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Politica & Istituzioni

L’Italia ha bisogno di Milano

Sono stati giorni vissuti come un incubo, nei quali è sembrato sgretolarsi il modello di una città che in questi anni è andata in controtendenza rispetto al declino del Paese. Ma anche sotto l’assedio del coronavirus la città ha saputo trovare parole diverse, a cominciare da quelle del suo sindaco

di Giuseppe Frangi

Riapre le porte ai turisti il grande Duomo. Sono stati cinque giorni surreali per Milano, vissuti senza capacitarsi di quello che stava accadendo. Il Duomo che riapre i battenti, timidamente a gruppi più circoscritti di visitatori, può essere vissuto come un invito a ripartire. Sono stati giorni dolorosi, perché in un attimo è sembrata vanificarsi la storia di questi anni recenti. Una storia che abbiamo vissuto tutti con orgoglio, perché in fondo ciascuno se ne è sentito un po’ protagonista.

Milano, al di là delle classifiche, al di là dei numeri che hanno continuato a premiarla, è stata protagonista di nuovo miracolo: quello che ha visto crescere una coscienza civica che ha fatto vivere la città come un “bene comune” da difendere e costruire. Questo è accaduto perché, caso unico su queste dimensioni nell’Italia del terzo millennio, si è stabilito un legame di fiducia tra chi ha governato la città e i cittadini. La Milano di questi anni è figlia di un progetto e di un sentire condiviso più forte delle appartenenze ideologiche o partitiche. Ce ne si è accorti anche in questi giorni surreali, quando la voce del sindaco Beppe Sala ci è arrivata con un accento che poco aveva poco a che vedere con quelle confuse e inquietanti degli altri leader.

Sala ci ha ricordato il primo giorno che invece di assaltare i supermercati dovevamo pensare ai nostri anziani e alle persone più fragili; mercoledì ha voluto iniziare la sua giornata di sindaco di una città sotto assedio della paura andando a incontrare un centro per disabili; giovedì ha detto che si doveva rialzare la testa cominciando, guarda caso, dalla cultura. Le migliaia di reazioni di consenso a questi brevi messaggi quotidiani del sindaco dimostrano come Milano si sia rispecchiata e ritrovata in queste indicazioni semplici piene di positività, di voglia e di fare e di attenzione ai più fragili.

La ferita di questi giorni è stata profonda e ci vorrà molto tempo per rimarginarla, ammesso che davvero il peggio sia alle spalle. Ma questa esperienza ci ha resi forse più consapevoli che il miracolo che Milano ha vissuto in questi anni non è solo quello dei grattacieli, dell’energia e del dinamismo che ne hanno fatto una città attrattiva anche per tanti giovani; il miracolo è stato quello di aver reso possibile un senso di appartenenza nel pieno della civiltà della disgregazione e degli egoismi. Lo dimostrano le mille esperienze spontanee che hanno portato alla rinascita di tanti quartieri difficili, in una città dove più del 20% della popolazione è straniera: si pensi solo a quel piccolo capolavoro della politica cittadina che ha fatto proprio della chinatown di via Paolo Sarpi una delle zone più belle e vissute della città.

Si dice tutto questo con l’orgoglio di chi si sente parte di questa Milano del terzo millennio. Ma lo si dice anche con la consapevolezza che questa Milano è un bene che l’Italia deve tenersi stretto: perché indica una strada possibile per uscire dal terribile pantano in cui il Paese si è arenato. Certo, l’Italia non può fare a meno del Pil che Milano garantisce. Ma soprattutto non può fare a meno di questo suo modello capace di tenere insieme senso civico e voglia di essere competitivi e moderni. L’Italia ha bisogno che Milano continui ad essere Milano.


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