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Testori, un teatro per i giovani

Torna in scena uno degli spettacoli più amati dello scrittore milanese. È una rilettura appassionata dei Promessi sposi, come scuola di formazione alla vita. La regista spiega perché ha voluto riproporlo. Un'occasione unica per i nostri lettori

di Redazione

«Città, sì, città! Culla; tavola; letto; bara; eppure, sempre cara (…) Vale, sì, vale esser figli tuoi, anche qui e ora, città sconfitta, città malata, città dilaniata! (…) Accetta che sia questa prova il sì che veramente ti rinnova!»

Queste le parole che esortavano Milano a rinnovarsi attraverso la peste, attraverso il male di cui siamo tutti responsabili. La città di cui parla Testori era molto diversa, in difficoltà, distrutta. Quella di oggi sembra vincente, “la più civile di Italia” ma c’è una nuova prova, una nuova scommessa su “quel ramo” proprio quel ramo e non un altro. Non si può abbandonare alla patina del tempo che sembra ricoprire questo testo, il classico dei classici. Rileggendo Manzoni e Testori sento che c’è un forte bisogno di valori come la solidarietà o la fratellanza.

Io credo che non esistano buoni o cattivi, ma che dentro l’uomo ci siano tanti sentimenti. Questa capacità dell’Innominato di riuscire a scavare nel marcio di ognuno è esattamente quello che sta accadendo nella nostra epoca: la paura tira fuori il peggio di noi. Il nostro spettacolo parla a questo presente che si avverte con forza orfano di maestri, guide accorte e umanissime dentro le contraddizioni del reale. Ci parla di fratellanza, trasmissione dei saperi, necessità di assumersi le proprie responsabilità e farsi guida e…di tanti altri importanti sentimenti da conoscere, amare, proteggere dentro di noi. Qualcuno, certo, potrebbe dire: perché riprendere ancora I promessi sposi alla prova ? E con molta semplicità io rispondo che è necessario, è un modo anche divertente —sì divertente! —per tornare ad affrontare temi molto attuali in questo tempo di inquietudini e di incertezze. Testori ha accolto, tradito e tradotto Manzoni in una nuova forma che rende contemporanee e facilmente comunicabili verità antiche di cui abbiamo di nuovo bisogno. Il maestro ci spinge a mettere alla prova la nostra idea di “bene” e di “male”, ci spinge a capire che noi siamo responsabili con la nostra indifferenza, con il sonno colpevole della nostra ragione. Un esempio è il percorso che compiono i nostri giovani attori per imparare che il bene e il male non esistono in maniera indipendente, che coesistono e si sovrappongono.

E quel finale poi… far apparire la madre di Cecilia per farci assumere il peso che deve avere la memoria nel nostro vivere e gioire quotidiano. Perché “non può esserci festa senza memoria” non può esserci ripartenza, non può esserci ricostruzione che non tenga conto del “monumento” che è la memoria, e noi tutti troppo spesso, anzi sempre, sembriamo dimenticarlo. Sì, oggi sento questi temi più intensamente di allora e come regista, come direttrice di un teatro, so che ho la responsabilità di proporre serate che lascino una traccia dentro chi le vive, non in modo solitario, ma seduto tra persone, una accanto all’altra, insieme. Siamo in un teatro, in un’aula (e sul lago di Como), basta poco, un gesto, un movimento, un cambio d’abito: non sono solo le parole che hanno un immenso valore ma come vengono dette le rende un vero e proprio manifesto sui fondamenti del Teatro, è la fatica e insieme bellezza dell’essere registi, attori e semplicemente uomini. Una sedia che si sposta (è la sedia della cucina della mia casa di campagna) diventa un cambio di ambientazione. Sedie che evocano il doposcuola (mi diverte confidarvi che sono le stesse che nella Maria Brasca , sempre di Testori, la mia amata Adriana Asti spostava con violenza). Ogni elemento, ogni movimento, ogni azione, è nato in modo assolutamente necessario, in un modo così “perfetto” che non è più stato possibile rimetterlo in scena in modo completamente diverso e, infatti, questa nuova versione si arricchisce solo di piccoli particolari inediti e del bagaglio personale e umano che ogni attore aggiunge al suo ruolo. Luca Lazzareschi e Laura Marinoni, assieme agli altri interpreti, sono stati capaci di ricreare, ogni sera in modo autentico e per loro nuovo, quella magia propria del Teatro che sta nel ripetere qualcosa di già fatto trasformandolo ogni volta, ad ogni recita, in qualcosa di diverso, di potente, capace di ridare ogni sera nuova vita allo spettacolo.

Mi ha molto sorpreso scoprire che ci sono stati degli studenti che hanno visto lo spettacolo e hanno incuriosito i loro compagni a tal punto che, tutti insieme, hanno convinto i professori a portarli a teatro a vederlo. Alcuni dei loro insegnanti avevano paura di proporre uno spettacolo “pesante” e sono stati i ragazzi a dimostrare che, quando ci si appassiona, niente è noioso. Realtà rovesciata. Vorrei che venissero a vederlo tanti ragazzi, vorrei che venissero con i loro genitori e i genitori con gli amici e i loro fratelli, perché credo che possa diventare una condivisione importante, nutriente, una serata intensa da ricordare. Questo spettacolo è la mia fiducia nel valore del Teatro. Spero che tanti giovani non si perdano tutta la vita che scorre in questo spettacolo.

I Promessi sposi alla prova sono in scena al Teatro Franco Parenti fino al 23 febbraio. Per i lettori di Vita biglietto scontato inserendo il codice 7277 al momento dell’acquisto sul sito del Teatro.


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