Politica & Istituzioni

«Quella di Von Der Leyen è la strada giusta. Ma…»

Giuseppe Guerini, presidente di CECOP-CICOPA Europe la confederazione europea delle coop di lavoro e servizi, interviene sull'elezione della neo presidente della Commissione Europea. «Il suo programma è una svolta sociale doverosa e attesa perché anche i livelli più tradizionalisti e conservatori delle istituzioni europee si sono accorti che nasce proprio dal disagio sociale il sentimento sempre più diffuso antieuropeista». Ma il rischio è che «le ambizioni vengano fristrate dagli egoisti nazionali». L'intervista

di Lorenzo Maria Alvaro

Sarà la tedesca Ursula von der Leyen a guidare la prossima Commissione europea, divenendo così la prima donna nella storia europea a presiedere l'esecutivo comunitario. Dopo il via libera dei Ventotto, a conferirle lo scettro è stato il Parlamento Ue che l'ha eletta – per il rotto della cuffia – successore di Jean-Claude Juncker con una maggioranza risicatissima di 383 voti a fronte di 327 contrari. Decisivi a suo favore sono stati i 14 eurodeputati del M5S. L’ex ministra della Difesa tedesca della CDU, con un lungo speech, ha anticipato la votazione dell’aula spiegando il proprio programma elettorale. A spiccare, tra le tanti voci, la volontà di dare «piena attuazione al pilastro europeo per i diritti sociali». Reddito minimo, garanzia europea per i bambini, oltre a quella per i giovani, strategia per l’uguaglianza di genere sono alcune delle parole chiave. Per sostenere il sistema sociale, l’istruzione e le infrastrutture, l’obiettivo è di «tassare le grandi compagnie tecnologiche», lavorando sul progetto del Parlamento che fon der Leyen vuole fare diventare realtà. A anche mano al tema delle migrazioni: «un nuovo patto sulla migrazione e l’asilo», un «nuovo modo per condividere i pesi», un «inizio nuovo», «sostegno ai Paesi che subiscono più pressioni», sono i punti dell’agenda. Per von der Leyen la riforma di Frontex e i 10mila agenti di frontiera non possono attendere il 2027, ma devono essere attivi «entro il 2024». Von der Leyen scrive anche di «approccio più sostenibile per i salvataggi», «smantellamento del traffico di migranti», migrazione legale e vie «per portare qui le persone con qualifiche e capacità di cui abbiamo bisogno». Ne abbiamo parlato con Giuseppe Guerini, presidente di CECOP-CICOPA Europe la confederazione europea delle coop di lavoro e servizi.


Come ha accolto questo discorso?
Bisogna sottolineare che il discorso ribadisce gli impegni di un programma che aveva presentato con un testo scritto. Quindi è una conferma molto importante. Un segnale di grande interesse. C’erano già degli elementi che arrivavano dalla seconda parte del mandato della Commissione precedente. Era da tantissimo tempo che non si parlava di un’Europa più sociale. Dai tempi di Jacques Delors. Non è un caso se è considerata una Delors al femminile.

Quali i punti più positivi, a suo avviso, del programma sociale?
Raccoglie l’eredità lasciata dalla precedente Commissione con il Pilastro europeo dei diritti sociali ma aggiungendo un tema, che era stato trascurato colpevolmente dalla sua proclamazione a Göteborg nel 2017, che è quello delle migrazioni. Posto per altro sul piano dei diritti, con l’idea di superare Dublino. Sulla questione del reddito minimo invece è importante che sia stata prudente e che si sia richiamata alla sussidiarietà europea basando il salario ai parametri di ogni singolo Paese. Importantissima è la garanzia dei minori e il tema della disuguaglianza, che non era mai entrato nel programma di mandato di un presidente di Commissione Europea.

È un programma che risponde alle spinte populiste?
È una svolta sociale doverosa e attesa perché anche i livelli più tradizionalisti e conservatori delle istituzioni europee si sono accorti che nasce proprio dal disagio sociale il sentimento sempre più diffuso antieuropeista. Speriamo che poi si possa convertirà in azioni concrete. Perché Göteborg 2017 era un documento di buoni propositi a cui però non è mai seguito un investimento, basti guardare il quadro finanziario pluriennale. Per questo è interessante il fatto che si faccia riferimento a un modo per reperire fondi che verranno investiti per la costruzione di un’infrastruttura sociale. Dovremmo prendere spunto da quello che è stato fatto in ambito agricolo. Quando si è costruita una politica agricola comune, che aveva gran parte della dotazione di budget dell’Unione, quando bisognava ricostruire un modello. Se vogliamo tenere il passo con le grandi sfide della modernità è sostanziale una politica sociale comune.

Tra il dire e il fare però in Europa c’è sempre una grande distanza…
Sì, bisogna sempre ricordare che nell’Unione il vero luogo delle decisioni è il Consiglio Europeo, cioè la somma degli egoismi dei singoli Stati, che spesso, anche a fronte di spinte giuste, ha creato effetti contrari a quelli auspicati. Basti pensare che le modifiche a Dublino con l’obbligo della redistribuzione dei migranti, erano state approvate dal Parlamento Europeo per poi essere bocciate dal Consiglio, con l’Italia che ha votato contro. Tutto quello che oggi il Governo italiano chiede era contenuto da quella modifica.

Altre criticità?
In particolare trovo ancora troppo emergenziale l’approccio sulle migrazioni. È come se ci ponessimo il tema solo perché esiste la crisi dei rifugiati. Ma abbiamo crisi umanitarie enormi che non riguardano solo i rifugiati, come i migranti climatici. Senza una programmazione di politiche migratorie e il governo di un processo migratorio e non emergenziale andremo in affanno dal punto di vista del reperimento di mano d’opera. Settimana scorsa Fincantieri spiegava di scontare la mancanza di 6mila saldatori. Nella bergamasca c’è difficoltà a trovare muratori. O cominciamo a costruire dei processi migratori con percorsi di gestione dei flussi e formazione nei Paesi d’origine o avremo un’Europa vecchia.

Il tema economico è centrale. Nel programma della neo presidente si parla di «tassare le grandi compagnie tecnologiche». Che fino hanno fatto il fisco comune e la tassa sulle transazioni finanziarie?
Sono temi molto importante su cui bisognerà approffittare di alcune aperture contenute nel programma per riportarle sul tavolo. Il cuore della questione è che fino ad oggi abbiamo premiato prevalentemente chi fa estrazione di valore e non chi lo costruisce. Tornare a fare una politica fiscale che premia chi produce e crea valore introducendo sistemi nuovi. Ad esempio una tassa sul diritto all’estrazione di valore dai dati sulla scorta delle concessioni sullo sfruttamento delle risorse naturale.

Considerando i dati come bene pubblico?
Assolutamente, perché lo sono. Lei sa su che base si è affinato Google Translator?

No non lo so…
Sui documenti dell’Unione Europea. Che vengono tradotti in tutte le lingue. Quella è la loro banca dati che danno in pasto all’algoritmo che, attraverso il machine learning, affina le proprie traduzione. Poi Google su quel servizio ci guadagna. Possiamo dire che si possa immaginare una forma di tassazione che faccia pagare l’uso di dati che, come in questo caso, sono pagati con soldi pubblici? Io lo trovo equo e giusto. Negli anni ’70 e ’80, negli Usa la tassazione sui redditi arrivava ad aliquote del 80%. Quando il contesto è cambiato e la crescita non era più così dirompente è arrivato il liberismo. Ma tasse e politiche fiscali devono essere al passo coi tempi.

A sorpresa, soprattutto a fronte degli impegni presi sia sul piano della flessibilità che sul piano del tema dei profughi, von der Leyen è stata eletta senza i voti della Lega. Come si spiega?
Direi che a questo punto la posizione della Lega è antieuropea a prescindere. Basterebbe leggere il programma per trovare grandissime affinità, soprattutto su alcune istanze che sono anche stati cavalli di battaglia del Carroccio in campagna elettorale, con il partito di Salvini. La Lega è alla continua ricerca dello scontro. O forse il problema è che la Von Der Leyen ha accolto in casa propria un siriano 19enne e ne ha seguito il percorso di integrazione.

Mentre ad essere dirimenti per il buon esito del voto sono stati i deputati del Moviemento 5 Stelle?
Hanno votato sui contenuti e sul programma. Intelligentemente. Con molta coerenza. Si sono dimostrati molto più maturi dell’alleato di Governo.


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