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Sardine: con le idee si cambiano le cose

Abbiamo visto tanti leader e tanti movimenti cresciuti sull'onda dell'entusiasmo. Risultati: il conformismo e la caduta nella frustrazione. Questo stallo è, oggi, la sfida più grande per il movimento delle sardine che potranno superarlo solo riempendo le piazze di idee, non solo di gente

di Marco Dotti

Tanti, pochi. Non sono i numeri, nelle vicende sempre complicate e rischiose dei movimenti a contare. Conta la loro evoluzione e, dopo l'effervescenza iniziale, ciò che saranno, più che la tenuta su ciò che sono stati. Detto con altre parole: non conta l'entusiasmo.

L'entusiasmo non cambia le cose, soprattutto in tempi di facile emotività, per lo più connotata in tono negativo e ostile. Ma se non conta l'entusiasmo, cosa conta? Contano le idee. Perché è solo dalle idee che conseguono i cambiamenti.

Abbiamo visto tanti leader e tanti movimenti cresciuti sull'onda dell'entusiasmo. Risultati dell'entusiasmo? Il conformismo e, con il conformismo, la caduta nella frustrazione. L'entusiasmo, scriveva già Emile Durkheim, è una sorta di fede impaziente. Ma l'impazienza, si sa, è nemica delle idee. Che richiedono tempi lunghi per maturare: è il loro passaggio all'atto che, talvolta, impone rapidità.

Senza idee, l'entusiasmo è una trappola

Senza le idee, l'entusiasmo genera solo paralisi. È questo stallo, oggi, la sfida più grande per le sardine. Sapranno riempire le piazze di idee, a dispetto del numero di persone che, da domani, scenderanno in piazza?

«Piazze piene, urne vuote. Urne piene, piazze vuote»: il sillogismo sarebbe ineccepibile, se il fine del movimento delle sardine fosse elettorale. Stessero così le cose, le sardine sarebbero solo la coda del vecchio che non vuole morire, più che la testa del nuovo che vuole nascere.

Ma di questo movimento ci sfuggirebbe comunque qualcosa.

Ci sfuggirebbero le idee che sta portando e lo spazio che nel frattempo si è aperto affinché quelle idee possano reclamare una loro concretezza e trovino, finalmente, una visibilità pubblica dentro i codici di una comunicazione che rompa definitivamente con l'agenda setting del "pro&contro" e sappia andare oltre.

Per questo va guardata con attenzione la manifestazione delle sardine di Brescia, che si è tenuta ieri, in una piazza Vittoria gremita di migliaia di partecipanti. Lontana dalla querelle elettorale emiliana. Lontano dai riflettori nazionali e dalle gabbie di Skinner dei talk show.

Idee-chiave: vita, città, cultura, colore

Un flashmob molto articolato ha coinvolto migliaia di persone sotto la pioggia, nel Giorno della Memoria. Poi è venuto il momento delle idee.

Don Fabio Corazzina, già coordinatore nazionale di Pax Christi, intervenendo dal palco, ha dato alcune parole, idee-chiave attorno a cui costruire una comunità di altre idee e uno spazio sempre aperto di relazione. Eccole: «Vita: di chi cerca una dignità e cerca un futuro. Città: aperta, accogliente, capace di prendersi cura. Cultura: contro l'imbarbarimento. Colore: della pelle, ma soprattuto dei sogni».

È possibile costruire attorno a queste quattro, semplici parole un orizzonte di idee e di pratiche che guardi in modo diverso una dimensione pubblica che sembra raggrumarsi solo attorno alla conflittualità e al rancore?
Riusciamo ancora a immaginare momenti che, in qualche modo, diventino esperienze condivise, istituenti e non forme di intruppamento finalizzato a questo o quel risultato (elettorale o non)?

Momenti fuggevoli di democrazia

Proprio interrogandosi su questioni del genere, la filosofa statunitense Judith Butler ha parlato a lungo di «piazze performative» e di speaking bodies, corpi di donne e uomini che non transitano o sostano semplicemente, ma che con la loro nuda presenza "parlano".

Sono, questi, «momenti fuggevoli di democrazia». Proprio il fatto di essere transitori, in un mondo liquido che però predica staticità, li trasforma in momenti critici che aprono spazi alla visibilità di corpi, differenze, relazioni, parole.

La precarietà – come, per altri versi, la transitorietà – di questi momenti è inevitabile. Ma è proprio il loro essere perennemente in bilico, tra riuscita e fallimento, a costituire il punto più positivamente critico verso un contesto complessivo dove tutto è precario. Precarie le vite, le relazioni, le passioni, le culture.

L'entusiasmo non basta, se non ci ricorda che la questione che ci chiama in gioco, oggi, è, prima di tutto, sociale. Sociale: nel senso più forte, e più prossimo alla vita, che questa parola può ancora assumere.


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