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Cooperazione & Relazioni internazionali

Miccio (Emergency): «In Iraq la situazione potrebbe facilmente sfuggire di mano»

L'ong fondata da Gino Strada è presente in Iraq, sul confine iraniano, ormai da anni. «È importante che Italia ed Europa rompano il silenzio. Si rischia la guerra, e sarebbe una catastrofe di proporzioni enormi», spiega la presidente

di Lorenzo Maria Alvaro

La miccia l'ha accesa l'assassinio del generale Qassem Soleimani da parte degli Usa. La risposta, come era prevedibile non si è fatta attendere. Alle 1:20 della notte tra martedì e mercoledì (intorno alla mezzanotte italiana) è partito unattacco missilistico in Iraq controdue basi che ospitano le truppe americane e quelle della coalizione, tra cui militari italiani. Una pioggia di cruise e di missili balistici a corto raggio partita dal territorio iraniano e che si è abbattuta contro la base di al-Asade contro quella di Erbil nel nord del Paese. Lì dove opera da anni Emergency. Ne abbiamo parlarto con Rossella Miccio, presidente della ong.


Emergency è in Iraq da molto tempo. Qual è la situazione dopo il caso Suleimani e la rezione iraniana?
Sì, il nostro intervento in Iraq si concentra nel nord del Paese, una zona densamente minata proprio al confine con Iran e Turchia. Storicamente legato alla cura e alla riabilitazione fisica e sociale delle vittime di questi ordigni, il nostro Programma in Iraq si è ampliato negli ultimi anni per rispondere ai bisogni sanitari emersi dall’afflusso massiccio di profughi e sfollati in fuga dalla guerra in Iraq e in Siria e alle vittime dei combattimenti a Mosul. Un fenomeno che è stato dimenticato ma che esiste tuttora. Dall’inizio delle attività, sono state assistite più di 11mila persone per quasi altrettante protesi e oltre 60mila sedute complessive di fisioterapia. Circa 400 sono le cooperative avviate dagli ex-pazienti. Dall’ottobre del 2017, è attivo anche un servizio di riferimento al Centro da Mosul, tramite il quale sono arrivati circa 500 nuovi pazienti. La situazione, con Daesh e la guerra in Siria, è molto precaria.

Come garantite la sicurezza dei vostri medici?
Abbiamo dei nostri protocolli e servizi di sicurezza basati sulla conoscenza del territorio e su una fitta rete di relazioni. Certamente c'è preoccupazione su una possibile escalation. Nel caso si dovessero evidenziare rischi concreti limiteremmo al minimo gli spostamenti delle nostre risorse.

Avete sin da subito sottolineato che il rischio guerra è concreto…
Con l’uccisione di Soleimani si ha avuto esattamente la reazione aspettata e cioè l'attacco alle basi americane di Ayn al-Asad da parte dell'Iran. La logica della guerra è esattamente questa: una volta che si decide di scegliere la violenza, la violenza si moltiplica ed esce da qualsiasi controllo. Siamo di fronte ad un'escalation che può sfuggire di mano in qualsiasi momento. L'esplosione delle ostilità, in un contesto estremamente caotico e un quadro che vede moltissime fazioni in campo, sarebbe una catastrofe di proporzioni enormi. Non bisogno dimenticare che il livello degli armamenti è tale da permettere devastazioni su grande scala.

In tutto questo l'Europa non ha ancora preso una posizione…
Sì, non pervenuta. Ma parlare di Europa rischia di essere astratto. La cosa grave è che l'Italia non ha delle linee di politica estera chiare da fare valere in ambito europeo. Non c'è una visione né a livello italiano che europeo. Basti pensare alla situazione della Libia. A questo si aggiunge una crudeltà del vecchio continente incredibile. L'Unione Europea, nata sulla difesa dei diritti umani e per garantire la pace, ha deciso di pagare diversi Paesi per trattenere profughi e disperati e non farli arrivare qui. Succede in Libia e succede in Turchia. È una politica miope che non porta da nessuna parte.


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