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Un diritto è un diritto, ovunque: ecco i primi 4 Lep per i diritti dei bambini

La Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza ha pubblicato un documento di proposta: una road map molto concreta per realizzare quattro livelli essenziali delle prestazioni per diritti che riguardano i minori. «Definire un livello essenziale significa renderlo immediatamente esigibile su tutto il territorio nazionale per tutti i bambini». Si parte da mensa scolastica, asili nido, parchi giochi inclusivi e banca dati sulla disabilità

di Redazione

La Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Filomena Albano, l’aveva annunciato una settimana fa, celebrando i 30 anni della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: «Oggi i servizi all’infanzia e all’adolescenza non rispettano standard minimi uguali per tutti. Per colmare tali differenze occorre definire i livelli essenziali delle prestazioni previsti dalla Costituzione. Come Autorità garante ne abbiamo indicati quattro: mense scolastiche per tutti i bambini delle scuole dell’infanzia, posti di nido autorizzati per almeno il 33% dei bambini fino a 36 mesi, spazi-gioco inclusivi per i bambini da zero a 14 anni e una banca dati sulla disabilità dei minorenni. Si tratta dell’inizio di un percorso per definirne altri, cosicché sia possibile celebrare i 30 anni della Convenzione dando il via a una serie di azioni concrete per l’attuazione dei diritti di bambini e ragazzi. Perché nessun bambino resti indietro: non uno di meno, non un diritto di meno».

Oggi l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza ha pubblicato un documento di studio e proposta sul tema, 80 pagine intitolate “I livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali delle persone di minore età”, realizzato in collaborazione con Irs, che approfondisce quei concetti, frutto di un lavoro condotto fra maggio 2018 e maggio 2019. La mancata individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali relativi alle persone di minore età – previsti all’articolo 117, comma 2, lettera m) della Costituzione – è una delle «perduranti lacune nel sistema di protezione dell’infanzia», si legge nell’introduzione. «Definire un livello essenziale significa renderlo immediatamente esigibile su tutto il territorio nazionale. Significa, altresì, riconosce pari diritti e opportunità a tutte le bambine e a tutti i bambini, a prescindere dalla loro condizione personale e sociale, garantire la presenza uniforme di servizi capaci di rispondere alle esigenze fondamentali della persona di minore età»: ecco perché il LEP sono così importanti.

L’Autorità garante, nella logica della incrementalità, ha scelto di circoscrivere in questa prima fase il tema dei LEP alla fascia di età 0-6 anni: è questa la fasica in cui investire per avere migliori risultati in ordine alla promozione del benessere, alle performance scolastiche e in generale agli esiti nel corso della vita, nonché per ridurre diseguaglianze, disagi e maltrattamenti. I primi 1000 giorni di vita dei bambini infatti sono essenziali nel porre basi solide in ogni aspetto del loro futuro sviluppo, compreso il successo scolastico e lavorativo. Questi primi LEP non esauriscono i diritti a cui essi si riferiscono e sarà necessario prevedere ulteriori LEP, né i diritti scelti in questo step esauriscono la totalità di ciò che è necessario affrontare per la fascia 0/6 anni.

Ecco quindi i quattro LEP individuati come prioritari:

  • Assicurare a ogni bambino che frequentala scuola dell’infanzia, il diritto di accedere a un servizio di mensa scolastica di qualità, con costi di funzionamento coperti almeno per il 50% dalla fiscalità generale e con costi di compartecipazione in base al criterio dell’universalismo selettivo
  • Numero posti autorizzati in nido o micro-nido per almeno il 33% della popolazione target 0-36 mesi con costi di funzionamento coperti, almeno per il 50%, dalla fiscalità generale e con costi di compartecipazione in base al criterio dell’universalismo selettivo
  • Diffusione e realizzazione, ogni 10/15 km nelle aree urbane e ogni 20/25 km nelle aree rurali, di spazi-gioco pubblici per i bambini della fascia 0-14, con caratteristiche di inclusività e co-progettati con bambini e familiari della comunità territoriale
  • Creazione di una banca dati sulla disabilità a livello nazionale, con dati disaggregati, relativamente alla fascia di età 0-17 anni.

Mense scolastiche per tutti i bambini delle scuole dell’infanzia (3-6 anni)

«La mensa scolastica – si legge nel documento – si configura come un importante strumento di contrasto delle condizioni di svantaggio socio-economico ma, al contempo, quale strumento educativo, di socializzazione, nonché quale servizio pubblico essenziale per la promozione della salute e di sani stili di vita». A oggi la mensa scolastica è assicurata soltanto nel 38% delle scuole statali (non esistono purtroppo dati su quelle comunali e quelle paritarie), con differenze significative tra regioni: si va da una copertura superiore all’80% di Friuli Venezia Giulia, Toscana e Piemonte a regioni come Umbria, Campania e Sicilia ferme al 20%. Il tema dell’accesso e della qualità delle mense scolastiche in tutte le scuole viene affrontato a livello europeo sul versante della lotta all’obesità infantile e su quello della povertà infantile. Il principale nodo che l’implementazione di questo LEP dovrebbe sciogliere riguarda il riconoscimento dell’accesso alla refezione scolastica come servizio essenziale e non più come servizio a domanda individuale, un diritto da tutelare per garantire il diritto all’educazione, all’istruzione e alla salute, con particolare riferimento alle fasce di popolazione in condizione di svantaggio socio-economico. Il costo complessivo per l’incremento del LEP è stimato tra i 600 e i 700 milioni di euro, di cui una quantità variabile a carico delle famiglie. Il documento di proposta traccia molto concretamente la strada: superata l’attuale caratteristica di servizio a domanda individuale, andranno poi definiti altri punti, quali

  • a) la copertura dei costi per il 50% a carico della fiscalità generale;
  • b) l’introduzione di fasce di esenzione e compartecipazione proporzionali ai livelli di reddito su base ISEE, omogenei a livello nazionale;
  • c) la previsione di misure idonee a garantire la copertura dei costi e quindi l’accesso alla mensa anche nei casi di morosità da parte delle famiglie (per esempio lo stanziamento di un fondo dedicato).

Per arrivare a realizzare il Lep occorre, secondo l’Autorità garante, qualificare sul piano giuridico l’accesso alla mensa come “servizio essenziale” e non più come “servizio a domanda individuale”. Questo trasformerebbe il servizio in un diritto da assicurare a tutti. Il passo successivo, indicato dall’Autorità, consiste nella definizione e regolamentazione di tre aspetti:

  • la copertura dei costi per il 50% a carico della fiscalità generale;
  • l’introduzione di fasce di esenzione e compartecipazione proporzionali ai livelli di reddito ISEE omogenei a livello nazionale;
  • la previsione di misure idonee a garantire la copertura dei costi e, quindi, l’accesso alla mensa anche in caso di morosità delle famiglie, per esempio con lo stanziamento di un fondo dedicato.

Nell’anno scolastico 2017/2018 gli alunni iscritti alle scuole dell’infanzia erano oltre un milione e mezzo, distribuiti tra le quasi 24 mila istituti. Il sistema è frammentato tra scuole statali che sono il 55% (13.346 scuole per 920.662 alunni), paritarie private il 37,8% (9.066 scuole per 541.447 alunni) e comunali il 6,3% (1.498 scuole per 124.236 alunni). Il servizio mensa, tranne che per le private, è sempre di competenza dei comuni, che hanno autonomia nel definirne l’organizzazione, le tariffe e le modalità di compartecipazione economica da parte delle famiglie. Laddove la domanda è scarsa pesano un fattore economico, legato alla difficoltà di assumersi costi aggiuntivi, e un fattore culturale. La scarsità di domande induce spesso i comuni, che non sono obbligati, a non fornire il servizio di mensa scolastica.

Autorizzare posti di nido per almeno il 33% dei bambini 0-36 mesi

L’accesso universale a servizi per la prima infanzia inclusivi e di alta qualità rappresenta un vantaggio per tutti. La prima infanzia è la fase in cui l’educazione può ripercuotersi in modo più duraturo sullo sviluppo dei bambini e contribuire a invertire le condizioni di svantaggio.

L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza ha auspicato che l’obiettivo di autorizzare posti di nido o micro-nido per almeno il 33% dei bambini tra 0 e 36 mesi, con costi di funzionamento coperti almeno per la metà da risorse pubbliche e per la parte restante dalle famiglie, in proporzione al loro reddito sia individuato come livello essenziale delle prestazioni (Lep) da una norma statale. Per realizzarlo sarebbe necessario il coinvolgimento di Miur, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministro per le pari opportunità e la famiglia, Regioni, Comuni e la Commissione per il sistema integrato di educazione e di istruzione.

L’obiettivo di assicurare la copertura per almeno il 33% dei bambini sotto i tre anni di età è stato concordato nel Consiglio europeo di Barcellona del 2002. L’Italia, nella proposta dell’Autorità garante, non dovrebbe più considerarlo come un obiettivo tendenziale e un servizio a domanda individuale, bensì come un livello essenziale delle prestazioni. In questa prima fase si ritiene importante garantire un’offerta del servizio che sia coerente con gli standard europei su tutto il territorio, successivamente sarà necessario lavorare per rendere il servizio un diritto soggettivo fruibile da parte di tutti.

Il traguardo del 33% era stato previsto per il 2010, ma solo nel 2016 il risultato è stato raggiunto a livello medio europeo (32,9%). In Italia la percentuale si attestava al 24%, ma con numerose differenze all’interno del paese. Le stime sulla spesa per gli asili nido sostenuta dai Comuni equivale oggi a circa 1,5 miliardi, mentre le famiglie spendono circa 300 milioni. Con queste somme viene pagato un servizio che copre poco più del 20% degli utenti. Mantenendo queste percentuali di spesa, per arrivare al 33% servirebbero circa ulteriori 1,3 miliardi (1,1 a carico della fiscalità e 0,2 a carico delle famiglie). In realtà un’indagine ISTAT, realizzata già nell’anno educativo 2014-2015, ha mostrato come il numero di posti utilizzati sia inferiore a quelli autorizzati, con un forte divario tra regioni del nord e del sud Italia, ove la percentuale dei posti effettivamente utilizzati appare molto bassa, ad esempio 1.766 utenti in Calabria su 11.223 posti autorizzati, pari al 16%. «Accanto all’impegno economico nell’implementazione delle strutture, un’azione dedicata alla diffusione e alla crescita di una cultura dei nidi come luoghi che favoriscano l’attivazione di fattori protettivi per lo sviluppo del bambino. È necessario organizzare campagne di sensibilizzazione rivolte ai genitori perché comprendano che il nido nasce dal diritto all’educazione della persona di minore età e non è quindi rivolto esclusivamente ai genitori che svolgono un’attività lavorativa», si legge nel report.

Spazi-gioco inclusivi per i bambini 0-14

Diffusione e realizzazione di spazi-gioco pubblici “inclusivi” per i bambini della fascia 0-14. Gli spazi – co-progettati con bambini e familiari – dovranno essere presenti ogni 10/15 km nelle aree urbane e ogni 20/25 km in quelle rurali.

Il terzo Rapporto supplementare alle Nazioni unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia ha evidenziato forti criticità rispetto alla tutela del diritto al gioco dei minorenni. In particolare sono state rilevate la mancanza di una cultura del diritto al gioco e la carenza di offerta di spazi in cui giocare e fare sport liberamente e a titolo gratuito. Non basta che gli spazi-gioco siano “accessibili”, ma devono essere anche “inclusivi”: questo significa assicurare al maggior numero di bambini, inclusi quelli con disabilità, la possibilità di utilizzare le piattaforme gioco “insieme agli altri” indipendentemente dalle proprie capacità e abilità. A tal proposito assume rilevanza, secondo lo studio dell’Autorità garante, l’importanza della co-progettazione.

In Italia manca un’anagrafe delle aree gioco e, in particolare, di quelli inclusivi. Esiste soltanto un blog – “Parchi per tutti” – che ha un elenco basato su ricerche proprie o su segnalazioni. La lista suddivide i parchi in base alla presenza di altalene per carrozzine (più di 400), parchi gioco inclusivi (poco meno di 60) e parchi nei quali l’accessibilità in autonomia non è garantita per tutti.

Il percorso suggerito dall’Autorità Garante ha come punto di partenza la presentazione di una proposta di legge ordinaria, analogamente a quanto è stato fatto con i LEA sanitari e socio-sanitari e a quanto previsto dal Programma di azione biennale per i diritti delle persone con disabilità. La proposta di legge dovrebbe individuare un livello minimo di diffusione territoriale dei parchi gioco inclusivi e accessibili in modo da rendere effettivo il diritto al gioco di tutti i bambini, così come sancito dall’articolo 31 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e dall’articolo 30 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. La legge dovrebbe inoltre prevedere la costituzione di un organismo paritetico per l’elaborazione di Linee guida per la progettazione di spazi gioco inclusivi. I soggetti responsabili dell’implementazione del LEP sono poi ovviamente i Comuni, ai quali compete la pianificazione urbanistica, la progettazione e la gestione degli spazi pubblici.

La progettazione di un parco inclusivo di medie dimensioni è piuttosto rilevante: la pubblicazione cita l’esempio di Rimini, che ha un parco di 2.380 metri quadri per un’utenza di massimo 200 persone e ha avuto un costo intorno ai 200.000 euro. Diverse Regioni hanno avviato bandi e assegnato risorse per rendere inclusive le strutture già esistenti, con cifre però che raggiungono al massimo i 25.000 euro. Fra le proposte per finanziare un progetto di parchi giochi inclusivi il documento cita anche la possibilità di ridiscutere la destinazione di parte della quota dell’8 x 1000 dell’Irpef destinata allo Stato, attualmente viene diviso progetti per i rifugiati, edilizia scolastica, progetti per la salvaguardia dei beni culturali etc. a cui si potrebbero aggiungere stabilmente progetti di inclusione per le persone di minore età con disabilità: «in pochi anni sarebbe possibile finanziare per intero il progetto pilota».

Una banca dati sulla disabilità dei minorenni

La creazione di una banca dati sulla disabilità a livello nazionale, con dati disaggregati, per la fascia di età 0-17 anni è il quarto dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) individuati dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza. Il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, nelle Osservazioni conclusive del 2019, ha invitato l’Italia a migliorare la raccolta dati sui minorenni con disabilità, in particolare di quelli molto piccoli e di quelli con disabilità intellettive e psicosociali. Su questo piano – si legge nel rapporto – il nostro Paese dovrebbe ottemperare pienamente a quanto previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

La proposta dell’Autorità chiede l’inquadramento del LEP in una norma statale che garantirebbe di determinare precise finalità e obiettivi operativi, l’individuazione delle responsabilità in capo ai diversi attori e la legittimità della raccolta e trattamento dei dati in stretta osservanza con la normativa sulla privacy. Per realizzare con costi minimi la proposta, lo studio dell’Autorità garante ipotizza di valorizzare una sperimentazione di Archivio sulla disabilità portata avanti dall’Istat nell’aggiornamento 2018-19 del programma statistico nazionale. In una prima fase di costruzione della banca dati l’attenzione sarebbe focalizzata sulla fascia 0-6 anni, mentre in una seconda fase si allargherebbe il perimetro operativo fino a considerare i 17enni.


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