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L’immagine umanitaria come opportunità etica

Quello tra fotografia e compassione è un legame critico. Tutti ricordiamo l'immagine di Alan Kurdi, il bambino di tre anni annegato tre anni fa nel Mar Egeo. Perché proprio quell'immagine, e non altre, si è radicata nella nostra memoria? Che cosa ci dice, quella fotografia, del rapporto fra media e dolore, fra sofferenza e agire umanitario? Ne parliamo con Fausto Colombo, autore di "Imago pietatis "edito da Vita e Pensiero

di Marco Dotti

Quello tra fotografia e compassione è un legame critico. Spesso troppo critico. La troppa vicinanza col dolore rende a ogni istante possibile il rovesciarsi delle intenzioni, che cambiano di segno. Emozione, indifferenza, compassione e infine ancora indifferenza . O emozione.

Tutti ricordiamo l'immagine di Alan Kurdi, il bambino di tre anni annegato tre anni fa nel Mar Egeo. Perché proprio quell'immagine, e non altre, si è radicata nella nostra memoria? Che cosa ci dice, quella fotografia, del rapporto fra media e dolore, fra sofferenza e agire umanitario?

Ne parliamo con il professor Fausto Colombo dell'Università Cattolica di Milano, autore di Imago pietatis edito da Vita e Pensiero, che parte proprio dall'immagine di Alan Kurdi, per delineare un tragitto nelle complesse relazioni fra media, pietà e immaginario.

Mentre rendono visibile la sofferenza degli altri, i media possono anche nasconderla. L'ambivalenza del rapporto fra i media e il dolore, e di conseguenza la loro moralità, si gioca sul binario della mediazione e dell'emozione…
Le immagini sono sempre state uno straordinario veicolo emotivo. Pensiamo alla Chiesa, che ha raccontato la fede e la storia della conversione attraverso le immagini. Pensiamo all'arte, che ha sempre e consapevolmente provocato enormi emozioni. L'avvento del digitale – la diffusione, la moltiplicazione, ma anche la contestabilità della della fotografia, visto che una fotografia è più manipolabile che in passato – cambia il nostro rapporto con le immagini e rischia di metterne in discussione la sincerità, se non la verità. Si dice "l'immagine può essere usata per suscitare emozioni", ma emozioni sulla base di una costruzione fittizia: fake news, deep fake e via discorrendo. Questa crisi della sincerità, in alcuni campi come quello umanitario, ha provocato la messa in questione dell'intervento umanitario stesso. Siamo entrati in un discorso che definirei contro-umanitario.

Che cosa intende quando parla di "contro-umanitario"?
Intendo un discorso che, come condanna le ONG senza fare distinguo, così condanna in toto la comunicazione umanitaria accusandola di usare l'emozione.

Una logica semplice (emozione negativa contro emozione positiva), ma efficace.
È indubbio che la comunicazione umanitaria, da quanto è nata, usi l'emozione. La domanda è: lo fa in modo legittimo o no? La risposta: noi come scopriamo la nostra vicinanza agli altri se non attraverso l'emozione? Il nodo problematico è tutto qui: che cosa c'è dall'altra parte del discorso emotivo o emozionale dell'umanitario?

Le audience affettive vengono polarizzate sul segno più o sul segno meno delle emozioni, ma nel suo libro lei richiama la possibilità del soggetto non solo di decodificare immagini ed emozioni, ma di farsi attraversare. dal racconto…
Rispetto a una dimenzione etica che si concentra sulle immagini e sul fotografo (è legittimo o meno fotografare? Che ruolo ha il fotografo?), io cerco di aprire il discorso su un altro piano: che cosa facciamo noi con le immagini. Che cosa le immagini vogliono da noi e noi come rispondiamo alla loro interrogazione. L'immagine diventa allora un'opportunità etica. Diventa una porta aperta che possiamo decidere di chiudere o di valicare.

L'immagine che ci tocca e da cui possiamo farci attraversare si radica in noi. L'immagine di Alan Kurdi è emblematica in questo senso…
Quella di Alan è una storia che si è radicata attraverso le immagini. La storia di Alan Kurdi è una piccola storia, come tutte le nostre storie, però è diventata "storia" grazie alle immagini. Senza quell'immagine, se l'avessimo semplicemente raccontata, non sarebbe stato lo stesso. Cristina Cattaneo, nel suo libro Naufraghi senza volto, racconta una storia toccante: un bambino che viaggiava con una pagella cucita in una giacca. Non a caso, questa storia molto struggente, riportata dai giornali, è senza immagini e non è riuscita a diventare emblematica come quella di Alan Kurdi. La forza emblematica dell'immagine del bambino Alan la vediamo anche dal fatto che una nave che salva vite umane oggi porta il suo nome. Noi possiamo decidere se e come sentire gli altri. Se come nemici o come vicini. È la sfida dell'empatia e l'empatia arriva là dove l'argomentazione non arriva.


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