Welfare & Lavoro

Malattie rare, una rivoluzione in otto parole

Pochi, soli, senza diagnosi e orfani di cura: trent'anni fa era questa la situazione delle persone con malattie rare. Oggi è cambiato quasi tutto, grazie alla ricerca e alla forza della comunità dei pazienti. Tante terapie innovative stanno arrivando sulla scena, accendendo speranze inaudite e allo stesso tempo ponendo il tema della sostenibilità. Sul numero di Vita magazine in distribuzione da venerdì 6 marzo, il racconto dei risultati raggiunti e delle sfide aperte

di Sara De Carli

Almeno 300 milioni nel mondo. Tante sono le persone con una malattia rara, praticamente quanto l’intera popolazione degli Stati Uniti d’America. Il terzo continente al mondo dopo Cina e India, una persona ogni 20 abitanti della Terra. Di per sé ciascuna delle circa 7mila malattie rare riconosciute conta pochissimi casi, ma nel complesso avere una malattia rara non è cosa rara. Questa consapevolezza è stata la forza della comunità di malati, che negli ultimi vent’anni hanno saputo accendere i riflettori sui loro bisogni, diritti e sogni, trainando le malattie rare fuori dal cono d’ombra. L’advocacy ha portato le leggi, le leggi hanno portato gli investimenti e gli investimenti hanno portato terapie che stanno cambiando la storia naturale di molte malattie. Le malattie rare non sono più orfane e i malati rari non sono più soli, tanto che la parola d’ordine del Rare Disease Day 2020 è stata “reframe rare”.

Il nuovo numero di VITA, in distribuzione da venerdì 6 marzo, racconta proprio questo momento epocale. Abbiamo scelto otto parole-chiave per raccontare, grazie ai più grandi esperti italiani, cosa è cambiato e cosa sta per cambiare. Sappiamo che quello presente è un momento entusiasmante tanto per i malati quanto per i ricercatori e i medici, ma non siamo ancora al traguardo. Due in particolare sono i temi aperti: l’equità dell’accesso alle cure, posto dalle nuove e quasi sempre molto costose terapie e il rischio che le cure a questo punto possibili non diventino mai reali, qualora l’industria dirottasse integralmente verso patologie più diffuse e remunerative quelle piattaforme tecnologiche che proprio dalle ricerche sulle malattie rare sono nate e hanno dimostrato la loro efficacia.

DIAGNOSI
con Bruno Dallapiccola,
medico genetista, direttore scientifico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma

Arrivare a una diagnosi, per una malattia rara, non sempre è semplice: basti pensare che solo dal 2010 ad oggi ne sono state individuate 848 nuove. Tante famiglie raccontano un percorso lungo e faticoso, fatto di ricoveri, visite, esami, test genetici che non portano a nulla di definitivo: una vera odissea. «Sono circa 7mila malattie rare oggi note, che in futuro potrebbero arrivare a 10mila. L’85% delle malattie ha una frequenza sotto a un 1 caso per milione di persone. La rivoluzione recente, per la diagnosi, viene dalla tecnologia e si basa sulle tecniche di ultima generazione di sequenziamento del genoma. Fatto 100 il genoma, l’esoma è solo il 2%. Il resto, la parte non codificante, fino a poco tempo fa considerato “dna spazzatura”, di fatto ha importanti funzioni di regolazione. Oggi possiamo analizzare l’esoma “clinico”, cioè i circa 5.500 geni-malattia noti oppure estendere l’analisi all’esoma “di ricerca” che indaga più di 20mila geni, compresi quelli finora mai collegati ad una malattia. In urgenza un esoma può essere fatto in pochi giorni».

SCREENING
con Carlo Dionisi Vici
, responsabile dell’UO complessa di Patologia Metabolica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma

Lo screening neonatale, obbligatorio e gratuito dal 1992 per la fenilchetonuria, l'ipotiroidismo congenito e la fibrosi cistica, nel 2016 è stato esteso a 40 patologie: il numero più alto in Europa. La Legge di Stabilità 2019 ha stanziato un aumento dei finanziamenti per lo screening neonatale esteso (SNE), in previsione del futuro allargamento anche ad altre patologie quali le malattie neuromuscolari di origine genetica, le immunodeficienze congenite severe e le malattie da accumulo lisosomiale. «Lo SNE è positivo per un neonato su 2.500/3mila, significa che circa 150 bambini l’anno possono avere una diagnosi precoce ed essere avviati tempestivamente alle cure. La legge ha stabilito che lo SNE non deve limitarsi solamente al test di laboratorio, ma deve prevedere anche la presa in carico dei bambini risultati positivi».

RICERCA
con Francesca Pasinelli
, direttore generale di Fondazione Telethon

Grazie a Fondazione Telethon è stata resa disponibile la prima terapia genica con cellule staminali al mondo, per il trattamento dell’ADA-SCID. Per anni è sembrata una promessa non mantenuta: «L’unico banco di prova plausibile erano le malattie genetiche rarissime, legate al difetto di un singolo gene, quindi la terapia genica è stata sviluppata al nostro interno, in solitudine. Abbiamo dimostrato non solo che quella tecnologia era una promessa mantenuta, ma anche che poteva essere allargata ad ambiti molto meno rari», ricorda Francesca Pasinelli. «Per noi lo sforzo resta quello di risolvere il caso singolo. Sappiamo già che la terapia genica potrebbe curare moltissime malattie, ma ad oggi manca la possibilità di replicare un processo lungo, faticoso, economicamente oneroso… Il momento presente è sì entusiasmante, ma c’è anche il rischio che l’interesse si sposti verso ambiti meno rari, lasciando “al palo” gli ultimi. Un dato preoccupante ad esempio è che gli ultimi bandi della Commissione Europea per la ricerca sulle terapie innovative escludono esplicitamente le malattie rare. “Ripensare” le malattie rare significa anche riproporre questo tema come un problema non risolto».

RETI
con Lucia Monaco,
responsabile del Centro Studi di Telethon e presidente dell’assemblea di IRDiRC

“Reti” è una parola importante, «perché è proprio la visione d’insieme che ha cambiato lo scenario». Ne è convinta Lucia Monaco, responsabile del Centro Studi di Telethon e presidente dell’assemblea di IRDiRC, un ombrello nato nel 2011 che raccoglie oggi 62 organizzazioni da tutto il mondo, tra enti finanziatori della ricerca sulle malattie rare (governativi e non), aziende e organizzazione di pazienti. «Si è passati a tutti i livelli da un approccio centrato sulla singola malattia a uno che guarda alle malattie rare come categoria. Si è compreso che per essere efficaci occorre mettere insieme tutti gli attori: ricercatori, clinici, aziende, enti finanziatori, enti regolatori e anche il paziente, che sempre più è presente non solo come obiettivo della terapia ma come soggetto che partecipa. Possiamo immaginare che per le terapie geniche ci saranno delle economie di scala, ma in realtà molti casi esse sono personalizzate: c’è quindi bisogno di un modello di business diverso da quello attuale».

CURA
con Angelo Selicorni
, pediatra e genetista, direttore della pediatria dell’ospedale Sant’Anna di Como

«Io sono entusiasta dei progressi della scienza, ma ad oggi per moltissimi bambini gli unici trattamenti disponibili sono di tipo sintomatico e riabilitativo. Curarli significa farli stare il meglio possibile: deglutire, respirare, comunicare, dormire, non avere dolore… Il vero farmaco orfano per me è la riabilitazione». Selicorni dal 2016 all’ospedale Sant’Anna di Como ha avviato il progetto “Bambini fragili”, con un pediatra dedicato a tutti pazienti con situazioni complesse e un’infermiera che fa da case manager: va avanti con fondi privati. «È assurdo che in ogni provincia non ci sia un ospedale di riferimento, non intendo un centro Ern, ma un luogo in cui se a un bambino si sfila il bottone gastrostomico si sappia cosa fare». Insomma, «sulla “terapia del quotidiano” e sulla “pediatria della disabilità” c’è ancora poca attenzione. Eppure mantenere un bambino in buona salute significa anche metterlo nelle condizioni migliori per partecipare ai trial clinici che verranno».

Per leggere tutte le parole del cambiamento, per entrare nei laboratori dove sono nate le terapie più innovative per le malattie rare, come la SMA e la β-talassemia​, per scoprire le storie dei pazienti e delle loro famiglie… clicca qui.


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