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Imprese sociali, aprite le porte ai giovani

Il presidente di Federsolidarietà-Confcooperative, Stefano Granata («L’età media dei consigli di amministrazione delle cooperative sociali di 15 anni fa era di 33,5 anni. Oggi è di 52 anni») e Don Bruno Bignami, direttore nazionale Cei per i problemi sociali e il lavoro («I dati dicono che c’è una congiura sociale contro i giovani. L’Italia è un Paese per vecchi, con una cultura per vecchi. Che in modo molto sottile li estromette»), protagonisti del talk che ha aperto la convention di Cgm. A tema il rinnovamento generazionale nella cooperazione sociale

di Redazione

In Italia c’è una questione giovani. In cosa consiste?
Don Bruno Bignami: I dati dicono che c’è una congiura sociale contro i giovani. L’Italia è un Paese per vecchi, con una cultura per vecchi. Che in modo molto sottile li estromette. Estromette le categorie che sono numericamente inferiori. Sempre meno nascite significa che le giovani generazioni sono sempre meno numerose. Abbiamo una società che non sa individuare un futuro possibile per loro. Per citare Papa Francesco “abbiamo creato una cultura che da una parte idolatra la giovinezza cercando di renderla eterna, ma paradossalmente abbiamo condannato i nostri giovani a non avere uno spazio di reale inserimento perché lentamente li abbiamo emarginati dalla vita pubblica obbligandoli a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono e che non permettono loro di proiettarsi in un domani. Abbiamo privilegiato la speculazione invece di lavori dignitosi e genuini che permettano loro di essere protagonisti attivi nella vita della nostra società. Ci aspettiamo da loro ed esigiamo che siano fermento di futuro ma li discriminiamo e li condanniamo a bussare a porte che per lo più rimangono chiuse». È un’analisi spietata e dura ma giusta. L’iter di un ragazzo di oggi è fatto di tentativi e precariato. Vuol dire che noi inseriamo buona parte dei giovani facendoli incontrare solo esperienze fallimentari. Se pensiamo dal punto di vista affettivo cosa voglia dire incontrare solo no capiamo facilmente la dimensione del problema. Abbiamo così giovani che si inseriscono nella vita sociale attraverso esperienze fallimentari. Immaginiamo cosa significa dentro le nostre famiglie e le nostre comunità. Il vero dramma è il silenzio. Non se ne parla. Noi ragioniamo di temi che non i veri temi della vita delle persone. Muoviamo la pancia della gente su questioni che non sono quelle che mettono in gioco il futuro del Paese.

Stefano Granata: L’età media dei consigli di amministrazione delle cooperative sociali di 15 anni fa era di 33,5 anni. Oggi è di 52 anni. A distanza di soli 15 anni. La natalità delle cooperative sociali si è praticamente interrotta da due anni a questa parte. Il problema non è far entrare i giovani. Ma andare dove ci sono i giovani. Il punto è che essendo minoritari, a differenza della nostra generazione, e avendo dubito la cultura individualista oggi il giovane per contestare non scende in strada ma si scansa, si allontana. Basti pensare all’allontanamento dalla politica, che non è più considerata credibile. Questo è il rischio che corre anche la cooperazione, che rischia di essere considerata non credibile. Non solo: se il giovane non può giocare un ruolo da protagonista, esperienza oggi impensabile mentre noi siamo diventati dirigenti in 30anni, è normale che si tenga lontano. Siamo abituati a vivere di rendita. Le cooperative nascevano in luoghi che oggi non sono più generativi. Ci sono altri luoghi, magari minoritari, ma dove le cose stanno accadendo. E cosa succede in questi luoghi in cui qualcosa può succedere? Che ci sono i giovani. A Milano, dove ci sono 200 mila giovani che vengono da fuori, tutti parlano di finanza. Nessuno considera che l’adrenalina e la dinamicità della città è data proprio da questi giovani che vengono con l’idea che lì qualcosa possa accadere. Un tema che riguarda tantissimo il sud dove l’emigrazione giovanile non è pensata per tornare ma per affermarsi altrove.

Questa retorica per altro paga e continua a pagare dal punto di vista elettorale…
Don Bruno Bignami: Certo. Se noi oggi dovessimo affrontare una riforma delle pensioni si scatenerebbe l0’jbferno. Se dovessimo parlare di riformare la formazione professionale non interesserebbe nessuno. Mi preme però sottolineare l’immagine che Papa Francesco richiama, quella del bussare a porte che rimangono chiuse. Dobbiamo imparare ad aprire queste porte

Stefano Granata: La cooperazione non nasce per dare servizi ma opportunità alle comunità. Il mondo è cambiato e anche i linguaggi. I giovani hanno bisogno di esprimere i valori in modo diverso. I giovani oggi hanno tanta fame di senso ma non trovano. Dobbiamo uscire dai nostri recinti andare nei nuovi luoghi e frequentarli, non per presidiarli ma per tutelarli e lasciarli germogliare. Dobbiamo lasciare crescere i ragazzi, dargli la possibilità di rischiare e sbagliare. È così che si batte la retorica.

Cosa vuol dire aprire porte?
Don Bruno Bignami: Questa è la domanda. Mi vengono due sollecitazioni. Due questioni molto delicate e importanti rispetto al tema del lavoro. La prima: aprire le porte rispetto a un tema vocazionale. I giovani si accorgono se sono protagonisti attivi oppure se gli viene assegnato qualcosina. Oggi noi dovremmo aprire le porte chiedendo ai giovani chi sono. Offrire loro spazi di responsabilità. Dentro ai nostri luoghi è così? Riusciamo ad aprire spazi di responsabilità? Perché i giovani non hanno bisogno di sentirsi dire cosa devono fare ma di essere protagonisti di un progetto di vita. La seconda porta aperta che dobbiamo lasciare riguarda il “con”. L’idea di mettersi insieme ad altri, come insegna il mondo della cooperazione, è capitale. Incontri significativi sono alla base della possibilità di avere prospettive future. Si chiama condivisione. È triste pensare che i giovani se ne vanno uno a uno. Non vedete un panorama giovanile che si organizza per andarsene. Vuol dire che gli abbiamo insegnato la cultura della solitudine e dell’individualismo.

Stefano Granata: La cooperazione ha subito il doping della finanza pubblica. Per aprire le porte bisogna rischiare. L’impresa sociale deve investire nella creatività dei giovani e nel loro protagonismo. Dobbiamo investire nelle start up dei giovani. Se vogliamo essere un’impresa che vuole avere capacità redistribuzione sul territorio bisogna produrre ricchezza. E per produrla servono idee innovative e nuove competenze. E queste non possono che arrivare dai giovani.

Per aiutare la nascita di nuove realtà giovani cosa manca?
Don Bruno Bignami: La prospettiva di offrire occasioni di investimento concreto rispetto di idee e progetti è giusta. La vera sfida è far emergere questi progetti, creare occasioni perché i giovani si incontrino e creino reti relazionali. Su questo la Chiesa italiana attraverso anche il progetto Policoro ha fatto e sta facendo progetti interessanti. Creare occasioni di incontro è già tantissimo.

La questione salariale nella cooperazione sociale è un tema?
Stefano Granata: Lo stipendio medio è circa 1200 euro. È un tema perché se si è legati solo ad un sistema pubblico, ci sono le tariffe e da lì non si scappa. Per invertire questo trend bisogna entrare sul mercato. E senza miglioramento delle retribuzioni non ci sarà crescita del sistema. C’è un grido assordante che riguarda i ragazzi che non studiano e non lavorano. 2milioni e 200mila giovani tagliati fuori da tutto. Non possiamo permettercelo. Il dibattito è su qualche migliaio di immigrato. Nessuno si preoccupa di questa massa di ragazzi persi. Le nostre comunità in questa situazione non hanno futuro

Come li aiutiamo?
Stefano Granata: La nostra generazione non ha le parole per ripescarli. Abbiamo bisogno dei loro coetanei. Su questo il sistema dell’impresa sociale è una vera opportunità Vorrei lanciare una campagna su questo. Dare una risposta concreta a questi ragazzi smarriti vorrebbe dire un valore aggiunto a questo Paese inestimabile. Da lì passa il nostro riscatto.


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