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Sostenibilità sociale e ambientale

The Fashion Experience, obiettivo moda #madeinjustice

Fino al 30 giugno in quella che viene considerata la capitale della moda si può visitare l’installazione realizzata da Mani Tese che punta a far conoscere a quante più persone possibile “la verità su quello che indossiamo”. Un percorso a impatto, guidati dai volontari dell’organizzazione, per arrivare a un consumo consapevole e responsabile dell’abbigliamento

di Antonietta Nembri

Ultimi giorni per visitare “The fashion esperience – la verità su quello che indossi”, l’installazione interattiva di Mani Tese allestita in piazza XXIV Maggio a Milano fino a domenica 30 giugno. Il progetto realizzato in partenariato con il Comune di Milano e il contributo dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo ha l’obiettivo di sensibilizzare i milanese, e non solo loro, sul vero costo della “fast fashion”, la moda usa e getta che in questi ultimi anni si è enormemente diffusa.
Grazie ai tre dome, strutture geodetiche a pianta circolare che sono sono state montate in piazza, i visitatori saranno guidati alla scoperta del vero “costo” degli abiti che indossano tutti i giorni.

Il primo dome è dedicato all’impatto ambientale della filiera tessile. In questa prima tappa le persone possono sperimentare gli effetti ambientali delle proprie scelte di consumo. The fashion experience rivela, infatti, che per produrre un singolo paio di jeans è necessario impiegare 3.800 litri d’acqua, 12 m2 di terreno e 18,3 Kwh di energia elettrica, a fronte di un’emissione di 33,4 kg di CO2 equivalente durante l’intero ciclo di vita del prodotto. Un impatto che assume dimensioni impressionanti se si considera che ogni anno in tutto il mondo vengono prodotti 3 miliardi e mezzo di jeans.

Il secondo dome si concentra sulle problematiche sociali legate alla filiera del tessile affrontando il tema dello sfruttamento del lavoro minorile attraverso dei video in realtà aumentata che illustrano la vita di una bambina come dovrebbe essere e come invece è in molte realtà del cosiddetto Sud del mondo. Nell’industria dell’abbigliamento i casi di sfruttamento minorile riguardano tutta la filiera, ricorda Mani Tese, e i bambini possono lavorare fino a 12 ore al giorno.

Nel terzo dome i visitatori hanno una triplice possibilità d’interazione.
Possono mettere a confronto una filiera etica con una filiera non sostenibile attraverso la voce di due capi d’abbigliamento (un cappellino e un paio di sneakers) che raccontano il loro viaggio dai campi di cotone fino agli scaffali dei negozi.
Possono accedere al data base “Good News – Si può fare” in cui sono raccolte le migliori storie di innovazione etica di alcune imprese.
Possono, infine, interagire con i propri brand preferiti, facendosi promotori di un’evoluzione positiva del mercato attraverso l’invio di una mail di proposta di cambiamento in direzione sostenibile.

«Per cambiare l'attuale modo di fare impresa serve il coinvolgimento di tutti. Ognuno deve fare la sua parte. Il nostro compito come società civile è quello, da una parte, di alimentare la coscienza critica dei cittadini, giovani in primis, rendendoli protagonisti attivi nella costruzione di un mondo più equo e sostenibile», afferma Giosuè De Salvo, responsabile Advocacy, Educazione e Campagne di Mani Tese. «Dall'altra, è quello di monitorare gli impatti delle attività di impresa sulle comunità più svantaggiate e promuovere una cultura imprenditoriale che metta finalmente al centro i diritti umani e l’ambiente».

De Salvo osserva che i segnali «sono incoraggianti soprattutto nel settore tessile, che è stato infatti scelto per la nostra installazione, ma il tempo scarseggia. Il 2030 è l’anno fissato dalle Nazioni Unite per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, tra cui dimezzare la povertà, eliminare la fame ed evitare la catastrofe climatica. Per rendere sistemiche tutte le buone pratiche di produzione e consumo servono quindi istituzioni politiche forti e credibili che guidino la transizione e perseguano il bene comune».

Per scoprire come diventare dei consumatori consapevoli e responsabili di “slow fashion” è a disposizione un decalogo che viene distribuito al termine dell’installazione.
Ma c’è anche la possibilità di farsi promotori del cambiamento “mettendoci la faccia”: ci si può fare una foto o un selfie davanti al pannello con la scritta “Voglio una moda “#madeinjustice”


In apertura immagine di 2019 © Claudio Montesano Casillas


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