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Imprese di comunità, serve davvero una nuova legge?

È stata la richiesta del presidente dell’Alleanza delle cooperative italiane Mauro Lusetti avanzata durante l’incontro del Ministero degli Interni con le parti sociali avvenuto il 15 luglio. Ma affinché questo modello possa consolidarsi e ed essere realmente in grado di esprimere il proprio potenziale socio-economico, non serve tanto adoperarsi per una nuova normativa; sarebbero sufficienti alcune modifiche della legge sull’impresa sociale

di Carlo Borzaga e Jacopo Sforzi

Rivolgendosi al Ministro dell’Interno Matteo Salvini, durante l’incontro con le parti sociali avvenuto il 15 luglio, il presidente dell’Alleanza delle cooperative italiane Mauro Lusetti ha sostenuto una richiesta di cui si parla da tempo nel movimento cooperativo: quella di una legge ad hoc che sostenga l’esperienza delle cooperative di comunità.

Ma è davvero necessaria una nuova norma ad hoc o, magari, è sufficiente aggiornare e potenziare i dispositivi esistenti come la legge sull’impresa sociale (D.Lgs. 112/2017)? Il punto di vista di Euricse (già introdotto nel libro “Imprese di comunità”, a cura di Mori e Sforzi, Il Mulino, 2018) è che l’eccesso di norme non serva allo sviluppo del settore e che, anzi, lo possa danneggiare creando inutili confusioni. Inoltre è da considerare che è stata proprio l’assenza di una legislazione specifica ad aver contribuito alla diffusione di questo nuova forma imprenditoriale.

Nonostante il crescente interesse e le iniziative normative a livello regionale verso le imprese di comunità, fino ad oggi le leggi non sono riuscite a cogliere in modo sufficientemente convincente quali devono essere gli elementi indispensabili per garantire che questo nuovo modello svolga davvero le sue attività nell’interesse e a favore di tutta la comunità e con la reale partecipazione dei soggetti interessati o almeno di una loro significativa rappresentanza.

Al contempo – e paradossalmente – si tiene invece in poco conto l’esistenza di norme e forme giuridiche che già possono essere utilizzate per creare imprese – e nello specifico cooperative – di comunità, come la legge sull’impresa sociale recentemente riformata. Questa forma giuridica, infatti, è funzionale allo scopo, perché lascia agli enti privati che perseguono l’interesse generale piena libertà sulle modalità di coinvolgimento e la possibilità di avvalersi di lavoro volontario. Le imprese sociali, inoltre, consentono alle persone fisiche e alle imprese di partecipare al capitale di rischio, prevedendo – quando avranno ottenuto il via libera dall’Unione Europea – significativi vantaggi fiscali. Aggiungiamo l’assenza di scopo di lucro, i limiti stringenti alla distribuzione sia degli utili correnti che del patrimonio e il piatto – quasi perfetto – è servito.

O meglio quasi servito: infatti, anche se molte cooperative di comunità potrebbero già esser costitute e gestite con la legge così com’è, per favorirne ulteriormente la costituzione, la legge 117/2017 sull’impresa sociale avrebbe bisogno di alcune semplici modifiche. A partire dall’introduzione di eventuali vincoli territoriali all’operatività (alla stregua di quelli previsti per le banche di credito cooperativo), dall’obbligo di coinvolgere differenti tipologie di soci sul modello francese delle SCIC (Société Coopérative d’Intérêt Collectif), magari prevedendo che i residenti di un dato territorio debbano rappresentare la maggioranza (e non la totalità) dei soci o consentendo di attribuire loro maggiore peso rispetto ai non residenti.

Potrebbe anche essere introdotta la possibilità – in coso di scioglimento o di cessione dell’attività – di devolvere il patrimonio residuo all'interno della stessa comunità aggiungendo semplicemente il vincolo territoriale a quanto già previsto. In aggiunta, affinché l’impresa sia in grado di dimostrare che attraverso le attività realizzate persegue davvero l’interesse generale della comunità potrebbe (eventualmente) essere inserito un obbligo di certificazione, sul modello questa volta inglese delle CIC (Community Interest Company). Sicuramente, infine, se guardiamo alle imprese di comunità oggi esistenti in Italia, sarebbe necessario ampliare gli attuali settori di attività previsti dalla legge 117/2017, come del resto previsto dalla stessa legge all’art. 2, comma 2. Magari il tutto riservandolo solo alle imprese di comunità.

In conclusione, affinché questo modello di cooperativa/impresa comunitaria possa consolidarsi e ed essere realmente in grado di esprimere il proprio potenziale socio-economico, non serve tanto adoperarsi per una nuova normativa; sarebbero sufficienti alcune semplici modifiche della legge sull’impresa sociale. Gli sforzi, piuttosto, dovrebbero essere indirizzati su un processo di cambiamento culturale e politico che porti ad allontanarsi dal modello bipolare Stato-mercato, favorendo, invece, lo sviluppo di queste forme di gestione di beni comuni o di interesse collettivo che si stanno rilevando un vero motore di innovazione e sviluppo locale.


*Carlo Borzaga e Jacopo SforziEuriscse di Trento


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