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Solidarietà & Volontariato

A tempo e individuale: il volontariato cambia rotta?

«È un tendenza in crescita», spiega sul numero in distribuzione Luca Gori, ricercatore della Scuola universitaria superiore Sant’Anna di Pisa. «Attenzione però», aggiunge, «allo sfruttamento dei volontari come manodopera a basso costo». L’intervista

di Francesco Dente

Luca Gori, assegnista di ricerca della Scuola universitaria superiore Sant’Anna di Pisa, è un ricercatore di diritto costituzionale esperto di terzo settore. È uno dei pionieri della riflessione giuridica sul volontariato individuale. Un «convitato di pietra», ha scritto in un suo studio, che si è strutturato a prescindere dalla disciplina legale, obbligando i poteri pubblici a elaborare soluzioni compatibili con l’ordinamento.


Professore, il volontariato individuale è una forma di impegno solidale riconosciuta dalla legge? Quali sono le principali fonti giuridiche che lo disciplinano?
Una breve premessa. Per volontariato individuale si intende una forma di attività di volontariato svolta al di fuori di una forma associativa individuata dal codice civile (o, oggi, del Codice del Terzo settore), ma che presuppone pur sempre l'instaurazione di una relazione quantomeno fra il volontario ed il soggetto beneficiario, ma anche fra i singoli individui che realizzano una medesima attività di volontariato; ad esempio, la pulizia di una spiaggia. In questo senso, il volontario individuale è sempre inserito all'interno di una serie di relazioni, anche giuridiche: più semplicemente, egli sceglie di impegnarsi al di fuori di un vincolo associativo con altri soggetti. Da costituzionalista, però, mi sentirei di dire che egli fa pienamente parte di una "formazione sociale" di cui all'articolo 2 della Costituzione, entro la quale si realizza una finalità solidaristica e si deve assicurare, pur sempre, il rispetto dei diritti inviolabili; e che, parimenti, i pubblici poteri hanno il dovere di "favorire" tale impegno (art. 118 della Costituzione). In altri termini, non si è mai volontari da soli. Con una significativa novità, l'articolo 17 del Codice del Terzo settore precisa che il volontario svolge attività in favore della comunità e del bene comune, "anche per il tramite di un ente del Terzo settore": quindi non esclusivamente attraverso un Ets. Il volontario individuale è un soggetto, quindi, che entra in relazione con "i bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie" non tramite un ente, ma in altre forme, molto variegate ed innovative: ad esempio, semplicemente coordinando temporaneamente la propria attività con quella di altri, pensiamo ai genitori che pitturano la classe dei propri figli, oppure offrendo all'ente pubblico una disponibilità a collaborare con l'amministrazione. Ad esempio, per la cura di un bene comune in occasione di una calamità o, addirittura, via web o telefono.

Nonostante i riconoscimenti giuridici si ha la sensazione che il volontariato organizzato sia favorito rispetto a quello individuale. È il parente povero del volontariato organizzato?
Non direi parente povero. Senz'altro, è una forma di volontariato la cui percezione e diffusione è più recente. È espressione di una certa difficoltà del nostro tempo ad accettare i vincoli di una adesione stabile ad una organizzazione. C'è un certo affanno del diritto a leggere questi fenomeni e, quindi, una qualche resistenza da parte delle pubbliche amministrazioni a qualificare queste esperienze. L'esistenza di una associazione, tramite la quale svolgere una attività di volontariato, costituisce un fattore di certezza: nei rapporti con la Pubblica amministrazione è l'associazione titolare di diritti, interessi ed obblighi, non i singoli che ne fanno parte. Ma quando non c'è una associazione, ma persone singole che si coordinano semplicemente fra loro rispetto ad uno scopo, magari temporaneo (la pulizia del giardino pubblico, un grande evento ecc.), senza però volersi dare un ordinamento o mettere in comune delle risorse, tutto diventa indubbiamente più complesso: si tratta di espressioni di libertà e solidarietà che stentano a trovare una veste giuridica confacente. L'articolo 17 del Codice è oggi un primo abbozzo, ma molto significativo e rilevante. Talvolta si tratta di prime forme di impegno che evolvono poi in vere e proprie organizzazioni: ma ciò non è detto. Ecco che oggi anche i giuristi sono chiamati ad affinare gli strumenti concettuali per evitare di disperdere queste "energie" positive espresse dalla società civile.

La magistratura contabile ha sollevato numerosi dubbi. Cosa non convince i giudici dei conti?
La magistratura contabile, a livello regionale, ha sollevato molte perplessità, alcune davvero non condivisibili e sorprendenti. Va però dato il merito alla magistratura contabile di essersi per prima misurata col tema e di aver innescato un dibattito assai interessante, consumato a colpi di decisioni delle diverse sezioni regionali, tutte molto critiche. La maggiore preoccupazione era che il volontario individuale potesse divenire, in realtà, un lavoratore irregolare nell'ambito della Pubblica amministrazione: la necessaria interposizione dell'organizzazione di volontariato era vista a tutela di questo rischio. La questione è finalmente approdata, a livello nazionale, alla Corte dei conti-sezione autonomie locali che, con la deliberazione 24 novembre 2017, n. 26, basandosi sulla formulazione del Codice del Terzo settore, ha definito il tema ed ha ammesso che gli enti locali possano stipulare, con oneri a loro carico, contratti di assicurazione per infortunio, malattia e responsabilità civile verso terzi a favore di singoli volontari coinvolti in attività di utilità sociale, definendone le condizioni (gratuità, libertà, salvaguardia dell'incolumità ecc.). D'altra parte, era difficile dare una risposta di segno diverso: l'articolo 118, ultimo comma, della Costituzione impone ai pubblici poteri di "favorire" l'autonoma iniziativa di cittadini – singoli o associati – per lo svolgimento di attività di interesse generale.

I punti deboli appaiono la copertura assicurativa e le modalità di accordo fra singoli cittadini e Comuni. Cosa manca per dare piena attuazione al volontariato individuale?
Le espressioni del volontariato individuale hanno faticato non poco a trovare un loro quadro regolatorio soddisfacente. Ma, dopo l'articolo 17 del Codice del Terzo settore, la pronuncia della Corte dei conti ed importanti e diffuse esperienze territoriali, mi pare che il quadro sia sufficientemente definito, al momento. Certo, novità già si intravvedono all'orizzonte, e quindi il cantiere è sempre aperto. Ciò che manca è, a mio giudizio, una riflessione più complessiva che, astraendo dai casi singoli, riesca ad inquadrare complessivamente il fenomeno, nello sfondo più ampio del Terzo settore. C'è una offerta crescente di tempo, competenze e risorse del cosiddetto volontariato individuale, dentro le nostro comunità: bisogna domandarsi, perché. Da un lato, si potrebbe dire che vi sia un più o meno consapevole rifiuto di una dimensione organizzata ed istituzionalizzata, vissuta come eccessivamente burocratizzata, quasi soffocante: allora, bisogna chiedersi se le forme giuridiche nelle quali intendiamo qualificare giuridicamente il volontariato siano o no adeguate. Dall'altro, però, bisogna essere avvertiti che dietro l'attenzione riservata al fenomeno potrebbero esserci tentativo del "potere" di guidare e condizionare soggetti singoli (più difficile farlo con soggetti organizzati), o il tentativo di "sfruttare" i volontari come manodopera a basso costo (anche in questo caso, più complesso farlo con associazioni). Bisogna, cioè, trovare un punto di bilanciamento fra una necessaria promozione delle attività di interesse generale autonomamente condotte anche dai cittadini singoli, ed una tutela dell'autonomia, spontaneità e libertà del volontariato. Questo il ruolo del giurista, oggi. Senza sopravvalutazioni: perché il volontariato, almeno quello espressione della più profonda libertà e socialità dell'uomo, trova sempre un modo per esprimersi, al di là delle forme giuridiche entro le quali possiamo provare a contenerlo.


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