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Il volontariato contagioso di “Nonna Roma”

Anche quest’inverno le rigide temperature notturne hanno provocato delle vittime tra le persone senza fissa dimora della Capitale. Se le misure prese dalle istituzioni sono giudicate insufficienti, il volontariato non arretra, e le associazioni sulla strada contano oggi una presenza in più: "Nonna Roma".

di Anna Toro

Damiano, senzatetto dall’età apparente di 50-60 anni, è stato trovato senza vita il 30 dicembre, nel parcheggio di un supermercato nel quartiere romano di Tor Bella Monaca. Pochi giorni dopo è stata la volta di una donna ucraina di 45 anni, trovata in fin di vita nei pressi di ponte Umberto e poi deceduta poco dopo il ricovero. Anche quest’anno le rigide temperature notturne invernali hanno dunque fatto le loro vittime, e parliamo solo di Roma. Qui dove le istituzioni avevano da poco varato le misure contro “l’emergenza freddo”, giudicate però insufficienti da tutte le organizzazioni, laiche e religiose, che si occupano di assistenza ai poveri e alle persone che vivono in strada. «Si continua a parlare di emergenza eppure l’inverno arriva tutti gli anni. Non è possibile che ogni volta si arrivi a gennaio impreparati» lamenta Sara, volontaria di Nonna Roma, associazione che da due anni sostiene e aiuta le persone meno abbienti, di ogni nazionalità, attraverso un banco alimentare di mutuo soccorso e numerose altre attività.

Un’associazione in crescita – oltre un centinaio i volontari – in cui l’assistenza ai senzatetto della città è solo l’ultima mission, in ordine di tempo. La spinta ad agire è arrivata proprio dalla morte di Damiano, l’ennesima, inaccettabile. Così il 3 gennaio hanno fatto partire la raccolta di coperte, coinvolgendo tutta la rete di realtà che gravitano intorno all’associazione: centro Sparwasser, circolo Arci di Pietralata, via Zabaglia 24 a Testaccio, Csa Astra, Circolo Arci Pianeta Sonoro, LSA100celle, gli studenti di via De Lollis Underground. Il tempo di mettersi in contatto con chi a Roma si occupa di bassa soglia e unità di strada – ovvero Sant’Egidio e Protezione Civile – e il 7 gennaio erano pronti. «L’attivazione nella raccolta è stata straordinaria: alla fine abbiamo riempito 11 auto più un furgone di coperte, cappelli di lana, calzettoni e sciarpe donati dalla comunità». Coordinati da Sant’Egidio, che questa attività la svolge da anni, la notte si sono divisi in unità e hanno coperto le zone più critiche della Capitale. Un’esperienza preziosa per i volontari, che hanno trovato una dimensione umana e di scambio fortissima, oltre a rendersi conto di numerose criticità che le istituzioni faticano a risolvere.

«Siamo stati con Sant’Egidio al ricovero per l’emergenza freddo della Stazione Termini – spiega Sara – un mucchio di brandine senza coperte in cui le persone stavano ammassate, un gran via vai a tutte le ore, la luce sparata tutta la notte. Abbiamo scoperto che i bagni erano arrivati solo pochi giorni prima». Non solo: la sveglia nel centro notturno è alle 5, elemento che scoraggia molte persone senzatetto dall’utilizzarlo. «Sicuramente sono tante le persone che non abbiamo intercettato. Altre arrivano solo per la distribuzione del cibo, attorno a cui si è creata una piccola comunità».

Secondo l’ultima indagine Istat, a Roma vivono tra le 14 e 16mila persone senza fissa dimora, su un numero totale nazionale di oltre 50 mila. Quest’anno i posti letto messi a disposizione dal comune sono 450, tra cui i 20 nuovi posti (ampliabili fino a 35) a Stazione Termini, e i 35 alla Stazione Tiburtina. E poi ci sono le associazioni, come la Caritas, che già a inizio dicembre ha dato avvio al proprio “Piano freddo” mettendo a disposizione posti letto, unità mobili, volontari e parrocchie. Ancora, c’è la Croce Rossa, il Baobab Experience che si dedica alle persone migranti in transito, e tante altre realtà che provano a dare il proprio contributo. Anche Nonna Roma prevede di inserirsi nel circuito e, dopo il successo della prima esperienza, l’associazione è stata chiamata dal Comune a partecipare a un tavolo tecnico sull’argomento nelle prossime settimane. «E’ qui che faremo il grosso del lavoro perché vogliamo certo dare una mano, ma non vogliamo sostituirci allo Stato e alle istituzioni. Le soluzioni e le risorse adeguate devono arrivare dall’alto».

Resta da capire che tipo di soluzioni possano arrivare dall’alto in città che si sono sempre più incattivite verso i poveri e gli emarginati, a prescindere dal colore della giunta: dalle panchine con i separatori, ai tornelli per vietare l’ingresso nelle stazioni, dagli sgomberi in forze alla presenza di bambini, alle finte recinzioni anti-clochard, fino alle multe contro chi rovista nei cassonetti, il tutto nel nome di un’idea di “decoro urbano” che rischia solo di spostare il problema – possibilmente lontano dagli occhi dei turisti – invece che risolverlo. «E’ giusto desiderare una città bella e pulita, ma si deve partire dalla base della piramide dei bisogni, sennò è pura finzione. – spiega Sara che, oltre ad essere volontaria, lavora come operatrice sociale in una cooperativa che si occupa di inserimento lavorativo per fasce svantaggiate, e quindi queste problematiche le conosce bene – Nonna Roma nel suo piccolo agisce in questo senso, pur con tanti problemi come quello delle sedi, in una città in cui gli spazi destinati al sociale sono sempre meno».

Eppure l’entusiasmo non manca, arrivando a contagiare sempre più persone. Pian piano, infatti, attorno all’attività primaria del Banco alimentare – ormai estesa a diversi municipi – Nonna Roma ha creato tutta una rete di servizi dedicati alla persona: dal dopo-scuola, alle lezioni di italiano per stranieri, dal cinema gratuito per le famiglie, al caf gretuito e assistenza legale (grazie alla Cgil), fino a progetti di inserimento lavorativo come l’osteria “Dal Buonista”, presso il circolo Arci Sparwasser. Lo scopo: permettere agli utenti di uscire da una condizione di disagio e marginalità economica e sociale. «L’entusiasmo cresce anche grazie a un’organizzazione, quella di Nonna Roma, in grado di fare da collante tra parti di tessuto sociale che a volte fanno fatica a dialogare: l’area cattolica con l’area laica e alternativa, giovani e meno giovani, proprio come una nonna che mette a tavola tutti insieme – spiega Sara – L’intento è stare in mezzo alla gente e offrire una rete di salvataggio, economica ma anche sociale e culturale, in un momento storico di forte precarietà in cui le reti tradizionali si sono anch’esse impoverite o sono venute meno. Ritrovarsi nel baratro può essere questione di un attimo, e può accadere a chiunque».

Foto: Pixabay.it


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