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Economia & Impresa sociale 

Esther Duflo, vince il Nobel la donna che sconfigge la povertà usando i vermi

Il premio Nobel per l’Economia è andato agli economisti Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer per «il loro lavoro per alleviare la povertà». Riproponiamo un'intervista con la Duflo, che avevamo incontrato proprio per i suoi lavori sulla povertà

di Marco Dotti

Assegnatii oggi i Nobel per l'Economia. Tra i premiati c'è Esther Duflo, che avevamo intervistato su Vita il 22 luglio 2011.

«Un cambio di rotta pragmatico, ecco cosa ci serve». Si presenta così Esther Duflo, direttrice del Poverty Action Lab del Mit, indicata dall’Economist come una delle persone più influenti dal punto di vista del “pensiero economico”, e autrice del saggio I numeri per agire.

Al centro della sua ricerca la Duflo ha messo un «nuovo modo di operare e di pensare, guardando soprattutto ai numeri». Perché è attraverso i numeri, ossia un ponderato calcolo dell’efficacia delle politiche di intervento, che la Duflo ritiene non solo si possa, ma si debba fondare una «nuova strategia per sconfiggere la povertà».

Le sue ricerche ci costringono a un bagno di realismo. Non più l’ambizione di sradicare la povertà tout court, ma la necessità di cogliere problemi concreti, precisi, valutabili. Come migliorare l’istruzione? Come combattere la malaria?
Dobbiamo ricordarci che sanità e istruzione costituiscono ciò che l’economista Amartya Sen ha chiamato capabilities, ossia capacità essenzali allo sviluppo della nostra vita. Capacità senza le quali parole come “benessere” e “libertà” venggono private di ogni significato. Sa- nità e istruzione rappresentano un valore in sé, ma anche un fattore di crescita. Questo è un punto su cui pressoché tutti sono disposti a convergere, anche gli economisti più conservatori, come i principali esponenti della Scuola di Chicago.

Penso a Theodore Schultz, al quale dobbiamo l’espressione “capitale umano”, ma anche a Robert Lucas, che del capitale umano ha fatto un motore di crescita, insistendo sull’effetto di contagio. Una persona istruita e sana, osserva Lucas, non solo è più “produttiva” ed “efficiente”, ma rende più efficienti e produttivi gli altri. Anche da que- sta breve considerazione possiamo capire quanto siano importanti sanità e istruzione. E quanto siano importanti politiche efficaci, testate, monitorabili. Non servono a nulla i grandi discorsi. O meglio: i grandi discorsi rimangono grandi discorsi, ma poi vanno calati nel concreto, ne va valutato l’impatto.

Lei ha applicato un metodo di valutazione rigoroso, gli “studi controllati randomizzati”, proprio per misurare l’impatto degli interventi di aiuto nei Paesi in via di sviluppo e sondare le scelte di politica sociale, in particolare su sanità, istruzione e microcredito. Ha incontrato difficoltà o resistenze nell’applicazione di questo metodo?
Quando ho cominciato a condurre le mie ricerche, all’incirca quindici anni fa, era ancora difficile far entrare gli interlocutori individuali e istituzionali in questo ordine di idee. Oggi fortunatamente le cose sono cambiate. Da un lato, è più facile far comprendere a quegli stessi interlocutori i vantaggi di una valutazione sul campo dell’efficacia delle politiche di aiuto. Dall’altro, il metodo di valutazione si è estremamente raffinato, il che permette di raggiungere risultati sorprendenti.

Ci può fare un esempio?
Attraverso la valutazione degli impatti, molti luoghi comuni sugli aiuti cadono. I risultati, se correttamente valutati, possono essere sorprendenti soprattutto se partia- mo da presupposti mai verificati. Per fare un esempio, se chiedete a una persona qualsiasi se, a suo pa- rere, la distribuzione generalizzata di libri di testo può incrementare la presenza scolastica nei Paesi in via di sviluppo, probabilmente vi darà una risposta affermativa.

Ma è davvero così?
No. In Kenya, ad esempio, la distribuzione dei libri scolastici gratuiti non ha inciso particolarmente sul livello di istruzione. Nessuno, ovviamente, mette in discussione l’utilità dei libri scolastici, ma quei libri hanno dispiegato la loro efficacia solo tra i bambini che già ave- vano un grado di istruzione relati- vamente elevato e, soprattutto, parlavano inglese. A un’attenta e rigorosa valutazione, il luogo comune appare. Al contrario, chi potrebbe dire che la lotta contro i vermi intestinali può dare risultati an- che contro la dispersione scolastica, in quegli stessi Paesi? Eppure l’azione più efficace e meno costo- sa in questo senso è risultata esse- re proprio la lotta ai batteri intestinali. Anche qui, tutti sanno che è una cosa importante combattere questo genere di malattie, ma la correlazione diretta tra un tale intervento, lascolastica e la qualità dell’appren- dimento è un fattore che possiamo rilevare solo con una rilevazione specifica.

In che cosa consiste il suo metodo di lavoro?
Il metodo si basa su una sperimentazione molto simile a quella clinica usata per testare un nuovo farmaco. Quando si sperimenta un nuovo farmaco, il campione è scel- to a caso, somministrando a un certo numero di persone dei pla- cebo e ad altre il farmaco speri- mentale con i suoi principi attivi. La valutazione aleatoria da me uti- lizzata funziona esattamente nello stesso modo. Per esempio, doven- do testare il sistema di welfare e, in particolare, l’efficacia del soste- gno scolastico in India, per la va- lutazione sono state scelte 70 scuole osservando in alcuni casi una classe e in altri un’altra classe, valutando così in modo random i esiste da molto tempo, si trattava solo di raffinare i metodi elaboran- do dati e risultati, cosa che nel pas- sato non sempre è stata fatta.

Il microcredito oggi è al centro di dure polemiche. Lei che conclusione ha tratto dai suoi studi su questo settore?
Il microcredito è un campo in cui è pericoloso avere delle opinioni. Soprattutto quando tali opinioni sono sbilanciate a favore o contro, e quando non sono supportate dai dati e possono volare sulle ali dell’emotività o del cinismo. Crede- vamo davvero che un frigorifero in più, una televisione, una bici- cletta, o un modesto finanziamen- to se esercitano una piccolissima attività d’impresa potessero dav- vero far uscire le persone dalla po- vertà? Certamente, un frigorifero o una bicicletta e via discorrendo possono aiutare i poveri a vivere leggermente meglio, ma questa non è la soluzione. Ora la tendenza sembra es- sersi invertita, e il mi- crocredito è sottoposto a durissime critiche. Ma anche queste, va detto, sono dettate più da emotività e rivalsa che da una necessariamente fredda, ma scien- tificamente salda prova dei fatti.

Dove sta il problema?
Il problema sono le grandi parole. Il problema è la “Democrazia”, la “Lotta” contro la “Povertà”, il problema sono tutte queste “maiuscole”, queste idee vuote che volano alte ma, non appena vengono sfiorate da un lembo di realtà, miseramente precipitano. Bisogna dunque tornare alle cose, senza porsi obiettivi velleitari. Osservare il “come” non solo il “quanto” degli interventi e dei rapporti, le modalità concrete di relazione e sviluppo nella situazione di determinate politiche, gli impatti, le ricadute delle scelte, le aspettative e la fiducia che san- no generare o disattendere. Ripartire dal campo, dal concreto, ci obbliga a stare ai patti.


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