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Sofia e Bucarest più vivibili di Roma, Napoli e Palermo

I dati del focus "Città la crisi dell'abitare e la mappa dei disagi" promosso da Confcooperative Habitat e realizzato in collaborazione con Censis e Confcooperative. Sono oltre 6 su 10, i giovani tra i 18 e i 34 anni che vivono in famiglia. La casa più che un sogno è un incubo per 1,6 milioni di famiglie in affitto sul mercato in difficoltà a sostenere le sole spese di affitto. Infine se il 40% degli italiani chiede più comunità, 7 su 10 sono a disagio con uno straniero vicino di casa

di Redazione

Sofia e Bucarest sono più vivibili di Roma, Napoli e Palermo. A dirlo sono i giudizi dei cittadini su trasporti, pulizia e condizioni delle strade. E le cose non vanno meglio per quanto riguarda l’abitare, un incubo più che un sogno per almeno 1,6 milioni di famiglie in affitto sul mercato in difficoltà a sostenere le sole spese di affitto. Per non parlare dei 60mila sfratti all’anno: 160 al giorno, festivi compresi. E che dire dei giovani? Sono sei su 10 quelli che – tra i 18 e i 34 anni – vivono ancora con i genitori. Nella fascia tra i 24 e i 35 anni sono addirittura 1 su 2, un abisso di differenza rispetto ai circa 1 su 10 di Germania, Regno Unito e Francia. La crisi inoltre ha ridotto fortemente le capacità reddituali sia degli under sia degli over 35. Non sono che alcuni dei dati che emergono dal focus “Città, la crisi dell’abitare e la mappa dei disagi” promosso da Confcooperative Habitat e realizzato in collaborazione con Censis e Confcooperative.

«Un disagio economico, sociale, amministrativo. È questo quanto ci consegna il focus Censis. Città che perdono qualità, giovani che non trovano occupazione e non riescono ad affrancarsi dalle famiglie» dice Maurizio Gardini presidente di Confcooperative. «Una crisi che ha punto a fondo e relega ancora ampie fette di paese in un cono di difficoltà economica che genera rancore anche se alcune misure di contrasto alla povertà, a partire dal Reddito di Cittadinanza, dovrebbero favorire un miglioramento nel medio periodo».
Secondo Alessandro Maggioni, presidente di Confcooperative Habitat, «i dati emersi dal focus Censis sono indicativi di un malessere diffuso nelle nostre città e proprio per ridare centralità all’abitare, alla persona, alle relazioni abbiamo dato vita alla “Carta dell’Habitat” ideata per Confcooperative da Giancarlo Consonni professore emerito di Urbanistica del Politecnico di Milano». Maggioni ne elenza i punti distintivi: «1) polis, politica e habitat: un legame profondo; 2) promuovere l’arte di abitare; 3) perseguire un nuovo patto tra le generazioni; 4) fare città nell’era delle metropoli; 5) porre l’urbanità al centro delle relazioni; 6) ridare centralità all’abitare; 7) armare la città di convivenza civile; 8) curare la capacità riproduttiva della terra; 9) rafforzare la propensione inclusiva della città; 10) rinnovare l’equilibrio fra dovere e dono con la bellezza civile».

I dati sulla vivibilità

Roma, Napoli e Palermo sono i fanalini di coda in Europa, in una classifica che vede nell’indagine sulla percezione della qualità della vita in testa Zurigo, Helsinky e Vienna. Cause principali del collasso sono: pulizia, trasporto pubblico e le condizioni di strade ed edifici. A Roma solo 9 abitanti su 100 sono soddisfatti della pulizia, a Palermo solo il 7%, nessuno in Europa fa peggio.
Il disagio sociale fa il paio con quello economico acuito dalla crisi iniziata nel 2009 e ancora non pienamente superata. E così nell’indagine 2016 sulla percezione della qualità della vita svolta presso i cittadini di un panel di città europee Roma, Napoli e Palermo vengono superate quanto a soddisfazione dei cittadini anche da Sofia e Bucarest.

Gli effetti della crisi sull’abitare

La prima dimensione critica, per molti aspetti la più grave, dell’abitare contemporaneo riguarda la disponibilità e accessibilità stessa del bene casa, in un contesto segnato dalle dinamiche di impoverimento. In questo contesto – osserva una nota di Confcooperative – cresce la quota di affitto tra le famiglie a basso reddito: prima della crisi si attestava sul 36% (poco più di un terzo del totale) oggi è intorno al 44%.

E cresce anche tra i giovani. Dal 2007 al 2017 le famiglie under 35 proprietarie dell’immobile in cui vivono sono scese del 14%, passando dal 74 al 60%, mentre la quota di quelle in affitto è salita dal 25 al 39%. Le famiglie con principale percettore di reddito di età compresa tra i 35 e i 44 anni proprietarie sono invece calate del 9%, passando dal 79 al 70%, nella stessa fascia di età quelle in affitto sono passate dal 21 al 29%.

L’affitto è una condizione abitativa tipica delle città. Dei 4 milioni di famiglie in affitto circa il 40%, 1,6 mln, è in condizioni di disagio abitativo in relazione ai costi. Addirittura tra le famiglie in affitto sul mercato ben il 28% dichiara di sostenere una spesa per la casa che supera il 40% del reddito. Con la crescita degli affitti e delle difficoltà economiche ha fatto lievitare gli sfratti che in 9 casi su 10 sono dovuti a morosità.
Nel 2017 ogni giorno, festivi compresi, sono state raggiunte da uno sfratto 160 famiglie. I provvedimenti interessano nuclei famigliari economicamente fragili, spesso da tempo in graduatoria per un alloggio popolare, che vanno ad ingrossare l’area della precarietà. La realizzazione di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica è ai minimi storici. In pratica per ogni nuova abitazione sociale ci sono circa 6 famiglie oggetto di sfratto.

L’indisponibilità di case in affitto a basso costo insieme alla difficoltà a trovare un lavoro stabile, al protrarsi degli studi, determina la lunga permanenza dei giovani in famiglia e il risultato è che si rimane a casa con mamma e papà fino a 34 anni.
Il 66,4% dei giovani italiani, tra i 18 e i 34 anni, vive ancora con i genitori, con una forte differenza tra le donne (56,9%) e gli uomini (68%), ma soprattutto una consistente differenza con la media europea, che si attesta al 48,1%. Se consideriamo poi la fascia 25-34 anni scopriamo tristemente che interessa il 49,3% dei giovani.

Un altro dato che emerge dall’indagine è che se cresce la voglia di comunità dall’altro si prova disagio ad avere vicino uno straniero.
L’abitare e la casa sono, dunque, al centro di una crisi molto forte, una crisi che ha origine nel sempre più difficile accesso al bene casa, specie nelle grandi aree urbane, da parte di segmenti consistenti della società, connotati da una precarietà reddituale e lavorativa. Ma che riguarda anche la bassa qualità dello spazio fisico e dei servizi di tante aree urbane del Paese, da cui deriva una diffusa insoddisfazione da parte dei cittadini. E che tocca i temi della convivenza sociale in una società complessa come quella attuale dove spesso si registrano e si alimentano tensioni piuttosto che lavorare sulle relazioni. È forte il desidero insoddisfatto di comunità (a 4 abitanti su 10 delle grandi città piacerebbe abitare in un quartiere dove le persone si conoscono e si frequentano) ma si prova disagio ad avere come vicino uno straniero. I grandi centri sono sempre meno luoghi adatti a creare legami e sempre più ambienti dove erigere muri o barriere invisibili, ma spesse.

Infine vi è la dimensione critica quella legata alla trasformazione del territorio e alla dimensione ambientale, dimensione connotata da una difficile transizione tra un modello di intervento fortemente impattante e dissipativo ad un modello basato sulla rigenerazione sostenibile dell’esistente.

L’abitare e la trasformazione del territorio

Il nostro è uno dei Paesi europei con la più alta quota percentuale di territorio nazionale artificializzato: il 6,9% contro una media Ue del 4,2%. Il modo in cui si è dato risposta alla forte domanda abitativa e di attrezzature legata ai processi di urbanizzazione è stato per decenni quello di espandere la città consumando nuovo suolo, e allungando con grave ritardo, ingenti costi e molte carenze, la rete dei servizi urbani. Un vero e proprio spreco di territorio. Un modello evidentemente insostenibile.

Primi segnali si registrano dell’emergere di un nuovo paradigma legato alla riqualificazione dell’esistente. Negli ultimi anni, dopo la lunga stagione del boom immobiliare, il giro d’affari delle attività di ristrutturazione e riqualificazione del patrimonio edilizio esistente è ormai largamente superiore a quello generato dalle attività di costruzione di nuovi edifici, che invece ha subito un pesante ridimensionamento. In particolare con riferimento alla sola edilizia residenziale (che rappresenta oggi in Italia il 51,5% del volume totale di investimenti del settore), la manutenzione straordinaria, cioè il recupero e la valorizzazione del patrimonio abitativo esistente, nel 2017 ha coperto oltre il 70% degli investimenti residenziali, rappresentando in termini di volume di investimento due volte e mezzo il nuovo: 17,8 mld di euro di investimenti in nuove costruzioni contro 46,2 mld di investimenti in manutenzione straordinaria. Nel 2007 erano 40 mld di investimenti in nuove costruzioni e 43 mld di euro di investimenti in manutenzione.

Serve tuttavia un salto di scala. In questa direzione ad esempio, la rigenerazione del patrimonio pubblico, potrebbe avere effetti assai rilevanti, se si pensa che la sola Agenzia del Demanio gestisce oltre 30mila fabbricati per un valore di 56,2 miliardi di euro. Un patrimonio immobiliare esteso, diffuso e variegato, il cui anche parziale riuso, legato a nuove funzioni (dall’abitativo, al sociale, al produttivo alle diverse modalità di mix funzionale), avrebbe impatti multidimensionali molto significativi.

In apertura image by sebagee from Pixabay


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