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La disastrosa invasione delle locuste in Africa

Raccolti devastati, semine mancate: nell’indifferenza si prepara la catastrofe. Missioni Don Bosco raccoglie l’allarme, iniziando dal Kenya

di Redazione

La notizia scivola nelle pagine più interne degli stessi giornali kenyani: quella dell’invasione biblica di locuste, sottaciuta dalle autorità e dai media locali almeno quanto dall’opinione pubblica internazionale attualmente “impegnata” su altre emergenze.

Eppure si contano almeno 20 contee (equivalenti alle nostre provincie) sopraffatte dall’assalto degli insetti volanti; i prodotti alimentari – quando reperibili – hanno raggiunto prezzi esorbitanti per la gente comune; intanto l’Unione Europea ha già stanziato l’equivalente di poco meno di 1,2 miliardi di scellini kenyoti per far fronte alle prime esigenze. Ma che ne sappiamo (o che ci importa), impegnati come siamo a livello planetario dal coronavirus?

Di fronte a sconvolgimenti che si sviluppano in simultanea non ha senso che si confrontino numeri e percentuali per considerare quale sia il più esteso e dannoso. Con gli occhi capaci di girarsi almeno per un istante fuori dai confini tuttavia dovremmo considerare che, dopo l’epidemia virale, ci toccherà l’emergenza umanitaria di milioni di persone fra Kenya e Uganda, lungo un arco che corre parallelo allo svilupparsi del Corno d’Africa. Somalia, Etiopia, Eritrea, Sud Sudan e Sudan integrano la lista dei Paesi colpiti dall’invasione delle locuste di questi mesi.

Partita dallo Yemen, attraversando aree desertiche e la striscia di mare che lo separa dal continente africano, la piaga si è estesa in un crescendo esponenziale al quale non è stato possibile opporre alcuna valida resistenza. Non a caso il piccolo Stato del Golfo viene considerato il punto di origine, o almeno il preludio, di questa straordinaria proliferazione degli insetti. Lo Yemen si è trovato sguarnito, le campagne e le città ridotte a luoghi abbandonati a causa della guerra “dimenticata” contro l’Arabia Saudita, e presenta sicuramente anche questo fra gli effetti collaterali, insieme con la fuga dei profughi, le morti per fame, sete, malattie. Le locuste originarie del deserto sono le più resistenti e veloci nella riproduzione.

Saltando il Mar Rosso, in Africa hanno incontrato bassa resistenza all’approdo sui territori di Somalia e di Eritrea. Fattore decisivo l’impotenza che deriva dalla povertà strutturale e dalla debolezza dei sistemi di governo di quei Paesi. In Kenya, dove sono installate le imprese multinazionali di produzione alimentare per l’esportazione, lo Stato ha lasciato i contadini a se stessi. Se una grande azienda trova il modo di proteggere le colture, a chi vive nelle campagne restano solo le braccia da agitare nel vano tentativo di allontanare i nugoli ronzanti. I raccolti, che servono a sfamare le famiglie e ad alimentare i piccoli mercati locali, sono stati consumati in poche ore dalle fameliche assalitrici, che hanno potuto progredire e riprodursi inesorabilmente. I rimedi dati dallo spargimento di veleni dall’alto si sono rivelati deleteri a più lunga scadenza in quanto distruggono ogni tipo di insetto, compresi quelli utili all’uomo, api in testa, mentre le locuste ormai si sono selezionate per resistere a questi agenti chimici.

Dalle campagne alle città gli effetti si fanno sentire, per ora, sulle classi deboli. La gente che vive nelle baraccopoli, che non ha stipendi e non accede ai negozi del centro città, avverte già forte la difficoltà di accesso al cibo. I più avveduti fra gli intellettuali prevedono una catastrofe alimentare in Kenya che arriverà addosso senza essersi preparati a far qualcosa. A due chilometri dal centro di Nairobi si estende una delle più grandi baraccopoli del pianeta, abitata da oltre 600.000 persone. Ma potrebbero essere anche un milione: la inafferrabilità anagrafica è di per sé la misura della mancanza di tutela della vita. Alla scarsità alimentare là si aggiunge la mancanza di igiene, senza parlare delle cure mediche riservate solo a chi riesce a trovare i soldi che le permettano.

Le elezioni sono lontane (nel 2022) ma già da due anni è in atto la campagna elettorale attraverso la quale differenti gruppi danno l’assalto all’unica certezza di benessere che pare possibile per un Kenyano: il raggiungimento di un seggio al Parlamento, dove cinque anni di sedute garantiscono un vitalizio. Insieme con la classe politica, anche quella economica e quella culturale sfruttano esclusivamente a proprio beneficio le risorse del Paese: persino molte organizzazioni religiose a loro modo giocano una parte decisiva per tenere la gente nell’arretratezza che porterà presto alla fame. Le riforme agrarie non decollano per l’intreccio di interessi fra grandi imprese nel settore agricolo e i latifondisti che non cedono un ettaro dei loro possedimenti. Anche la voce della Chiesa cattolica è soffocata da questo intreccio.

In “questo” Kenya, i giornali parlano ogni giorno del coronavirus che da gennaio circola nel resto del mondo, e che quando arriverà lì non troverà altra risposta che l’allontanamento di chi ne sarà colpito. Delle locuste invece si tace: a metà di quest’anno raggiungeranno l’apice, in misura cinque volte maggiore che adesso. Quando il governo di Nairobi “se ne accorgerà” alzerà bandiera bianca e chiederà gli aiuti umanitari che, nella pandemia, sarà una volta di più difficile far arrivare nelle periferie colpite dalla perdita dei raccolti. Una tempesta perfetta, della quale sapranno approfittare ancora una volta i corrotti.