Cooperazione & Relazioni internazionali

A Parigi nasce l’alleanza delle città per l’accoglienza degna

Di fronte al fenomeno antico e perpetuo delle migrazioni umane, 85 città prendono posizione, esercitano una visione e pretendono ascolto dallo Stato come si fa con un parigrado. Le città vogliono essere viste non come organizzazioni burocratiche di impianti fognari, acquedotti, traffico urbano, trasporti, edifici, ma come comunità di pensiero e di azione. È questa la novità

di Angelo Moretti

«Nous, collectivités locales et acteurs/actrices de société civile, proposons de lancer un front commun construit autour d’une alliance durable entre autorités locales et société civile pour défendre depuis l’échelle locale et au niveau européen une gouvernance des migrations fondée sur l’accueil digne et le respect des droits fondamentaux, qui s’inscrit dans une vision globale de citoyenneté des droits humains et de leur effectivité».

Con questa affermazione letta in francese, in portoghese, in inglese e in spagnolo Sindaci e amministratori di oltre 85 città del mondo, dall’Europa, al Sud America all’Africa, hanno dichiarato la volontà di essere considerati diversi dai loro Stati di appartenenza, uniti in un’unica visione di solidarietà all’umanità migrante. Si sono incontrati a Parigi, al Museo Nazionale di Storia dell’Immigrazione (nella foto), nel Palazzo di Porte Dorée, ed hanno voluto con loro anche la città di Palermo e la “Rete dei Piccoli Comuni del Welcome”.

Perché è importante questo “Rencontre Alliance Migrations” che unisce tante associazioni di città e di territori? Non tanto e non solo per ciò che qui si è affermato – siamo per fortuna in tanti a reclamare più umanità nel governo globale delle migrazioni – ma perché si ufficializza a livello planetario un dualismo mai sopito e che oggi, di fronte ai grandi temi sociali, fa di nuovo rumore. Il dualismo tra Stato e Città.

Ascoltando i tanti relatori intervenuti a Parigi tra il 3 e il 4 ottobre si scopre che sindaci, assessori, organizzazioni civili vivono in diverse parti del mondo un senso di estraneità dallo Stato centrale. Ciò che accade in città, ciò di cui ha bisogno la città, sembra non coincidere con ciò che fanno i governi.

In Italia questo dualismo è venuto fuori con tutti i suoi muscoli nelle posizioni antitetiche tra il Ministro dei portichiusi, oggi ricordato – per una beffa del destino – per una decisione presa sulla spiaggia, e i Sindaci accoglienti che si sbracciavano per far capire che la loro città restava un pezzo di Italia sempre aperto (Palermo, Napoli e tanti altri piccoli comuni come quelli del Welcome).

Il dualismo Stato-Città accade anche in Francia contro le dure pratiche della polizia francese alle frontiere e accade in Germania, dove oltre 70 sindaci avevano dichiarato la loro disponibilità a prendere in accoglienza i naufraghi ostaggi delle trattative europee.

Di fronte al fenomeno antico e perpetuo delle migrazioni umane, le città prendono posizione, esercitano una visione e pretendono ascolto dallo Stato come si fa con un parigrado. È un momento importante in una società liquida, frantumata da un eterno presente dettato dal consumismo globale e da una labilità strutturale delle relazioni umane.

Non conta tanto la posizione politica, ma quella antropologica delle città. Le città vogliono essere viste non come organizzazioni burocratiche di impianti fognari, acquedotti, traffico urbano, trasporti, edifici, ma come comunità di pensiero e di azione. È questa la novità. Gli Stati sembrano vestire i panni di semplici amministrazioni chiamate a far quadrare i conti con le percentuali tra deficit e Pil, mentre nelle città circolano rabbia e sogni, linguaggi e simboli, riti nuovi e antichi. Lo Stato sembra debba chinare la testa della sua visione costituzionale al cospetto dell’economia e della finanza globale imperanti, la città ha il protagonismo di un cambiamento che vorrebbe poter vedere nel mondo.

Nella carta dei valori di ANVITA, l’associazione nazionale francese delle città e dei territori accoglienti, è scritto: “Il n’existe pas UNE solution nationale à l’accueil, mais bien autant de solutions que de situations locales” (Non esiste UNA soluzione nazionale per l’accoglienza, ma possono esserci tante soluzioni quante sono le situazioni locali).

In questa affermazione c’è il grande riscatto morale della città sullo Stato: sappiamo di non poter risolvere tutti i problemi del mondo, ma sappiamo anche che a nostro modo potremo dare una risposta adeguata alla città.

In Italia, dopo che quel Ministro è naufragato su una spiaggia, la società civile attende giorno dopo giorno l’abrogazione delle due vergogne che ci ha lasciato in eredità: i due Decreti sicurezza. E ogni giorno che passa senza l’abrogazione o la totale rivisitazione di quei provvedimenti, tutti ci chiediamo se è davvero cambiato qualcosa oppure è sempre la solita solfa. Ma anche i Decreti sicurezza rischiano di diventare argomento da tifoseria, pura ideologia, il vero investimento è altro, è uno Stato che sappia scommettere sulla coesione sociale delle città come prima ed urgente forma di resistenza alla rabbia ed all’individualismo imperante. Il welfare vive in città, non in un Ministero, e pensare che la coesione sociale debba essere confusa con la sicurezza è il più grande dei mali del nostro tempo. Per dirla con Bauman, siamo passati da Stato sociale a Stato di incolumità personale. Lo Stato in un momento storico del genere, se davvero vuole invertire la rotta, non deve dichiararsi semplicemente accogliente o strappare due accordi a Malta per la distribuzione dei naufraghi. Deve voler diventare uno Stato di città accoglienti.

Come ha giustamente osservato lo studioso di Geopolitica Alessandro Orsina in un suo recente libro dal titolo provocatorio (Viva gli Immigrati! Edito da Rizzoli), l’Italia potrà recuperare il suo ruolo di prestigio e di influenza nel mondo solo se saprà cogliere la grande opportunità che la storia le sta offrendo potendo governare per la prima volta un vero flusso migratorio continuo dai suoi paesi vicini, come accaduto in Francia e in Germania ad inizio secolo facendo la loro fortuna. Ma non sarà neanche questo il punto.

Potrà funzionare uno Stato accogliente e generativo in città non accoglienti? Assolutamente no. La scommessa è investire in coesione sociale per generare i sogni di nuove città da parte dei cittadini. La vera sfida è raggiungere le periferie e l’Appennino dimenticato e spopolato perché siano quegli abitanti a sentirsi parte di questa storia straordinaria che sta passando.

L’umanità scissa tra una società liquida e priva di legami ed una rinnovata voglia di sognare e di contare è in fermento, ma saranno le città a fare la differenza nel cambiamento culturale di un popolo. Se le lasciamo naufragare nei dissesti finanziari, nella mancanza di alloggi popolari, nella sporcizia e nel disagio sociale diffusi, nelle periferie-ghetto, delegando ad esse solo funzioni amministrative e trasferendo sempre meno risorse per il welfare locale (di cui il Reddito di Cittadinanza è oggi una perfetta antitesi così come escogitato) quell’uomo sulla spiaggia verrà presto sostituito o riesumato.

Se invece il Governo centrale sarà capace di apprendere dalle ville uno sguardo profetico e di sostenerlo non con progetti speciali ma con fondi ordinari, potremo davvero dire di aver cambiato rotta, di avere un governo capace di visione e non di far quadrare i conti della prossima manovra.

*Portavoce della Rete Comuni del Welcome


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