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Cooperazione & Relazioni internazionali

Export di armi: il cargo saudita “Bahri Yanbu” torna a fare rotta su Genova

Allerta delle organizzazioni impegnate per evitare l'export di armi verso il conflitto in Yemen: «non ci sia alcun tipo di collaborazione da parte dell’Italia»

di Redazione

Nelle prossime ore, secondo i programmi di rotta, il cargo saudita “Bahri Yanbu” transiterà di nuovo nel porto civile di Genova dove potrebbe anche caricare attrezzature militari dirette in Arabia Saudita. Situazione che necessiterebbe di autorizzazione da parte del Governo, secondo le norme vigenti. La pensano così Amnesty International Italia, Comitato per la riconversione RWM e il lavoro sostenibile, Movimento dei Focolari Italia, Rete della Pace, Rete Italiana per il Disarmo, Oxfam Italia che si oppongono con forza a questa possibilità e in generale a qualsiasi ipotesi di transito di materiale d’armamento attraverso porti italiani.

Mentre il Parlamento italiano, in Senato, si sta accingendo a discutere un possibile rafforzamento dei controlli sull’export militare previsti dalla legge 185/90, «si continua a permettere sistematicamente il transito di materiali d'armamento destinati a paesi in guerra in contrasto con le norme vigenti», affermano le organizzazioni in un comunicato stampa.

Azioni legali, manifestazioni e mobilitazioni per contrastare il ritorno della “Bahri Yanbu” sono avvenute nei giorni corsi in diversi porti europei. «Dal 27 gennaio 2019 questa nave da trasporto di proprietà saudita ha già trasportato e trasferito armi per decine di milioni di dollari. Molti di questi sistemi d’arma hanno poi contribuito ad alimentare il sanguinoso conflitto in corso in Yemen: una terribile catastrofe umanitaria del mondo costellata da episodi di crimini di guerra. Anche in questo caso esiste, quindi, il fondato pericolo che i porti italiani accolgano operatori marittimi che trasferiscono sistemi di armi e munizioni destinati a paesi in conflitto: armi che possono essere usate – com’è già accaduto – per commettere gravi violazioni dei diritti umani e che anche secondo i trattati internazionali firmati dal nostro Paese non dovrebbero essere consegnate».

La “Bahri Yanbu” è di ritorno da un viaggio transatlantico durante il quale ha effettuato una sosta negli Stati Uniti e in Canada a dicembre. Dal 2 febbraio 2020, la nave avrebbe dovuto attraccare in cinque porti europei, prima di continuare il suo viaggio in Arabia Saudita: Bremerhaven (Germania), Anversa (Belgio), Tilbury Docks (Regno Unito), Cherbourg (Francia) e Genova (Italia). Grazie alle mobilitazioni della società civile la sosta in Belgio non è avvenuta.

Durante un precedente viaggio, con rotta simile, effettuato da questa stessa nave a maggio 2019, le proteste dei portuali e del mondo associativo impedirono il caricamento in stiva sulla “Bahri Yanbu” di alcuni sistemi d’arma. Dinanzi a questo nuovo viaggio della Bahri Yanbu, i governi europei sono chiamati nuovamente ad adempiere ai loro obblighi e a fermare ogni nuovo carico di armi. «In passato gli Stati hanno fallito nel loro obbligo internazionale di interrompere i trasferimenti di armi utilizzate per commettere crimini di guerra e altre gravi violazioni dei diritti umani. Ancora una volta la nostra voce si leva chiara e forte – anche a sostegno dei lavoratori del porto di Genova, che si sono mobilitati fin da subito – per chiedere che non ci sia alcun tipo di collaborazione da parte dell’Italia (export di armi, facilitazione del trasferimento) con governi e attori coinvolti in guerre sanguinose».

In foto, Porto di Genova, Wikimedia Commons


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