Comitato editoriale

Don Mazzi: «Solo gli adolescenti possono salvare gli adulti»

Ad un anno dall’inizio del progetto “Donmilani2: Ragazzi Fuoriserie”, selezionato dall’impresa sociale Con i Bambini, la fondazione organizza un momento d’incontro per raccontare gli adolescenti di oggi. «L'adolescenza non è una malattia», dice lo psichiatra e scrittore Vittorino Andreoli che ha partecipato alla tavola rotonda. «Quindi smettiamo di "psichiatrizzarla"»

di Anna Spena

Immaginate un convegno. Poi smontate quest’idea. È quello che è successo a Milano per la giornata conclusiva del 31° Capitolo “Cercando l’Altro”, organizzato dalla Fondazione Exodus di don Antonio Mazzi nella sua prima storica sede nel Parco Lambro.

La Tavola rotonda, alla quale hanno partecipato il Prefetto di Milano, Renato Saccone, Vittorino Andreoli, Psichiatra e Scrittore, Eraldo Affinati, Scrittore, Docente e Direttore Scuola “Penny Wirton”, lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, Vincenzo De Bernardo di “Con i Bambini”, Franco Taverna, Responsabile Progetto ”Donmilani2: Ragazzi Fuoriserie” e, ovviamente il “padrone di casa”, Don Antonio Mazzi, è nata per raccontare quello che è successo durante il primo anno del progetto “Don Milani2: Ragazzi Fuoriserie”, selezionato dall’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile – Bando Adolescenza. Un vero momento d’incontro e confronto su un tema difficile, complesso eppure tanto affascinante che è l’adolescenza, al quale ha preso parte anche Caterina Antola, Presidente Municipio 3 del Comune di Milano, in cui si torva la Cascina Molino Torrette di Exodus.

​“Invece di fare una comunità”, ha esordito don Mazzi, “tanti anni fa ho deciso di intraprendere un’avventura con e per i giovani. Questa avventura continua ancora oggi, anzi, si allarga”. “Questa”, ha sottolineato appunto don Mazzi, “non è la solita tavola rotonda ma un momento di relazione che ho fortemente voluto per raccontarvi uno straordinario progetto educativo, rischioso e bellissimo – ma che sentiamo di dover fare. Quando parliamo di adolescenti usciamo dai soliti schemi. Gli adolescenti di oggi vanno capiti, ascoltati e hanno bisogno di iniziative nuove”.

Per questa ragione da alcuni anni la Fondazione prova a dare il suo contributo per realizzare una scuola nuova. “Grazie al contributo dell’impresa sociale Con i Bambino”, dice Franco Taverna, “siamo riusciti a potenziare ancora di più il nostro impegno per contrastare la povertà educativa. Il Don Milani2: Ragazzi Fuoriserie, presente in dieci poli su tutto il territorio nazionale, ha un obiettivo preciso: “Lavorare sulle relazioni”, continua Franco Taverna, Coordinatore Nazionale del progetto, “perché quello che abbiamo imparato dalla nostra esperienza è che la povertà educativa non è solo diretta conseguenza di quella economica, ma affonda le sue radici nella difficoltà di gestione delle relazioni: tra genitori e figli, tra studenti e insegnanti, tra giovani ed educatori”.

“La presa in carico”, continua Vincenzo De Bernardo, “non è più solo delle persone svantaggiate, ma dei territori interi. E quindi sì, è sulle relazioni che si deve investire. Perché è vero: la povertà educativa non è solo una questione economica. Basti pensare ai figli dei camorristi o dei boss mafiosi: non si può dire di loro che siano poveri. Ma sono anche loro privati di qualcosa no? Un conto è la crescita, un altro è lo sviluppo. E non può esserci sviluppo senza libertà. E quando si ottiene la libertà? Solo quando le persone sono messe in condizioni, fin da bambini, di esigere certi diritti: il diritto di studiare, di leggere, quello di vedere la bellezza. Ecco, la Fondazione con il Sud, da cui l’impresa sociale Con i Bambini è nata, vuole lavorare sulle persone”.

Ma che cos’è davvero l’adolescenza? Quella dello psichiatra e scrittore Andreoli è stata una risposta onesta: “Non è una malattia”, ha detto (e il pubblico di 500 giovani ha sorriso ndr), “ma un periodo della vita che poi passa. Oggi tutti cercano di “psichiatrizzarla”, ma io non sono d’accordo. L’adolescenza è innanzitutto uno spazio in cui, per natura, “si è contro”. E a volte l’essere contro insegna ai giovani a capire il mondo fatto di contraddizioni. Mi sento anche di aggiungere un’altra considerazione: oggi non è più possibile parlare di adolescenza, ma dovremmo invece parlare di “adolescenze”. Io ne riconosco tre. Quella “conflittuale”, che si potrebbe anche chiamare adolescenza normale. Conflittuale significa “desiderare due cose diverse” e il nostro ruolo come adulti è quello di aiutare i ragazzi e fargli capire che c’è sempre una scelta da fare, senza mai giudicarli.

Poi c’è l’adolescenza difficile, che si caratterizza per un comportamento ripetitivo e dominante di non accettazione al quale dobbiamo prestare attenzione e infine c’è l’adolescenza malata che è rara. Quindi smettiamo di trattare tutti i ragazzi come materiali da psichiatria, non lo meritano”. Ma con i ragazzi bisogna lavorare anche su tre grandi temi che caratterizzano l’adolescenza e quasi ossessionano i giovani: la bellezza, la morte e il denaro. “La prima”, continua Andreoli, “è che la bellezza non può essere chiusa in uno schema. E se non si è simili a questo schema i ragazzi non si sentono all’altezza. Quindi, aiutiamoli a gestire il non sentirsi belli. Secondo insegniamoli che cos’è la morte. Perché è il primo passaggio per capire che la vita è sacra e non si può giocare con la morte: né uccidere né uccidersi. E poi dobbiamo aiutare i nostri ragazzi a capire che la vita ha bisogno del denaro, ma non è il denaro”.

Uno dei grandi problemi delle “adolescenze di oggi” è che si cresce dentro a dei modelli. “Società”, dice lo psicoterapeuta Matteo Lancini, “che fin da piccoli crescono i ragazzi nell’illusione del “successo a tutti i costi e alla popolarità”. E poi se i ragazzi non raggiungono queste false aspettative si sentono dei falliti. E allora educhiamo i nostri ragazzi al fallimento senza però confondere l’educazione al fallimento con la mortificazione. E prepariamoci anche ad essere delusi, che anche la delusione serve, come genitori, insegnanti ed educatori”.

“Io sono stato uno studente difficile, ma poi quella “difficoltà” mi è servita nella vita”, racconta lo scrittore e fondatore della scuola Penny Wirton, Eraldo Affinati, ai ragazzi in platea. “La scuola non è un luogo dove devono essere curati i sani, ma i malati. Anche per questo, con mia moglie, ho fondato la scuola. Oggi insegnamo “la lingua” ai ragazzi migranti. Perché se non conosci la lingua non puoi neanche esprimere le tue emozioni. Insegnare una lingua significa sanare una piega, cucire uno strappo, asciugare una lacrima. E agli educatori voglio dire che esistono più sconfitte che vittorie. Educare a volte significa ferirsi e stare attenti alle domande dei giovani, più che alle risposte. La nostra è la responsabilità dello sguardo altrui, lo sguardo dei ragazzi”.

Adesso la Fondazione si prepara ad affronare il secondo anno di progetto…