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Troppo facile guardarli da morti

Dovremmo guardare il viso concitato di Oscar Alberto Martinez e della piccola Angie Valeria mentre si accingono a guadare il Rio Grande verso gli Stati Uniti. Quello che più dovrebbe sconvolgerci è che non siamo capaci a guardarli da vivi. Davanti al Rio Grande o sulle navi davanti alle nostre coste

di Elena Granata

Troppo facile guardarli da morti. Troppo facile guardarli ora, quando resta solo il movimento muto dei loro corpi tra le fronde e l’acqua melmosa. Troppo facile esporli sull’ostensorio dei social: un giovane padre e la sua piccola bambina privi di vita, riversi a pancia in giù, sono perfetti per suscitare un leggero movimento di contrizione collettiva. Leggero come un venticello.

Troppo facile sentire ora quella stretta allo stomaco e la voglia di non guardare più. Quel misto di nausea e di rabbia, di pietà e di tenerezza.

Quello che più dovrebbe sconvolgerci è che non siamo capaci a guardarli da vivi.

In quegli attimi che precedono la morte. Prima che i polmoni si riempiano d’acqua e la testa si annebbi. Non sappiamo guardare la vita (e la disperazione) che li spinge alla fuga e al rischio. Dovremmo guardare il viso concitato di Oscar Alberto Martinez e della piccola Angie Valeria mentre si accingono a guadare il Rio Grande verso gli Stati Uniti. Quel giovane uomo, così simile a uno dei nostri figli, all’uomo che amiamo, fa quello che ciascun padre farebbe: si lega stretto a sé la bambina, ancorandola con la propria t-shirt, sollevata in vita. È accorto, teme che gli possa venire strappata dalla forza dell’acqua. Angie si tiene agganciata al papà con il braccio, come fanno tutti i bambini piccoli, con un istinto di sopravvivenza. Oscar cura i dettagli, ha paura che la bambina possa perdere le scarpe, per questo si è assicurato di legarle tra loro.

Quando abbiamo i bambini piccoli ci sentiamo invincibili e insieme fragilissimi. Nei più terribili incubi ci sogniamo di smarrirli tra la folla, di vederli affogare, che possano cadere in un anfratto. Per questo Oscar Alberto si è infilato la bambina dentro la maglia.

È la sua disperata forza vitale – in tutto e per tutto simile alla nostra – che dovrebbe farci urlare di dolore, rubare il sonno e inquietare le ore. E dovrebbe farci vergognare di noi stessi, ogni volta che non proviamo quello stesso moto di umanità vedendo gli umiliati del Mare sulle navi davanti alle nostre coste, i penitenti della Terra davanti al filo spinato delle nostre frontiere.

Sarebbe meglio ci fosse appesa al collo una macina girata da asino e fossimo gettati negli abissi, ogni volta che piangiamo i morti e non ci adoperiamo per salvare i vivi.

da cittanuova.it del 26/6/2019


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