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Coronavirus: se anche gli aiuti umanitari vengono bloccati

Secondo ong e agenzie internazionali le nuove restrizioni, che hanno chiuso i confini a persone e merci, potrebbero produrre effetti devastanti in paesi già fortemente colpiti da povertà, conflitti ed eventi climatici estremi.

di Anna Toro

Lo Yemen, entrato in questi giorni al suo sesto anno di conflitto, non ha ancora registrato casi di coronavirus, ma il rischio è alto – nei paesi limitrofi se ne contano ormai centinaia. Per scongiurare e ritardare il più possibile quella che potrebbe essere una catastrofe nella catastrofe si è già provveduto a chiudere le scuole e le università, così come l’aeroporto di Sana’a, la capitale al nord. Ma in un paese che per la sopravvivenza della popolazione dipende quasi completamente dagli aiuti umanitari, queste restrizioni potrebbero peggiorare ulteriormente una situazione già al collasso. E così in altri paesi già coinvolti da emergenze umanitarie: le agenzie delle Nazioni Unite, i gruppi di aiuto e gli esperti internazionali hanno infatti avvertito che le nuove restrizioni, che hanno chiuso i confini e i porti, stanno limitando fortemente i movimenti di personale chiave in Africa, Sud America, Asia, minacciando un effetto a catena «drammatico» nei paesi che già soffrono per conflitti, eventi climatici estremi e altre crisi.

«Mentre i governi stanno adottando misure severe e necessarie per prevenire la diffusione del coronavirus, milioni di rifugiati e sfollati dipendono ancora dall'assistenza umanitaria» ha detto Jan Egeland, segretario generale del Norwegian Refugee Council (NRC), secondo cui le nuove restrizioni al movimento avrebbero già impedito all’organizzazione di raggiungere migliaia di persone, tra cui 300.000 in Medio Oriente. «Gli operatori umanitari dovrebbero rientrare nella stessa categoria del personale medico, dei rivenditori di generi alimentari o dei farmacisti. Se i supermercati e le farmacie possono rimanere operativi durante questa crisi, lo stesso vale per la consegna di aiuti umanitari». Secondo l’Onu sono oltre 100 milioni di persone che già prima dell’emergenza facevano affidamento sull'assistenza umanitaria delle Nazioni Unite solo per sopravvivere. Ma i programmi umanitari svolgono un ruolo significativo anche nel rallentare la diffusione delle malattie: la consegna di aiuti come sapone, acqua pulita e kit igienici può infatti impedire la diffusione del coronavirus nelle comunità più vulnerabili.

In Sudafrica – che ha il maggior numero di casi di Covid-19 segnalati nel continente ed è il principale centro logistico umanitario per l'Africa meridionale – 35 posti di frontiera su 53 sono stati chiusi o limitati. Anche in altri paesi già preda di turbolenze e conflitti come Sud Sudan o Repubblica Democratica del Congo, già colpiti da anni di siccità, le nuove restrizioni stanno influenzando in negativo le operazioni umanitarie. Ma i problemi ovviamente non riguardano solo l’Africa. L’Afghanistan, ad esempio, sta affrontando un enorme afflusso di cittadini in fuga dall'Iran, in cui è presente uno dei peggiori focolai di coronavirus al mondo; contemporaneamente il paese ha semi-chiuso i suoi valichi di frontiera congiunti, che sono la strada principale per far passare gli aiuti in Afghanistan, e gli operatori umanitari guardano con attenzione all’evolversi della situazione. Ancora in Bangladesh, che ospita circa 900.000 rifugiati rohingya fuggiti dal vicino Myanmar, il governo avrebbe chiesto ai gruppi umanitari di non portare nuovo personale e di limitare i viaggi tra i campi e la vicina città di Cox's Bazar.

Per non parlare delle altre emergenze, che in questo momento vengono messe in secondo piano. L’Unicef ha segnalato come alcuni governi potrebbero persino decidere di rimandare le campagne di vaccinazione di massa per altre malattie – morbillo, colera, polio – a causa dei servizi sovraccarichi impegnati nel contrasto al coronavirus. «In un momento come questo, questi paesi non possono permettersi di affrontare ulteriori epidemie di malattie prevenibili con il vaccino – ha detto il Direttore esecutivo di Unicef, Henrietta Fore in una nota diffusa dall’Associated Press – Le scorte di prodotti medici scarseggiano e le catene di approvvigionamento sono sotto stress come mai prima a causa di interruzioni del trasporto. Le cancellazioni dei voli e le restrizioni commerciali da parte dei paesi hanno fortemente limitato l'accesso ai medicinali essenziali, compresi i vaccini».

Questo mentre l’Onu ha appena lanciato un piano da 2 miliardi di dollari per combattere COVID-19 nei paesi più a rischio. Il piano comprende la fornitura di attrezzature mediche e di laboratorio essenziali per testare il virus, la creazione di punti per il lavaggio delle mani nei campi profughi e negli insediamenti, il lancio di campagne di informazione pubblica su come proteggere se stessi e gli altri dal virus, l’istituzione di ponti e hub aerei in Africa, Asia e America Latina per spostare gli operatori umanitari e le forniture dove sono maggiormente necessari. «Dobbiamo venire in aiuto dei più vulnerabili – milioni e milioni di persone che sono meno in grado di proteggersi. Questa è una questione di solidarietà umana di base. È anche fondamentale per combattere il virus» ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che in questi giorni ha anche lanciato un appello per un “cessate il fuoco globale”, proprio per meglio affrontare l’emergenza Covid-19. Un appello che fino ad ora è rimasto inascoltato.

Foto da Pixabay.


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