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L’assessore della giunta di centrodestra che sconfessa Salvini: «Serve un Non Profit Pride»

Valerio Melandri, dallo scorso giugno è il responsabile (da indipendente) Cultura nell’ex roccaforte rossa di Forlì: «Le ong e il Terzo settore meritano un linguaggio e uno storytelling diverso. Il leader della Lega sbaglia». E dà appuntamento al non profit day del 22 ottobre

di Redazione

Valerio Melandri, forlivese classe 1966, direttore del Master in Fundraising dell’Università di Bologna, fondatore e anima del Festival del Fundraising che da anni incontra migliaia di nonprofit. Dal 27 giugno Melandri è anche assessore (indipendente) alla Cultura, Università, Innovazione Tecnologica e Cooperazione Internazionale della giunta di centrodestra (con la Lega, partito di maggioranza della coalizione) guidata dal sindaco Gian Luca Zattini in una delle storiche roccaforti rosse: Forlì. Nella doppia veste di fundraiser amico del Terzo settore e assessore, Melandri lancia l’idea di un non profit pride. Un appello non scontato per un dirigente di una giunta amica del Capitano che della retorica contro il business delle coop sui migranti e contro le ong ha fatto una bandiera.


Perché oggi parla di Non profit Pride?
C’è bisogno che la gente riacquisti un gusto diverso e dia un giudizio verso chi si occupa di chi ha bisogno, e in generale verso il Terzo Settore in generale. I problemi sono sotto gli occhi di tutti: l’attacco alle ong degli ultimi anni e la crescente idea inquinata di non profit che ha maturato l’opinione pubblica. Da “angeli del mare” a “taxi del mare”? Come è possibile?

Quindi malgrado tutto il non profit ha ancora una funzione sociale?
Certo. Altrimenti è come se dicessimo che con le mega televisioni 4K che abbiamo nelle nostre case il cinema non serve più! Ma quando vedi un film a casa, sei sempre più solo e pigro, quando vai al cinema, vai incontro al mondo. Oserei dire che la tv è un bene materiale, il cinema un bene relazionale. In una società perfetta il non profit esiste perché è un modo diverso di fare le cose. Ecco perché nelle grandi università americane, dove tutto funziona perfettamente, si fa di tutto per favorire la nascita e crescita delle associazioni.

Non crede che la politica, in particolare sotto il primo governo Conte, abbia contribuito ad avvelenare i pozzi della comunicazione? Salvini, Di Maio…
Occorre urgentemente che il racconto sul non profit entri in una fase nuova. Aiutare i poveri non è un imperativo etico, è una cosa che fa bene anche a chi povero non è. Domenica ho riascoltato la parabola del ricco epulone (che poi vuole dire ricco sfondato). Ma cosa avrà mai fatto di male questo ricco? In fondo, si divertiva. Lui poteva. Lo faceva mettendo del suo. Non uccideva nessuno e nemmeno rubava. Amava anche la famiglia. Di cosa viene incolpato, allora, da meritare addirittura l’inferno? Di una cosa sola: non vedeva il povero e, se lo vedeva, lo scansava. Non gli ha dato neanche una briciola. Forse neanche lo minacciava. Non ha chiesto alle forze dell’ordine di portarselo via, con la scusa che la sua presenza disturbava gli invitati. Non gli ha detto “Vai a lavorare, tornatene a casa tua…”. Dico di più, si ricordava perfino del suo nome… Ma allora quale era la sua colpa? La colpa del ricco era che non si sentiva responsabile del povero. Non era stato lui la causa dei suoi mali, e non si sentiva in dovere di soccorrerlo. Tutto qui. Serve che dica qualcos’altro per spiegare che questo messaggio è valido anche per i nostri giorni? Ci sono delle responsabilità della politica, della cultura, dei media. Mi pare evidente. Come ci ha insegnato Simone Weil “il primo miracolo è scoprire che l’altro esiste. Che il povero esiste”.

Si rende conto della differenza del suo approccio e della sua riflessione rispetto a chi ha in questi anni aperto il fuoco contro il mondo delle Ong?
Ė un approccio che non condivido e non ho mai condiviso. Ė sbagliato legare il tema dei migranti a quello della sicurezza in modo diretto.

I morti in mare continuano, anche in questi giorni, e le Ong continuano ad essere sotto attacco. Lei che conosce bene il mondo del non profit… come la pensa?
Ė impensabile che chi si occupa degli ultimi venga messo alla gogna. Io sto dalla parte di chi cerca di salvare vite umane. Questo è nella mia natura, nella mia storia prima di tutto familiare e poi professionale. Ovviamente non vale la difesa di ufficio. Anche nel non profit c’è chi sbaglia, per carità. Ma il punto però è che se un’impresa profit imbroglia, le altre aziende dello stesso settore non vengono accusate, ma anzi ottengono dei benefici perché con tutta probabilità si prendono la fetta di mercato che occupava quell’impresa. Con il non profit non funziona così, anzi: se un'organizzazione non profit fa un errore, allora tutte le altre non profit vengono penalizzate. Si applica la regola popolare di fare di tutte le erbe un fascio. E Internet oggi non fa che amplificare questi luoghi comuni.

Ma che colpe hanno le ong, se si può parlare di colpe?
Spetta alla buona politica difendere il valore del contributo dell’associazionismo alla vita del Paese, ma anche a noi…Anche a me, che di questo mondo faccio parte da quasi 30 anni. Più che sbagli, io penso che non riesca a raccontarsi. Non è che a uno che ti accusa di “fare male” puoi solo rispondere “no, io faccio bene”. Non basta. Le cose vanno “raccontate” in modo diverso. Un esempio: perché le non profit quando vengono accusate di avere troppi costi generali nella maggior parte dei casi si limitano a comunicare che la percentuale dei costi generali è bassa, invece di avere il coraggio di dire che i costi generali servono per servire meglio! Perché al posto di giocare sempre al ribasso, non proviamo a dire che le Fondazioni bancarie (che i soldi li devono solo distribuire, e non raccogliere) hanno la stessa percentuale di costi generali di una ong, che invece i soldi se li deve anche andare a cercare, prima di spenderli?

E il fundraising, ne risente?
Il peso di questa comunicazione oggi rischia di avere drastiche conseguenze, come l’interruzione di decine di progetti, non solamente dedicati ai migranti. Anche se dai dati per ora non risulta un calo complessivo delle donazioni

E le altre non profit come stanno vivendo questo momento storico di calo di fiducia?
L’effetto più lampante e di breve termine è lo screditamento di chi fa solidarietà e, nel lungo periodo, si va incontro a una società dominata dal senso di solitudine e dall’individualismo. Come dicevo prima: tutti a guardare la tvda soli, al posto di mettersi il cappotto e uscire al freddo per andare al cinema. Così non va bene!

Da giugno lei è assessore a Forlì – con un sindaco civico, sostenuto anche dal centrodestra – questa scelta pensi si possa conciliare con il suo lavoro nel nonprofit?
La mia scelta di impegno come amministratore del Comune è civica, e legata alla mia piccola città, Forlì. Non sono iscritto ad alcun partito e se mi avessero chiesto di iscrivermi avrei rifiutato l'incarico di assessore. Aggiungo che avrei accettato una richiesta di diventare amministratore se mi fosse arrivata anche da chiunque altro, ma nessuno lo ha mai fatto.

Cosa c’entra la cooperazione internazionale con il Comune di Forlì?
Guardi, io ho subito chiesto che la mia delega all’internazionalizzazione diventasse la delega alla cooperazione internazionale. Lei mi chiede: cosa c’entra un Comune con la cooperazione? Io parto da un’idea: il mio compito non è decidere per gli altri cosa è la “Cultura”, ma fornire gli strumenti perché uno possa saper giudicare. Io non devo dire ad un altro qual è il suo gusto, ma aiutarlo a scoprire qual è. Ecco perché dico che quello che succede dall’altra parte del mondo riguarda il Comune di Forlì. Il mio assessorato ha già contribuito a finanziare un progetto a sostegno delle popolazioni del Sahara, guidato da medici forlivesi. È una cosa piccola, ma importante. Perché io credo come Pascal che “Il modo migliore per risolvere i propri problemi è occuparsi di quelli degli altri”. Io penso che sia importante che il cittadino riacquisti un gusto diverso e dia un giudizio diverso verso chi si occupa di chi ha bisogno.

E qui torniamo a Salvini…
Su questo tema, il suo è un approccio che non condivido e non ho condiviso. Altro esempio: come assessore in uno dei quartieri a più alto tasso di degrado e immigrazione di Forlì ho fatto esattamente il contrario della dottrina Salvini. Da bambini lo chiamavamo il quartiere della paura, per via di un portico buio e inavvicinabile: ci andavamo in bicicletta proprio per “avere paura”. Invece di metterci più Polizia e telecamere, abbiamo portato nei portici una mostra fotografica diffusa, messo luci a led nuove e belle, pulito e rimesso a nuovo. Ha funzionato. In questi mesi, nemmeno un graffito. E ora è un luogo dove ci si sente accolti. È una piccola cosa. L’avevo vista fare a New York e l’ho rivista fare a Forlì. Là funzionava e ha funzionato anche qui. Concepisco il mio ruolo come attivatore di socialità. L’immigrazione non va gestita né col “cattivismo”, né col “buonismo” disordinato. La storia recente ci ha detto che sono due approcci sbagliati. Entrambi. Occorre trovare una terza via.


La mostra fotografica diffusa voluta da Melandri nel “portico della paura” nel quartiere Schiavonia San Biagio di Forlì

Difficile farlo amministrando una città con la Lega in giunta, però. Non crede?
Quando vivevo a New York, un mio professore una volta mi disse: “Vedi Valerio, qui a New York tutti si dichiarano non razzisti e poi trattano i neri in modo vergognoso, chiudendoli nei ghetti. Se vai nel Sud degli Stati Uniti, in molti non nascondono un certo razzismo, ma poi i neri e i poveri sono amati e aiutati, molto di più”. Non l’ho detto io, e di certo non mi entusiasmano certe affermazioni, ma un conto sono le dichiarazioni e un conto il reale. Io qua a Forlì ho incontrato persone di buon senso, che hanno a cuore questa città. Poi le grandi dichiarazioni, che ripeto, io non condivido, e che ritengo dannose, fanno parte di un altro mondo, che io da Forlì vedo molto da lontano dal mio lavoro quotidiano. Io credo che ci siano spazi per lavorare in un certo modo. E dare il mio contributo per cambiare registro. Ribadisco: ci vorrebbe un non profit pride.

Il suo prossimo intervento al Non profit Day del 22 ottobre prende appunto il titolo di Nonprofit Pride, perché la scelta di questo titolo?
Al non profit day chiederò a tutte le persone e le organizzazioni che credono nella solidarietà e nei diritti, di schierarsi a fianco di chi salva le vite umane. D’altra parte chiedo uno sforzo a chi fa questo… come avete detto voi nella copertina di uno degli ultimi numeri: Viva il non profit, viva le Ong.


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