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Cari prof, concentratevi sul vostro compito: essere la differenza per i ragazzi

«Gli insegnanti smettano di trattare gli alunni come contenitori vuoti da riempire con schede e compiti», dice Daniela Lucangeli commentando una certa declinazione della didattica a distanza a cui assistiamo in questi giorni confusi. I ragazzi oggi hanno urgenza di essere sostenuti e rassicurati: «Voi potete fare la differenza nel sostenere i ragazzi nel momento in cui hanno più bisogno di aiuto. Anziché fare monologhi di un’ora, meglio organizzare dei micro gruppi, così che il tempo trascorso davanti a uno schermo sia un tempo dedicato».

di Sabina Pignataro

«Gli insegnanti smettano di trattare gli alunni come contenitori vuoti da riempire con schede, compiti, messaggi e materiali fino tarda sera. Anziché affannarsi e consumarsi nella ricerca di piattaforme e slide dagli effetti strabilianti, tornino a concentrarsi sulla loro funzione primaria che è quella di aiutare, sostenere e accompagnare i bambini e i ragazzi nel loro percorso di sviluppo personale, infondendo loro curiosità verso le cose della vita e fiducia nelle proprie capacità». Sollecitata dai tanti e talvolta confusi tentativi di didattica a distanza, Daniela Lucangeli, professoressa di Psicologia dello sviluppo e prorettrice dell'Università degli Studi di Padova, ne approfitta per lanciare un messaggio ai docenti: «Che voi siate l’insegnante che accoglie gli alunni in classe o quello che compare tramite uno schermo al tempo del Coronavirus, ricordate che voi siete coloro che possono fungere da differenziale di sviluppo, il che vuol dire che potete fare la differenza nel sostenere i ragazzi nel momento in cui hanno più bisogno di aiuto». E quello che stiamo vivendo, dice, è uno di quelli.

«In questi giorni i ragazzi hanno una paura tremenda, sono smarriti, in ansia, hanno perso i contatti con il loro gruppo, la loro routine è stavolta. Quello di cui hanno più urgenza è di essere sostenuti e rassicurati, non ulteriormente angosciati e terrorizzati dalla paura di rimanere indietro, che il computer non funzioni, che la connessione salti, che il compito non arrivi per tempo».

Ma cosa possono fare concretamente una maestra o un professore per aiutare i propri alunni, in un momento in cui non è possibile stare vicini, fisicamente, in cui ogni forma di contatto e di abbraccio è bandita? «Può ricordarsi che l’abbraccio non è solo fisico, ma anche psicologico, simbolico… Basti pensare che lo sguardo può abbracciare e la voce, con la sua intonazione, può fare altrettanto. Provate a immaginare – aggiunge – la potenza emotiva di una frase pronunciata con la voce calda, rassicurante, famigliare ed empatica di un insegnate che dice “Lo so che sei preoccupato, lo sono anche io. Con questo messaggio voglio dirti che io ci tengo a te, che tu sei importante, e che non ti lascerò solo, perché insieme abbiamo iniziato un cammino di conoscenza e di sapere”. Sarebbe come una carezza per l’anima, balsamo su una ferita».

E nel frattempo, come si possono mandare avanti le attività e i programmi? L’esperta raccomanda agli insegnanti di non trasformare il mezzo della didattica a distanza «in una sorta di diario tecnologico», pieno zeppo di compiti da fare o prestazioni da soddisfare. «Lascerei da parte i comandi di natura prettamente esecutiva, del tipo “Io ti do i compiti, tu li fai, me li mandi, io li correggo e ti do un voto”, perché altrimenti si amplifica un errore, già molto comune nella nostra scuola, che è quello di “ingozzare” gli alunni. Da questo tipo di didattica – aggiunge – io mi sento di dover fortemente prendere le distanze».

E poi c’è poi un’altra cosa che potrebbero fare gli insegnanti. «Io li inviterei a curare e, se possibile, ampliare, l’aspetto narrativo dei loro interventi, affinché il dialogo con gli alunni sia davvero un dia-logos come lo intendevano i greci: non una parola che è monopolio di uno solo, ma una parola che acquista il suo significato nell’interazione e nello scambio tra insegnanti e bambini». La metafora che usa Lucangeli è quella del telefono senza fili: «Come in un telefono senza fili amplificato, le maestre e i maestri potrebbero, con maturità e consapevolezza, scegliere insieme agli studenti alcuni argomenti su cui ragionare e riflettere, preferendo quelli che favoriscano l'acquisizione di nuove esperienze e di nuove conoscenze anche in futuro. Questo processo di collaborazione e co-costruzione consentirebbe di intrecciare e includere le curiosità, gli interessi e le competenze di tutti i membri della classe. Affinché la somma di tanti “io” si trasformi in “noi” e nessuno sia lasciato da parte».

«Non mi sentirei – prosegue – di incoraggiare un modello in cui l’insegnante fa il suo lungo monologo e poi interrompe le comunicazioni fino al giorno successivo. Così come, al contrario, non mi sentirei di suggerire che tutti gli alunni si connettano e dialoghino contemporaneamente per due ore. Sarebbe non solo molto confusionario, ma anche inefficace». Dal punto di vista pratico, per Lucangeli, sarebbe più sensato se si creassero dei micro gruppi, anche sul cellulare (che è un strumento comune in tutte le famiglie, al contrario di un pc) in cui l’insegnante, per una mezz’oretta, quarantacinque minuti, possa spiegare, dialogare e rispondere alla domande degli alunni. «Facendo in modo che il tempo trascorso davanti ad uno schermo sia un tempo dedicato, non sprecato, non abusato, ma finalizzato alla co-costruzione di un sapere condiviso». Perché, ricorda, «i rischi generati dall’uso sconsiderato della tecnologia non spariscono solo perché c’è il coronavirus».

Infine, per sostenere il compito degli educatori e degli insegnanti che oggi si trovano a dover affrontare tante difficoltà, Lucangeli ricorda una frase del celebre pedagogista sovietico Vygotskij: “Diventiamo noi stessi attraverso gli altri”. «Ecco, questo pensiero deve ricordarci, cari insegnanti e educatori, che con il vostro lavoro avete delle enormi responsabilità ma anche immense potenzialità». Perché, conclude, «in ogni istante della vostra azione educativa voi state lasciando un segno in una persona che sta costruendo non soltanto un bagaglio di nozioni e procedure, ma il proprio sé, la propria intelligenza, la struttura del suo pensiero, l’organizzazione del suo sentire e la percezione del proprio talento. Abbiatene cura con consapevolezza. Anche quando fate scuola tramite una webcam».


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