativo

di Annamaria Parente

Il 25 giugno del 2016, esattamente tre anni fa, é entrata in vigore la legge sul dopo di noi. Per questo importante anniversario abbiamo organizzato a Milano nei giorni scorsi, insieme a Michele Falzone, Marco Morganti, Monica De Paoli, Angela Silvia Pavesi e tanti altri una plenaria del "Comitato Officina dopo di noi” e in Senato a Roma con l’Associazione "Come dopo di noi” la presentazione del libro Sará una missione di Marina Morelli insieme a Pierluigi Gargiulo, Fausto Giancaterina, Fabrizio Pavarotti e Livia Turco.

Obiettivo per me, a tre anni dalla legge, é continuare a creare massa critica intorno al dopo di noi per passare dal bisogno al diritto. Per questo cerco di tenere insieme, attraverso esperienze concrete, famiglie, madri, padri, istituzioni, privato sociale, terzo settore, fondazioni, professionisti, notai, avvocati, architetti, istituti finanziari, cooperative, associazioni di volontariato perché la battaglia comune é quella di mettere al centro il progetto individuale o personalizzato, come é nello spirito della 112/2016, nel “durante noi” , quando cioé i genitori e i parenti sono ancora in grado di accudire i familiari con disabilitá.

Il mio timore è che in molti casi si stiano spezzettando gli interventi, finanziandoli “ a pezzi” e perdendo di vista che il percorso deve partire quanto prima ed essere modulato in tutto l’arco della vita, trovando il modo di coinvolgere anche chi ha una disabilitá lieve. Infatti mettere al centro la persona e la sua famiglia attraverso la “presa incarico” dei servizi territoriali, in una logica di integrazione socio sanitaria, è il cuore della legge e la nuova frontiera dei diritti sociali.

È mia ferma convinzione che la legge sul dopo di noi può essere leva per un rinnovamento del welfare state in favore di un welfare di prossimitá e generativo che mette insieme tutti i soggetti ed intere comunitá e si fa esso stesso esperienza di progetti di integrazione, a partire dalle persone più vulnerabili. Il richiamo della legge ai principi della Convenzione ONU con il diritto all’autonomia di tutte le persone per favorire il loro benessere e la piena inclusione deve determinare un coordinamento tra politiche scolastiche, lavorative, abitative, sanitarie. E qui quindi si apre tutto il tema dell’esigibilità dei diritti. Il dopo di noi ha stabilito nuovi diritti sociali, ora bisogna garantirne l’accessibilità. È questa la questione centrale per rinnovare il nostro welfare. Non è mistero per nessuno che la legge ha tante difficoltá di realizzazione perché non é ancora accompagnata da una “cultura sociale”, disseminata nelle nostre comunitá.

Deve prevalere la logica del servizio come mediazione, accompagnamento, cura della persona per permettere ad ogni famiglia di esercitare il diritto ad un progetto di dopo di noi. Quindi è necessario sostenere “ chi aiuta” , aumentare le risorse per assumere assistenti sociali, formarle e valorizzarle ed avere una organizzazione dei servizi territoriali adeguata. Ma ognuno deve fare la sua parte.

Dal punto di vista parlamentare a tre anni dalla legge, è necessario valutare il monitoraggio dell’attuazione del provvedimento che il Governo è tenuto a presentare alle Camere e pensare eventuali modifiche; lo Stato nazionale potrebbe valutare, nel rispetto delle competenze regionali su tali materie, la predisposizione di linee guida con l’obiettivo principale di semplificare gli atti amministrativi per rendere accessibile la comprensione e l’attuazione delle normative. Le Regioni, d’altro canto, possono e devono favorire l’integrazione socio-sanitaria, coordinarsi tra di loro per diffondere buone pratiche e fare in modo che il diritto ad un dopo di noi sia uguale nell’intero territorio nazionale. Comuni e Regioni dovrebbero trovare le strade per tenere unita, anche attraverso costituzioni di fondazioni ad hoc, la parte della legge istituzionale e pubblica con quella “ privatistica” che prevede la segregazione del patrimonio della persona con disabilitá, anche per aiutare le famiglie che non hanno disponibilitá economiche e immobiliari.

Il privato deve partecipare ai progetti non più in una dinamica di “appalto” ma cooperativistica. Le associazioni di volontariato e di terzo settore hanno il compito di divulgare esempi di progetti attuati per incoraggiare le altre famiglie. La coprogettazione, che sta alla base della realizzazione della legge abbisogna del “calore “ degli operatori, delle cooperative, delle comunitá, ma anche di esempi e di modelli cui ispirarsi.

Per parte mia continuerò, insieme alle reti di persone e mondi associati che stiamo connettendo, ad impegnarmi per diffondere la legge, aiutare le famiglie e le associazioni a costituirsi parte civile e ad elaborare class action per far valere i propri diritti, specialmente di chi é ad alta intensitá di assistenza, a portare le loro istanze a tutte le cittadine ed i cittadini di un territorio, a sperimentare progetti integrati partecipati per un nuovo welfare che renda esigibile i diritti sociali.

*Annamaria Parente è stata relatrice in Senato per lalegge 112/2016 ed è attualmente Vice Presidente della Commissione Lavoro del Senato. Per contattarla annamaria.parente@senato.it


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