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L’effetto domino del fundraising per la cultura

Non solo realtà culturali note e importanti, ma sempre più frequentemente anche medie, piccole e minuscole realtà culturali attive a livello locale danno prova di saper mettere in campo e sviluppare nuove forme di coinvolgimento per sostenitori privati

di Marianna Martinoni

È accaduto davvero e finalmente lo possiamo dire con dati alla mano: il fundraising è entrato e sta diventando sempre più una leva importante nelle strategie di sostenibilità di tante organizzazioni culturali anche in Italia.

Non solo realtà culturali note e importanti, ma sempre più frequentemente anche medie, piccole e minuscole realtà culturali attive a livello locale danno prova di saper mettere in campo e sviluppare nuove forme di coinvolgimento per sostenitori privati.

D’un tratto ci appaiono più che mai profetiche le parole di Stefano Zamagni che qualche tempo fa scriveva “Le uniche risorse per poter valorizzare e conservare il patrimonio inestimabile del nostro Paese – saranno messe a disposizione da donatori privati”.

Sollecitati e coinvolti sempre più frequentemente, nuovi “donatori per la cultura”, non necessariamente rispondenti al profilo classico del Mecenate, si fanno infatti strada, prima timidamente, poi con maggior convinzione.

Ce lo dimostrano tanti dati di cui finalmente si inizia a disporre: sono i dati dell’Art Bonus (utilizzato dalla sua creazione ad oggi da oltre 12 mila donatori), quelli del primo 5 per mille destinato dai contribuenti agli enti culturali e paesaggistici, quelli sulle campagne di crowdfunding o sui programmi di membership e “Amici di” che sempre più di frequente vediamo utilizzati anche in questo ambito.

Dopo avere avviato una prima fase, che potremmo definire di test, di queste forme di coinvolgimento tanto diverse tra loro, molte organizzazioni culturali si ritrovano all’improvviso in possesso di una magica lente di ingrandimento con cui vedere, osservare, conoscere da vicino questi nuovi sostenitori di cui possono finalmente analizzare le caratteristiche, comprendendone aspettative e motivazioni alla base della scelta di dare il proprio sostegno.

Ad una prima iniziale incredulità – “ma quindi davvero là fuori c’è qualcuno disposto a sostenere i miei progetti al di là delle logiche della tradizionale sponsorizzazione?” – segue un cambiamento straordinario anche nel modo di porsi delle organizzazioni culturali nei confronti dei propri pubblici, in mezzo ai quali si trovano – è abbastanza scontato – anche i propri potenziali donatori.

La necessità di motivare donatori e sostenitori genera quindi un rinnovato modo raccontarsi, comunicando in modo nuovo con trasparenza ma anche con rinnovata passione, mettendo da parte quella tanto rischiosa autoreferenzialità che parla a pochi, che crea le elitè, che esclude e tiene lontano chi non ha avuto la possibilità di crescere in contesti in cui leggere un libro, visitare un museo, assistere ad uno spettacolo o ad un concerto è parte della quotidianità.

Nel medio lungo termine questo nuovo modo di operare genera un cambiamento di cui davvero si sentiva il bisogno nel settore: l’organizzazione è costretta ad aprirsi, a scendere da qualsiasi tipo e forma di turris eburnea, a interrogarsi più che mai sul proprio ruolo sociale ancorché culturale, sull’impatto che le attività ospitate e proposte generano all’interno dei contesti in cui operano, siano essi a livello di quartieri, di comunità, di interi territori.

Che il dimostrare sempre meglio e a pubblici sempre più ampi quale possa essere l’impatto de proprio operato sia diventata una priorità per tutte le organizzazioni culturali che vogliono aprirsi al fundraising, trova conferma nella pubblicazione nel mese di settembre 2019 da parte del Ministero dei Beni Culturali di una Guida rivolta a amministrazioni locali, comunità e musei Cultura e Sviluppo Locale: Massimizzare l’Impatto.

Grazie a nuovi strumenti in campo e ad una nuova attenzione ai temi che sono alla base del coinvolgimento di soggetti privati oltre che pubblici, le organizzazioni culturali italiane trovano oggi un terreno pronto per poter davvero iniziare a fare fundraising che si dimostra essere, una volta di più, occasione preziosa per rimettere a fuoco valori e obiettivi, programmi e progetti, modalità di gestione e politiche di coinvolgimento e non solo un mero insieme di tecniche e strumenti per raccogliere fondi.

Il cambiamento in corso non è banale e richiede investimenti oltre che nuove figure professionalmente preparate: ma una cosa è certo, fatto questo passo l’effetto domino sarà dirompente e inarrestabile.


Marianna Martinoni* docente del corso Cultura e Fundraising di The FundRaising School che si terrà a Forlì il 24 e 25 ottobre 2019


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