Welfare & Lavoro

PAD, il ponte levatoio digitale fra i malati di Alzheimer, le famiglie e l’ospedale

Il metodo innovativo sperimentato dall’Istituto San Giovanni di Dio-Fatebenefratelli di Genzano di Roma

di Diletta Grella

«Papà, ti preparo un caffè, così poi iniziamo con gli esercizi, ok?». Papà Guglielmo annuisce e, dopo pochi minuti, Serenella arriva con due tazzine fumanti e le appoggia sul tavolo della sala da pranzo. Il computer è già aperto su una scheda di esercizi. «Forza papi, indicami tutti gli oggetti rossi che vedi…». Guglielmo si prende il suo tempo e con calma, ma senza fare nemmeno un errore, li indica tutti.

«Papà è affetto da declino cognitivo in seguito ad un ictus che ha avuto l’anno scorso e che gli ha leso alcune aree cerebrali», racconta Serenella Perrino. «Questo training neurocognitivo lo facciamo a casa un paio di volte alla settimana e fa parte di un programma di assistenza a distanza (Pad), portato avanti dal Centro Alzheimer dell’Istituto San Giovanni di Dio-Fatebenefratelli di Genzano di Roma. «Per noi familiari, ma anche per papà, questo programma è molto importante, perché ci permette di mantenere un rapporto continuo con il centro di cura, di sentirci meno soli e poi di vedere anche dei miglioramenti», spiega Serenella.

«Il nostro Centro Alzheimer esiste dal 2004 ed è specializzato nel trattamento non farmacologico delle malattie dementigene, in particolar modo della malattia di Alzheimer», interviene Massimo Marianetti, neurologo e direttore medico scientifico. «In questo ambito, da tre anni circa, abbiamo iniziato a promuovere un’iniziativa di telemedicina che si chiama appunto Pad, tramite computer, smartphone o Ipad».

Tutto è iniziato da un libro, nato per promuovere le attività sociosanitarie dell’Afmal (Associazione Fatebenefratelli Malati Lontani). Il testo, “Alla ricerca della memoria perduta-Training quotidiano per il declino cognitivo”, è stato scritto qualche anno fa da Angelo Venuti, Massimo Marianetti e Marco Ilari, ed è ricchissimo di schede neurocognitive che impegnano i pazienti su memoria, linguaggio, coordinazione neuromotoria e orientamento spazio-temporale.

«Quando abbiamo distribuito questo libro, c’è subito stato un forte interesse tra i nostri pazienti ed i loro familiari» racconta Angelo Venuti, riabilitatore cognitivo. «Abbiamo allora pensato di attivare un passaggio successivo per raggiungere il maggior numero di utenti: trasferire le schede contenute nel libro, in un programma informatico consultabile online. Al momento, con questo programma, seguiamo circa mille pazienti (alcuni vivono fuori regione) e i loro familiari».

Il Pad funziona in questo modo: i pazienti ricevono periodicamente via e-mail alcune schede neurocognitive; dopo aver seguito le indica- zioni per il loro svolgimento, le rinviano all’indirizzo pad@fbfgz.it con eventuali domande e considerazioni. Se una persona non è in grado di usare un computer o uno smartphone, può fare gli esercizi con l’aiuto di un parente o di un caregiver. In sede ogni giorno c’è un gruppo di lavoro (formato da medici, psicologi e tirocinanti) che risponde alle email. «I pazienti in grado di svolgere questo training hanno un declino cognitivo lieve o medio» continua Venuti. Che aggiunge: «Noi ne rileviamo l’entità utilizzando un test standardizzato, il mini-mental state examination (Mmse): chi ottiene un punteggio tra 15 e 30 (su un massimo di 30/30) può essere incluso nel Pad. Questo percorso rientra in un programma ben più articolato, che prevede anche una terapia individuale e di gruppo nel nostro Centro».

Continua Venuti: «Abbiamo immaginato il Pad come un “ponte levatoio” che s’innalza per raggiungere il paziente, il quale può così mantenere un filo diretto con noi mentre è a casa, sapendo di avere un’attività da svolgere in autonomia. In questo modo si rafforza anche la sua autostima. Con il Pad abbiamo riscontrato poi un miglioramento delle funzioni cognitive superiori: memoria, linguaggio e tempi di attenzione».

Il Pad, sperimentato al Fatebenefratelli di Genzano dal 2015, è stato recentemente inserito, come metodologia di comunicazione a distanza con i pazienti, all’interno del progetto Victoria, promosso e finanziato dalla Commissione europea, che prevede una partnership di diversi Ospedali ed Opere Fatebenefratelli in Europa. Il finanziamento, per la sede di Genzano, sarà di circa 30mila euro, distribuiti in due anni.

Il Centro Alzheimer dell’Istituto San Giovanni di Dio è appunto specializzato nel trattamento non farmacologi- co delle malattie dementigene. Il Pad è uno strumento importante, ma grande rilievo viene dato anche alle attività ludico-ricreative e ai laboratori.

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«Il nostro obiettivo è quello di stimolare capacità cognitiva, memoria, emotività, creatività, socialità… dei malati», spiega Silvia Pinna, psicologa. «Puntiamo così per esempio sulla musicoterapia e sull’arteterapia», continua Pinna. «Dal 2014 è attivo anche un progetto di museoterapia alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Abbiamo poi un laboratorio di cinema, il progetto Memofilm, e un Giardino Alzheimer, dove i pazienti possono coltivare fiori, ortaggi ed erbe aromatiche. È anche importante segnalare il progetto terapeutico di gruppo, dedicato ai pazienti e ai loro familiari, che prevede una seduta di gruppo mensile e attività terapeutiche e di socializzazione per i pazienti e il loro familiari».

«Oggi i malati di Alzheimer in Italia sono circa un milione:», conclude Marianetti, «al momento non esiste una cura farmacologica efficace, per questo è stato fondamentale orientarsi verso la stimolazione e la riabilitazione non farmacologica, creando tanti approcci alternativi. Il Pad è uno di questi approcci. Non sappiamo se esistano altri programmi simili nel nostro Paese, di certo il numero di pazienti e familiari coinvolti è significativo e da ciò nasce una riflessione: il bisogno che i malati di Alzheimer ed i loro familiari hanno di sentirsi coinvolti e seguiti, anche quando sono a casa, è davvero significativo».


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