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L’altro virus: le fake news

Insieme alla pandemia, un numero enorme di bufale e notizie false sul coronavirus continuano a spargersi a livello globale. Secondo uno studio inglese possono contribuire all’esarcebazione dei focolai.

di Anna Toro

Il virus muore se esposto a temperature di 26-27 gradi e si può sconfiggere bevendo tisane bollenti o assumendo vitamina C; può essere espulso tramite gargarismi con una soluzione disinfettante; attenzione perché sopravvive per 12 ore se a contatto di superfici metalliche; orrore sulle strade, camion di cadaveri infetti ma non ce lo dicono. Sono solo alcune delle bufale che sono circolate in Italia in questi giorni di crisi, a cui si aggiungono le catene, finti comunicati a firma della Protezione Civile, falsi audio e testimonianze provenienti da presunti medici e anestesisti diventati virali su Whatsapp e sui principali social network, statistiche e teorie del complotto più o meno fantasiose. Spesso sono le stesse testate giornalistiche – non tutte per fortuna – che, nell’ansia di pubblicare una notizia, non prendono le dovute precauzioni: è il caso dell’informazione secondo cui il coronavirus scomparirebbe in estate come accade con l'influenza, subito smentita dall’Oms che l’ha definita “una falsa speranza”; o dello studio – subito ritirato – che sosteneva che il nuovo coronavirus Sars-CoV-2 potesse diffondersi a distanze ben maggiori rispetto a quelle indicate dagli esperti per rimanere in sicurezza, fino a 4,5 metri. Un problema che naturalmente non riguarda solo l’Italia.

In India – in cui la battaglia contro il coronavirus sta incontrando molti ostacoli, tra grandi folle e infrastrutture inadeguate – è dovuto intervenire il primo ministro Narendra Modi per chiedere ai cittadini di non prestare ascolto alle numerose fake news che circolano in questi giorni nel paese. Come il messaggio da parte di un sedicente consulente dell'UNICEF – subito smentito dall’organizzazione – che chiedeva alle persone di evitare gelati e altri cibi freddi e raccomandava lavaggi frequenti dei vestiti perché "il virus può rimanere sul tessuto per nove ore ". Un altro raccomandava un forte apporto di vitamina C, altri elencavano test di rilevamento del virus fai-da-te. Imponente anche la circolazione di video con scene dalla Cina di corpi che giacciono nelle strade per effetto del coronavirus: le agenzie di fact-checking hanno dimostrato che si tratta in genere di vecchi video, esercitazioni finte e persino scene di film.

Anche in Africa, dove finora ci sono stati relativamente pochi casi confermati di coronavirus, il team di fact-checking della Bbc ha riscontrato numerosi casi di fake news. Dal consiglio di radersi la barba – che impedirebbe il corretto utilizzo dei respiratori – a leggende metropolitane come quella del predicatore evangelico recatosi in Cina a “distruggere il coronavirus” e poi morto in ospedale (ma le foto pubblicate si riferiscono a un attore nigeriano), fino al tassista che, risultato positivo al coronavirus, sarebbe poi fuggito dall'ospedale minacciando di diffondere il virus a meno che non venisse pagato un cospicuo riscatto alla famiglia. In Kenia un falso audio “ufficiale” circolato su Whatsapp ha diffuso il panico parlando di 63 casi nel paese. E poi gli immancabili rimedi contro il virus, come la zuppa di pepe in Nigeria o il tè di finocchio a Capo Verde.

Se molte di queste fake news farebbero anche sorridere – se la situazione non fosse così grave – le ripercussioni negative sono purtroppo reali. Secondo uno studio inglese finanziato dal National Institute for Health Research e pubblicato a fine febbraio dalla East Anglia University, “la disinformazione sulla salute può esacerbare i focolai di malattie infettive”. La ricerca, che si basa su modelli e simulazioni su tre tipologie di malattie infettive ma che secondo i ricercatori si può applicare anche al coronavirus, afferma che le notizie false fabbricate senza rispetto per l'accuratezza e spesso integrate con narrazioni emotive o complottistiche aumentano il comportamento umano a rischio che porterebbe a una maggiore possibilità di contrarre infezioni. “La riduzione della quantità di consigli dannosi in circolazione anche solo del 10% – dal 50% al 40% – ne mitigherebbe gli effetti negativi riferiti allo scoppio di un’epidemia” si legge.

Dunque basterebbe poco, ma i meccanismi che governano la diffusione e viralità delle fake sono potenti: dalle pratiche di “economia cognitiva” (come il fatto che – a prescindere da quanto siamo colti e preparati – se una notizia ci arriva da una persona fidata, noi come prima reazione tendiamo a crederci), al bias di conferma, ovvero il fatto che prediligiamo informazioni che confermano le nostre convinzioni esistenti. Anche la ripetizione gioca un ruolo fondamentale: più si sente un'idea – più circola – più è probabile che la si creda vera. E sebbene gli sforzi dei debunker siano lodevoli e da incentivare, così come gli appelli da istituzioni autorevoli si susseguano senza sosta, il problema è il solito: la notizia falsa ma emotivamente succulenta circola molto più rapidamente rispetto alla sua smentita.


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