Welfare & Lavoro

Servizi sociali deviati: ci vuole una commissione indipendente che vigili sugli affidi

Nel mondo dell’affido le situazioni inadeguate sono molteplici. Ci sono ragioni economiche, ma anche pochissimi controlli sull’operato di chi è chiamato a tutelare i bambini: politici, i dirigenti comunali e assistenti sociali. Cosa ci vorrebbe? Una proposta: ogni regione abbia una commissione indipendente, mista, che valuti i servizi di altre regioni. E per ogni affido si preveda un'associazione di supporto

di Riccardo Ripoli

Nel mondo dell’affido le situazioni inadeguate sono molteplici. La causa principale è molto spesso legata al fatto che mancano controlli sull’operato di chi è chiamato a tutelare i bambini: nell’ordine i politici, i dirigenti comunali e gli assistenti sociali. Ci sono regole ben delineate nella legge 28 marzo 2001, n. 149, ma spesso vengono disattese, anche a causa dell’assenza di effetti sanzionatori in caso di mancata osservanza. Così recita il comma 2 dell’art. 5 della legge citata: «Il servizio sociale, nell’ambito delle proprie competenze, su disposizione del giudice ovvero secondo le necessità del caso, svolge opera di sostegno educativo e psicologico (…)».
Ogni bambino che viene dato in affidamento ha problemi che se non risolti in tempo possono portare a gravi conseguenze, rendendo vano qualsiasi successivo intervento. L’accoglienza di un minore in affido è cosa non facile per la famiglia affidataria, specie in presenza di altri figli. La separazione da un figlio, seppur momentanea, è cosa difficile da capire e superare per la famiglia naturale. Il sostegno psicologico è quindi indispensabile in ciascun caso di affidamento per tutti i soggetti interessati, ma molto spesso è negato per mancanza di fondi o per eccesso di impegni dello psicologo incaricato. Capita così che passino mesi tra un incontro e l’altro, perché sempre troppo poche sono le figure professionali presenti in ciascun Comune. Il motivo? Sempre lo stesso: le disponibilità finanziarie. Quindi in buona sostanza un servizio così importante viene rifiutato e molti affidi sono destinati a fallire (si parla dell’80% dei casi!) per mancanza di soldi. Non aiutare un bambino oggi significa sottoporlo al rischio di diventare con buona probabilità un delinquente domani, con il non trascurabile aggravio, anche in termini economici, dei riflessi negativi per la società (ospedali, SERT, carcere, figli a loro volta problematici). E questo non deve accadere.

La suddetta legge, all’articolo 38, recita testualmente: «Le Regioni determinano le condizioni e modalità di sostegno alle famiglie, persone e comunità di tipo familiare che hanno minori in affidamento, affinché tale affidamento si possa fondare sulla disponibilità e l’idoneità all’accoglienza indipendentemente dalle condizioni economiche». La legge dice “secondo le necessità del caso”, ma… chi lo decide? L’assistente sociale? Certo, può proporlo, ma poi il dirigente può negare la misura, oppure il politico non dare copertura al servizio. Chi esercita il controllo su tutto questo? Se un assistente sociale propone l’affido e il Tribunale sulla base di quanto relazionato dal servizio accoglie tale richiesta, chi può dire se tale relazione corrisponde al vero? Chi può verificare questo? Se un bambino viene segnalato al servizio sociale per il suo comportamento o per altro da parte della scuola, da associazioni ludiche o sportive che egli frequenta, chi può dire se il caso viene esaminato dal servizio e se questo avviene in modo adeguato e corretto? Quali strumenti abbiamo per accertare questo? E se un bambino è in affido e il servizio sociale decide che è arrivato il momento del rientro in seno alla famiglia di origine, chi può dire se l’assistente sociale sta agendo secondo coscienza e con obiettività piuttosto che imbeccata dal proprio dirigente con motivazioni relative più ad un meschino risparmio di costo piuttosto che alla reale esigenza e giustizia di un rientro in famiglia? E chi può valutare la continuità degli affetti con la famiglia affidataria così come prescrive la legge (legge n. 173/2015 – modifica alla legge 4 maggio 1983 n. 184 sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare)? Chi controlla tutto questo?

Molti altri esempi si potrebbero fare su situazioni dove i servizi sociali dicono l’ultima parola e nessuno è in grado di controllarli valutando effettivamente il loro operato. È pacifico che gli assistenti sociali dei Comuni sono da questi stipendiati, e difficilmente – purtroppo – avranno l’ardire di mettersi contro il proprio dirigente o politico che intimi loro di portare il caso verso una strada piuttosto che un’altra. L’idea che l’assistente sociale tuteli i bambini sempre è comunque è pura utopia e quindi un controllo sulle loro decisioni è doveroso ed importante. I recenti casi di cronaca – solo la punta di un iceberg! – ne sono la viva testimonianza.

Occorre pertanto un organo di controllo che sia chiamato a valutare l’operato degli assistenti sociali nel delicato tema dell’affido (e non sarebbe poi cosa negativa prevederlo anche per altre tipologie di utenza). Chi è sul campo, gli addetti ai lavori, chi a vario titolo opera con famiglie e bambini problematici “ha il polso” della situazione sul proprio territorio. Sono le associazioni di settore che dovrebbero raccogliere e osservare i comportamenti non cristallini dei servizi sociali, ma anche le scuole, le associazioni sportive e chiunque abbia a che fare nel quotidiano con i bambini. Sono queste le figure che dovrebbero poi segnalare i comportamenti deviati a un costituendo organo di controllo, il cui ruolo sarebbe appunto quello di esaminare i casi proposti e di svolgere le opportune verifiche con i servizi sociali interessati, sottoponendo le proprie conclusioni al Tribunale dei minori di competenza e/o alla Procura della Repubblica se si ravvisino abusi perseguibili penalmente, nonché all’Ordine degli assistenti sociali per eventuali richiami e/o azioni sanzionatorie.

Un organo di controllo siffatto non avrebbe il potere di decidere l’allontanamento di un minore o il suo rientro nella famiglia di origine, che spetta al Tribunale dei minori, ma l’esclusivo potere di svolgere indagini per valutare che tutto sia avvenuto seguendo l’irrinunciabile principio della miglior tutela del bambino. Un organo di controllo di questa natura potrebbe utilmente essere ipotizzato come regionale. In ogni regione opererebbe così un organo che valuti i servizi sociali di un’altra regione, non limitrofa e non in interscambio (esempio: in Piemonte ci sia un organo che valuti l’operato dei servizi della regione Lazio, nel Lazio ci sia un organo che valuti operato dei servizi della regione Veneto, ecc.) con membri nominati:

  • un membro scelto dal Presidente della Regione dove ha sede l’organo, scelto tra i tecnici e non tra i politici
  • un membro scelto dal Tribunale dei Minori, scegliendo tra ex giudici minorili togati
  • un membro scelto dal Ministero delle Politiche sociali (potrebbe essere anche il Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza di quella regione)
  • un membro per ciascuna associazione che si occupa di affido in quella regione
  • uno psicologo o psicoterapeuta scelto tra coloro che vantano nel proprio curriculum esperienza a vario titolo a stretto contatto con i bambini in affido
  • un avvocato scelto tra coloro che più volte abbiano difeso i diritti dei bambini.

Si dovrebbe prevedere un incontro settimanale di tale commissione; i membri non devono ricevere alcun compenso, ma si può prevedere solo un eventuale rimborso spese da parte del Ministero, legato esclusivamente alle spese di viaggio effettivamente sostenute e documentate (non previsto se abitano nella stessa città dove ha sede l’organo), che abbia la possibilità di ispezione sul loro operato. La sede di tale organo è da collocare nel capoluogo della regione dove opera, ma si può prevedere anche una presenza di più realtà per regione, con sedi distaccate in altre città della medesima, qualora la mole di lavoro fosse particolarmente elevata.

Sempre la legge 149 di cui sopra cita, all’art. 5 comma 2 le associazioni familiari («avvalendosi anche delle competenze professionali delle altre strutture del territorio e dell’opera delle associazioni familiari eventualmente indicate dagli affidatari»). Affinché possano essere posti in essere controlli seri e capillari, occorre che ciascuna famiglia affidataria sia tutelata da associazioni senza scopo di lucro che si occupano di minori, possibilità peraltro già prevista dalla legge. Il Comune che pone in essere un affidamento dovrebbe quindi avere l’obbligo di relazionarsi con tali associazioni e stipulare con esse una convenzione, prevedendo che la famiglia affidataria scelga un’associazione che la segua e la tuteli. Tale convenzione tra associazione e Comune può prevedere un rimborso spese forfettario di 100 euro mensili per ogni singolo affido (o anche meno) a copertura dei soli costi di gestione e di viaggio. L’organo di controllo ha facoltà di chiamare in audizione le associazioni che hanno fatto le varie segnalazioni per esporre più compiutamente la situazione.

Occorre comunque che vengano previste sanzioni pecuniarie – a titolo di rimborso – alle famiglie danneggiate, affidatarie e naturali, e sanzioni penali per gli operatori che abbiano agito palesemente in contrasto con le elementari norme di buon senso perché allo stato dei fatti l’errore di un assistente sociale, del suo dirigente o del politico di riferimento non è sanzionato in alcun modo, a meno che ovviamente non si cada nel reato penale.

Va anche detto che in Italia in media è presente un solo assistente sociale per ogni Comune: questo significa che moltissimi Comuni non hanno nemmeno un assistente sociale, visto che grandi città come Torino, Milano, Roma possono contare invece su centinaia di operatori. Oggi il rapporto medio è di un assistente sociale ogni 5.500 abitanti, con picchi di 1ogni 10mila. I Comuni, specie quelli dove la devianza minorile è maggiore, devono assolutamente aumentare il numero di assistenti sociali. Inoltre gli assistenti sociali che si occupano di minori dovrebbero avere una formazione specifica sull’affido già nelle aule dell’università, e poi perfezionata con specifico tirocinio presso strutture pubbliche, ma anche e soprattutto in congrui periodi di tirocinio da svolgersi in seno alle associazioni e cooperative che si occupano di affido, nonché presso le famiglie affidatarie. Queste figure devono inoltre essere inquadrate con contratto a tempo indeterminato, onde evitare l’avvicendarsi continuo di assistenti sociali su un singolo caso, scongiurando che i bambini ogni anno o due debbano dolorosamente confrontarsi con persone diverse, col concreto rischio di influire negativamente sul loro percorso formativo di personalità.

*Riccardo Ripoli è presidente dell'Associazione “Amici della Zizzi” e ha fondato nel 2001 il primo portale nazionale sull'affidamento dei minori in Italia, Sos Affido. Per contattare l'autore: info@zizzi.org – 347.1841850


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA