Cooperazione & Relazioni internazionali

Nel bel mezzo di un Paese in fiamme: la Bolivia

Un viaggio nel cuore della crisi che ha coinvolto il Paese e Evo Morales, i cui due mandati presidenziali sono stati un'esperienza di governo irripetibile per capacità di attivazione dei gruppi sociali e di generazione del consenso intorno a politiche che hanno consentito alla Bolivia di puntare a divenire un paese modello per tutta l'America Latina

di Pierluca Ghibelli e Stefano Radaelli

Abbiamo avuto la possibilità di soggiornare in Bolivia proprio nei giorni in cui lo sciopero generale ed i blocchi, proposti dai comitati civici dopo l'emersione di presunti brogli durante il processo elettorale che avrebbe confermato Evo Morales al primo turno, ha raggiunto il suo culmine con le sue dimissioni ed il ritiro prima in Chapare, il suo territorio di origine nella regione di Cochabamba e, appena dopo, in Messico accettando l'offerta di asilo offerta dal Presidente di questo paese.

Il nostro è, ovviamente, un punto di vista parziale, ma che abbiamo potuto farci grazie alla opportunità di incontrare e confrontarci con persone reali, residenti coinvolti direttamente dalle vicende del Paese, uomini e donne che hanno vissuto la parabola del ciclo politico di Morales.

Evo, un Presidente di successo

Morales si apprestava a iniziare il suo quarto mandato come Presidente della Repubblica plurinazionale della Bolivia. Molti dei numeri della sua esperienza di governo appaiono di particolare successo, sia per l'aumento complessivo del Pil che per una maggiore distribuzione della ricchezza fra molte parti della popolazione; un tasso di crescita superiore al 4,5% annuo che pone la Bolivia al primo posto fra i paesi latino americani, insomma un successo dopo l'altro a partire dalla lotta per la nazionalizzazione del gas portata avanti già da sindacalista che fra i cocaleros – i produttori di foglie di coca, attività legale e molto diffusa nel territorio di origine di Morales – ha saputo coagulare consenso e senso di appartenenza.

I primi due mandati di Morales sono giudicati trasversalmente da molti, se non da tutti, compresi quanti ora sono molto critici nei suoi confronti, come una esperienza di governo irripetibile per capacità di attivazione dei gruppi sociali e di generazione del consenso intorno a politiche che hanno consentito alla Bolivia di puntare a divenire un paese modello in America Latina.

Perché ora basta?

Già, perché ? A partire dal terzo mandato, da una parte, il livello di corruzione nel paese diventa insostenibile e, dall’altra, l’incapacità di allargare il fronte di sostegno al governo ha trasformato Evo Morales nel presidente solo di cocaleros, mineros, campesinos… l'uomo dei gruppi più poveri, umili e deboli, ma ciò ha al contempo dilatato la distanza con la classe media e la borghesia, gruppi che pur avendo ottenuto benefici dalle politiche di Evo, non si sentono per nulla rappresentanti dal MAS (movimiento al socialismo), il partito di Evo, nonostante alcune aperture a politiche liberali (liberiste?) dal forte governativo (dai permessi a disboscare la foresta amazzonica alla liberalizzazione dell'impresa privata), aperture che, paradossalmente, non solo non hanno convinto la classe media ma ha anche generato malcontento nella parte più a progressisti dei movimenti a sostegno di Evo, generando una nuova ed inedita opposizione da sinistra.

È questo uno degli elementi di maggiore problematicità della evoluzione della politica interna alla Bolivia, evoluzione che ha generato un grande ed ulteriore separazione tra le leadership di Evo Morales e le fasce più giovani di popolazione, spaccatura che ha raggiunto livelli incredibili fino ad una pubblica “condanna” della condizioni giovanile come condizione privilegiata e borghese…

Da dove viene la sconfitta

Non basta guardare all'accusa (pare provata) di brogli alle ultime elezioni, brogli che, per di più, molti ritengono inutili perché certi della affermazione del presidente in caso di ballottaggio, è necessario fare un ulteriore passo indietro a quando, di fronte all’esito negativo del referendum convocato per la modifica costituzionale che avrebbe consentito a a Morales di candidarsi oltre i tre mandati previsti dalla costituzione boliviana stessa, Morales si rifiutò di rispettare il voto dei boliviani e decise di andare avanti per la sua strada verso la candidatura all’ennesimo mandato. Da ciò nasce uno degli slogan più gridati in questi giorni: il mio voto conta!

Referendum non rispettato e brogli

Dopo due legislature di successo, una terza che ha evidenziato elementi problematici nella continuità governativa, il mancato rispetto dell’esito del referendum costituzionale pare rappresentare plasticamente l'inizio della fine dell’era di Evo Morales al governo della Bolivia, lo rende chiaro ed esplicito a tutti, nel mondo ed anche agli occhi dello stesso Morales che, forse per il timore di perdere le elezioni fa di tutto per rivincere le elezioni con un plebiscito che gli consenta di continuare a governare: vincere al primo turno con più del 50% dei voti oppure con un vantaggio superiore al 10% sul secondo classificato.

Nei giorni immediatamente dopo le elezioni, durante lo spoglio, tali condizioni non sembrano verificarsi e la sospensione della comunicazione dei risultati per un giorno intero, dopo il quale il vantaggio di Morales si attesta a poco più del 10% sul secondo (Mesa), fa emergere manipolazioni e modifiche del risultato elettorale tali che l'opposizione si sente legittimata a gridare alla frode elettorale.

Nonostante il tentativo di scaricare le colpe sui componenti del Tribunale Elettorale e la richiesta di una verifica alla Organizzazione degli Stati Americani e di riorganizzare le masse a proprio supporto anche ingaggiando (pagandoli) contadini, minatori e camionisti, la vicenda politica di Evo è segnata: sciopero generale e blocchi si intesinsificano così come la richiesta di dimissioni del Presidente, pressione che diventa via via insostenibile di fronte all’emersione delle prove di frodi tanto che domenica 10 novembre 2019, dopo che molti ministri del suo stesso gabinetto di governo si sono già dimessi, il presidente Evo Morales deve rassegnare le dimissioni, lascia la capitale La Paz e si rifugia nel suo Chapare, dove tutto iniziò e dove i cocaleros di cui è stato leader sindacale per molti anni sono disposti a tutto per difenderlo di fronte a minacce per la sua stessa vita.

Evo motiva la scelta delle dimissioni con la necessità di evitare ulteriori scontri tra boliviani ma certamente è il dato politico a fare la differenza.

Nei giorni successivi, Morales ed il vicepresidente accettano l'offerta di asilo politico del presidente messicano e si trasferiscono a Città del Messico, iniziando un esilio che non è ora dato sapere se sarà definitivo o temporaneo, come vorrebbe Evo e che a tale scopo ha già ventilato il supporto di Cuba e Venezuela per rientrare e riprendersi quel che ritiene essergli stato tolto con un colpo di Stato.

Un colpo di Stato

Quel che a prima vista e per le vie formali appare il declino “democratico” di un leader dimessosi, e che certamente ci ha messo del suo, pare però possa essere letto ad occhi più attenti come un colpo di stato meticolosamente preparato da chi vede nelle risorse e materie prime del paese una opportunità da sfruttare a proprio beneficio. Non ci interessa il complottismo né di scrivere cose di cui non sappiamo se non per opinioni riportate da altri, quel che sappiamo per certo è che almeno due settimane prima delle elezioni, i giornali boliviani, per lo più controllati dall’opposizione a Evo, già pubblicavano articoli nei quali si illustrava come a seguito del risultato elettorale il governo sarebbe stato accusato di brogli, sarebbe stato proclamato lo sciopero generale e la costituzione di blocchi stradali che avrebbero messo in ginocchio il paese, il progressivo ammutinamento della polizia, la richiesta di intervento interno all’esercito per mantenere l’ordine e, infine, le pressioni internazionali avrebbero portato alle dimissioni del presidente in carica. Uno schema che pare rodato e a molti ricorda quello verificatosi in Ucraina e altri paesi in giro per il mondo, dove si è poi dimostrata l’influenza della CIA e della amministrazione statunitense.

Una festa durata pochissimo

All’annuncio delle dimissioni di Evo Morales, gran parte del paese scende il piazza, una festa vissuta come un liberazione, ma di una brevità assoluta, il tempo di un giro della piazza con la bandiera nazionale gridando “si se puede” e poi tutto torna come prima. Una sbornia di un’ora e mezza, dalle 17:30 alle 19 di domenica 10 novembre e subito il paese torna ad essere quel deserto di strade vuote e blocchi che consentono il passaggio sono ad ambulanze, pompieri e carri funebri.

Passeranno altri 5 giorni, il tempo di mettere insieme un governo di transizione guidato dalla Vicepresidente della Camera, esponente dell’opposizione a Morales, dopo che oltre a Presidente e vicepresidente della Repubblica, avranno rinunciato Presidente e Vicepresidente del Senato e Presidente della Camera dei Deputati, prima che vengano tolti i blocchi stradali e la situazione si avvii verso una parvenza di normalità, almeno per una parte del paese, perché i sostenitori di Evo sono ancora pronti a sostenerlo ed a organizzare marce in suo sostegno, manifestazioni che portano a scontri con la polizia e l'esercito, chiamato dalla polizia stessa a supportarla per mantenere l'ordine pubblico, nei quali, come sta succedendo, soffocare con le armi e con molte vittime, le ultime – trenta – nei pressi di Cochabamba, le manifestazioni di protesta, dove la polizia e l'esercito hanno sparato sui cocaleros.

Il ruolo dei movimenti civici

La vicenda boliviana, pur nel suo divenire e per nulla conclusa, pare interessante per la sua intrinseca capacità di far emergere, coagulare e presentare tutte insieme in un unico “palcoscenico reale” alcune delle questioni che, pur con le debite differenze, sono condivise il larga parte del globo: la disaffezione dalla politica tradizionale e l'emersione dei comitati civici, l’abuso del ruolo da parte delle forze dell'ordine e dell'esercito, la contrapposizione tra città e campagna, la difficoltà a gestire passaggi generazionali, il riemergere di una questione etnica, la gestione delle risorse naturali e delle materie prime…

Il ruolo della Polizia e dell’esercito

La più recente vicenda boliviana ha raggiunto il suo punto di svolta decisivo quando alcuni reparti della polizia hanno iniziato a ammutinarsi dall’autorità governativa ed a prendere le parti dei manifestanti dell’opposizione anti-Evo. E’ stato quello il momento in cui le proteste hanno raggiunto il punto di non ritorno: prima a Cochabamba, poi a Sucre, a Oruro e a La Paz… è stato un susseguirsi di separazione dal potere esecutivo, per lo più giustificato dal non voler intervenire contro i connazionali che bloccavano il paese. E quando al termine dei brevi e pur intensi festeggiamenti per le dimissioni di Morales, la polizia ha chiesto all’esercito di supportarla per mantenere l’ordine pubblico, il più era fatto. Non ci siamo risparmiati neppure, in quelle primissime ore, i jet dell'aeronautica militare lanciati a volo radente sulle città, esibizione di muscolarità machista cui la Bolivia poteva, tutta intera, rinunciare.

La whipala

È la bandiera delle diversità, il simbolo che affiancato alla bandiera nazionale, rappresenta da alcuni anni la ricchezza di diversità che rendono la Bolivia un paese speciale, di etnie e popoli, di culture e lingue, di colori e paesaggi. La wiphala è la bandiera che ha riconosciuto e legittimato come parte integrale del paese i popoli indigeni e degli altipiani, una bandiera che è stata però bruciata nelle strade di La Paz proprio da esponenti della polizia. Un affronto che certamente non aiuterà (nonostante la goffa cerimonia di scuse messa in atto dal nuovo governo) a rimettere seriamente ad un tavolo negoziale le varie parti in gioco in Bolivia, nel tentativo rilanciato a parole dalla nuova Presidenta, di promuovere un serio dialogo per arrivare a nuove elezioni.

Troppe e troppo grandi appaiono le diversità, la questione etnica tra indios e ispanici, il rapporto tra città e campagna, tra borghesia ricca e contadini e minatori poveri, e troppo inesistente una vera alternativa al lidersimo di Evo Morales per pensare che in pochi mesi si possa arrivare ad elezioni pacifiche tra parti rilegittamate reciprocamente.

Un paese ricco: gas, foreste e… litio!

Ma soprattutto, pesano sul futuro prossimo della Bolivia, gli scenari dell’economia mondiale, dove la conservazione dell’energia appare un fattore strategico per garantirsi alti livelli di competitività e dove il litio risulta essere un elemento decisivo, elemento che in Bolivia trova oltre il 45% dei giacimenti mondiali. E’ probabilmente per tale motivo che Cina e Russia da tempo avevano stabilito accordi di partenariato commerciale con la Bolivia, con investimenti significativi in cambio della prospettiva di accere alle riserve di litio, prospettiva che, con ogni probabilità – ma qui gli elementi di certezza a noi fanno difetto – hanno imposto agli Stati Uniti di intervenire in qualche modo per modificare lo stato delle cose e degli accordi e rientrare fra i paesi avanzati che sfrutteranno le miniere di litio boliviane nei prossimi anni.

Alla luce di queste ipotesi, tutta la vicenda boliviana cui abbiamo assistito, e in parte partecipato, assume significati diversi: non si tratta più di un popolo che si ribella al proprio condottiero che ha perso la bussola della democrazia, ma il ripresentarsi, ancora una volta, delle peggiori pratiche coloniali dei paesi dell’emisfero nord del mondo nei confronti di quelli dell’emisfero sud. Non vorremmo mancare di rispetto al popolo boliviano, ma l’idea che tutta la vicenda relativa alla caduta di Evo Morales vada piuttosto inquadrata in quest’ultimo scenario, per l’idea che ci siamo fatti, ci appare come – ahinoi – la più credibile, la stessa dove chi rimette sono, come sempre, i più umili ed i più poveri.

In questo senso, facciamo fatica a provare fiducia nei confronti del nuovo governo, ci pare piuttosto che, anche nello scenario boliviano si giochi la partita a scacchi tra USA e Cina e Russia, con l’Unione Europea così trasparentemente assente e fuori da qualsiasi partita.

Come si tradurranno questi spunti costituzionali in cui ritroviamo un grande slancio verso i temi dell’economia plurale, dell’economia inclusiva e generatrice di inclusione, come saranno valorizzati e rilanciati in questo cambio in atto dove immaginiamo che anche alcuni slanci ideali di riferimento varieranno e forse non tradurranno i valori presenti nella costituzione in leggi e decreti attuativi che potrebbero divenire un possibilità di “sviluppo” nuovo valorizzando le comunità e le persone. Su questi punti di aggancio valoriale ed istituzionale abbiamo lavorato con i nostri partner boliviani condividendone le potenzialità e l’orizzonte strategico.

Un rinnovato internazionalismo: Bolivia terra di volontariato

E ciò rappresenta per noi un ulteriore elemento di tristezza, perché nel nostro viaggio in Bolivia abbiamo avuto l’opportunità di incontrare persone davvero belle e per bene, sia tra i locali che tra i molti giovani, ragazzi e ragazze, che sono in Bolivia come volontari in servizio civile presso ONG italiane. Abbiamo visto la loro voglia di stare dentro ai processi di promozione dello sviluppo e di sostegno ai più poveri, li abbiamo visti sostenere i loro amici e le loro amiche nei momenti di maggiore sconforto ed essere generatori di speranze per un paese che certamente riuscirà a rimettere insieme i pezzi e ad uscire dalla attuale sconfortante situazione.

Per parte nostra, siamo stati in Bolivia, per conto del Gruppo cooperativo CGM, per studiare e verificare la possibilità di promuovere forme di impresa sociale secondo i principi che abbiamo praticato in Italia negli ultimi 30 anni: un soggetto privato che persegue finalità pubbliche, orientate alla generazione ed equa distribuzione di valore, attraverso la proposta di attività inclusive e capaci di riconnettere le comunità. Se nel nostro piccolo riusciremo a fare anche solo una piccola cosa per promuovere sviluppo comunitario inclusivo, avremo raggiunto il nostro obiettivo e potremo di nuovo sorridere con i nostri amici boliviani.

* Scuola di Impresa Sociale

** Area Internazionale CGM


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