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Violenza sulle donne, Fernanda: «Nessun complesso di colpa, denunciate subito»

Il racconto di una donna che ha avuto la forza di denunciare ed è stata accolta in un Villaggio Sos con i suoi figli grazie al progetto "Mamma e Bambino". Nel nostro Paese una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni, ha subito violenza fisica o sessuale. Nei primi 10 mesi di quest'anno le vittime di femminicidio sono state 94. L'appello di Sos Villaggi dei Bambini perché il governo sblocchi al più presto i fondi stanziati per gli orfani di femninicidio. Anche quelli per i centri antiviolenza sono insufficienti

di Antonietta Nembri

Una su tre, tra i 16 e i 70 anni. Tante sono le donne che nel corso della propria vita in Italia hanno subito violenza fisica o sessuale. I dati parlano di poco meno di 7 milioni di donne e per quasi 3 milioni di loro – secondo Istat – hanno subito l’abuso da parte del partner attuale o dall’ex compagno. Sono numeri che vanno di pari passo con quelli delle condanne definitive per maltrattamenti in famiglia, in aumento dalle oltre 2.400 del 2010 alle circa 3.160 del 2017. Se lo scorso anno le vittime di femminicidio sono state 142 in crescita rispetto all’anno precedente (l’Istat per il 2017 ne segnala 123) nei primi dieci mesi di quest’anno le vittime sono state 94.

Da parte sua Sos Villaggi dei Bambini, alla vigilia della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne per bocca di Samantha Tedesco, Responsabile Programmi e Advocacy dell’organizazione ricorda che: «I figli delle vittime di femminicidio e le famiglie affidatarie che si prendono cura di loro hanno diritto a fondi che invece da due anni sono bloccati in attesa dell’emanazione di un regolamento attuativo. Per questo in occasione di questa giornata ci appelliamo al Presidente del Consiglio affinché mantenga l’impegno preso nei giorni scorsi sbloccando le risorse già stanziate».

E non va meglio neppure sul fronte dei centri antiviolenza. Secondo dal prima indagine condotta dall’Istat emerge che nel nostro Paese le strutture sono 281: 0,05 per 10mila abitanti. Ben al di sotto della soglia di un centro antiviolenza ogni 10mila abitanti che è l’obiettivo fissato dalla legge di ratifica della Convenzione di Istanbul del 2013 sulla prevenzione e lotta contro la violenza sulle donne e contro la violenza domestica. Sono 44mila le donne che hanno chiesto aiuto a un centro antiviolenza e due su tre (29mila) sono state prese in carico, iniziando un percorso di uscita dalla violenza (le percentuali più alte si registrano al nord rispetto al sud e alle isole). Tra di loro le donne con figli sono ben il 63,7%.
Anche in questo caso sul fronte dei finanziamenti il presente e il futuro appaiono incerti. A favore dei centri antiviolenza, secondo la denuncia di Dire – Donne in rete contro la violenza, nel 2017 erano stati largamente insufficienti: 12 milioni di euro pari a 76 centesimi per vittima. I fondi stanziati a favore dei centri antiviolenza per il 2019 – si legge in una nota di Sos Villaggi dei Bambini – sono ancora in attesa di essere ripartiti tra le regioni. Eppure, secondo l’osservatorio dell’organizzazione, negli ultimi anni sono in aumento le richiedete di aiuto da parte delle donne vittime di maltrattamenti che chiedono protezione per sé e i propri figli. Del resto, si ricorda come il fenomeno della violenza assistita dai bambini sia legato a doppio filo a quello della violenza subita dalle donne all’interno delle mura domestiche. Non a caso risulta in crescita il numero dei bambini esposti a episodi di violenza dentro casa, che da ambiente protetto si trasforma così in luogo di pericolo. L’Istat stima in 427mila i figli che assistono alla violenza domestica (periodo 2009 – 2014).

Una risposta messa in campo da Sos Villaggi dei Bambini è il progetto “Mamma e Bambino”, un programma che offre accoglienza e supporto concreto alle donne vittime di violenza e ai loro figli evitando la separazione del nucleo familiare. «Sos Villaggi dei Bambini offre alle mamme vittime di violenza e ai loro bambini la protezione e il calore di un “casa”, uno luogo sicuro dove le donne hanno l’opportunità di intraprendere un percorso verso l’indipendenza e i loro bambini possono riappropriarsi dell’infanzia che è stata loro negata» spiega Samantha Tedesco.

Lo scorso anno la rete di Case Mamme con bambino gestita dall’organizzazione ha dato accoglienza a 66 donne e 99 bambini. Tra di loro c’è Fernanda, una donna che dopo la morte del marito ha iniziato a convivere con un uomo che all’inizio pensava l’aiutasse a gestire l’organizzazione familiare. Presto lui si rivela essere un uomo molto possessivo, geloso e violento. Nel raccontare la sua storia Fernanda ricorda «Presto si è rivelato per quello che era. Ricevevamo maltrattamenti verbali e fisici. Non si poteva parlare del papà dei bambini, il nostro passato era da cancellare per lui…. Vivevo in una nebbia, ero confusa. Le cose sono diventate chiare con il tempo».

Dopo un anno, anche in seguito alle minacce di morte, Fernanda soprattutto per l’incolumità dei suoi figli contatta il servizio tutela minori e da lì si muovono i servivi e le istituzioni. A velocizzare l’intervento l’allarme derivante dalla presenza in casa di armi, appartenute al marito defunto. «C’è un momento in cui scatta dentro di noi qualcosa e dice “Basta, non è giusto. Adesso devo fare qualcosa.” Il primo tarlo me lo aveva messo la pediatra che aveva notato degli atteggiamenti molto bruschi del mio compagno un giorno in cui aveva portato i bambini, mentre pretendeva che fosse la pediatra a venire a casa. La pediatra mi aveva detto “Immagino come tratterà lei”. Da lì ho iniziato a pensare a come fare per evitare che le cose peggiorassero e arrivassero magari un giorno le maestre a dirmi “I suoi bambini oggi piangevano dicendo che il papà mette le mani addosso alla mamma” con il rischio che mi togliessero pure i bambini».

Fernanda è stata accolta nel Villaggio Sos dove in breve tempo ritrova la sua serenità e il tempo per ritornare alla sua vita quotidiana con i suoi figli. Oggi condivide la sua storia per far sì che altre donne nella sua situazione possano capire che non sono sole, che devono chiedere aiuto per se stesse e per i loro figli. «Pensa: “perché devo soffrire così? Cosa ho fatto? Non sono una cattiva persona? Non mi merito tutto questo”. E se si presenta un’occasione coglila, chiama, cerca un modo, un canale, una persona, una struttura. Non bisogna vergognarsi, mai. Non è colpa nostra, non può esserlo mai, in nessun caso», conclude Fernanda. «Faccio il tifo per tutte le donne, per le loro amiche, i loro vicini, i loro parenti… tutti coloro che possono tendere la mano. Sono stati i miei vicini a segnalare che sentivano delle urla la prima volta che la polizia è entrata in casa mia, ma in quell’occasione non ho avuto il coraggio di raccontare la violenza».


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