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Don Oreste Benzi torna a parlarci

Alla vigilia della chiusura della fase diocesana della causa di beatificazione esce il libro di Nicoletta Pasqualini e Alessio Zamboni che raccoglie le interviste fatte dagli autori in tanti anni come giornalisti della rivista della Comunità Giovanni XXIII fondata e diretta proprio dal prete riminese. Tra i ricordi anche la sua ultima uscita alle settimane sociali dei cattoli: “Io penso che il nemico del bene comune siamo noi cattolici”

di Riccardo Bonacina

Ve lo ricordate don Oreste Benzi, infaticabile prete riminese. Fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII diffusa oggi in 42 Paesi? Vi ricordate la sua tonaca lisa e dei suoi capelli scompigliati o appena coperti dal basco? Le sue battaglie che scontentavano di volta in volta destra o sinistra? Infaticabile e imprendibile politicamente, don Oreste era ed è stato per me un inno alla vita, un testimone di un cristianesimo davvero vissuto. Ed è stata la sua testimonianza e l’intelligenza della sua fede così efficaci da aver generato una associazione internazionale di fedeli di diritto pontificio che permane nel tempo e cresce.

La causa di beatificazione di don Oreste chiuderà il prossimo 23 novembre la fase diocesana con sessione pubblica che si terrà presso il Duomo di Rimini alle 15,30. Sono stati ascoltati oltre 140 testimoni in questi anni. Un materiale che verrà poi inviato a Roma per continuare l’iter presso la Congregazione delle cause dei santi.

L’appuntamento è un’occasione per tornare ad incontrare don Oreste, lo possiamo fare attraverso il bel libro di Alessio Zamboni e Nicoletta Pasqualini “Ribellatevi! Intervista con un rivoluzionario di Dio” (editore Sempre, pagg 190, euro 14). Un liro capace di restituire don Oreste vivo, vivacissimo, intento ancora a parlarci.

«io e mia moglie Nicoletta abbiamo conosciuto Don Oreste molto giovani, a 22 anni», racconta Alessio, «Io ho svolto l’obiezione di coscienza al servizio militare presso la Comunità da lui fondata, che all’epoca (gennaio 1983) era ancora di dimensioni ridotte. Siamo stati coinvolti anche noi da questa possibilità nuova di tradurre il Vangelo in una rivoluzione non solo personale ma anche sociale, non limitandosi a fare alcune esperienze di volontariato ma coinvolgendo tutta la propria vita. Dal 1990 abbiamo cominciato ad aprire la nostra famiglia all’accoglienza (abbiamo gestito una casa famiglia fino al 2017) e dal 1994 don Oreste ci ha chiesto di diventare responsabili del periodico Sempre. Il libro che abbiamo scritto raccoglie le interviste che abbiamo fatto a Don Oreste in tanti anni di collaborazione con la rivista Sempre di cui lui è stato il fondatore e direttore. Ci sono aneddoti della sua vita, le sue prese di posizione su temi sociali ed educativi, la sua visione della Chiesa e della società».

Visione che don Oreste esprimeva sulla strada e nei libri, come non ricordare alcuni titoli assai espressivi: Scatechismo, Ho capito perché Dio sta zitto, Onora tuo figlio e tua figlia, Trasgredite!

Tra i tanti episodi il libro di Pasqualini-Zamboni ne ricorda uno che colpisce per la data e per la sua forza. Il 19 ottobre 2007 don Oreste Benzi è a Pisa per partecipare alla 45ª Settimana Sociale dei cattolici italiani. Tema: “Il bene comune oggi, un impegno che viene da lontano”. Non è tra i relatori, siede in sala, tra i tanti. Quando l’assemblea si apre agli interventi del pubblico lui si alza e si dirige verso il palco. Cammina lentamente, la solita tonaca sgualcita che lo fa sembrare appena uscito da un cantiere, i capelli scompigliati, gli occhiali scivolati lungo il naso. Mentre passa c’è chi lo riconosce e gli tende la mano per salutarlo, lui risponde con il suo sorriso benevolo. Il volto appare stanco ma concentrato, assorto. Comincia a parlare. Ha con sé degli appunti, probabilmente scritti pochi minuti prima, ma poche volte abbassa lo sguardo per consultarli. Chiude spesso gli occhi come per trarre ispirazione da una fonte che si trova altrove. Le sue parole spiazzano: «Io penso che il nemico del bene comune siamo noi cattolici». In che senso?


«È scomparsa la coscienza di essere popolo di Dio, con una missione di salvezza da portare». Poi l’affondo: «La gente si sente tradita tutte le volte che ripetiamo parole di speranza ma non c’è l’azione. Cos’hanno lasciato i cattolici? – permettetemelo – Hanno lasciato la devozione, ma la devozione senza la rivoluzione non basta! Soprattutto le masse giovanili non le avremo mai più con noi se non ci mettiamo con loro per rivoluzionare il mondo.»

Pochi giorni dopo, il 2 novembre, il cuore di don Oreste smette di battere, e quelle parole – prima confuse nel flusso comunicativo che caratterizza il nostro tempo – riemergono in tutta la loro forza, vengono riprese, citate, diventano una chiave di lettura per comprendere il pensiero e l’azione di questo sacerdote definito «infaticabile apostolo della carità», ma che non slegava mai quest’ultima dalla giustizia.

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