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L’app per monitorare i pazienti a domicilio è made in coop

Si inseriscono i parametri due volte al giorno. Se sono sospetti, scatta un alert. La Cooperativa Medici Milano Centro aveva una piattaforma di telemedicina per gestire i pazienti cronici, che è stata declinata per monitorare a distanza le persone contagiate da Covid19 e messa gratuitamente a disposizione di tutti i medici. «Ognuno di noi ha 25/30 pazienti sospetti, con questa app abbiamo una panoramica giornaliera della situazione», spiega il dottor Aronica. «Perché gli ospedali stanno vincendo la loro battaglia, ma guerra la si vincerà solo sui territori»

di Sara De Carli

Monitoraggio a domicilio dei pazienti, tramite un’app che permette di inviare al proprio medico, due volte al giorno, parametri come temperatura, pressione, frequenza cardiaca e respiratoria. Ma anche quei sitomi che abbiamo imparato a collegare al Coronavirus, come il non sentire odori né sapori. Il sistema è in grado anche di inviare un alert sia al paziente sia al medico nel caso in cui la situazione meritasse un approfondimento: fra gli strumenti a disposizione del medico c’è anche, in prima battuta, la videovisita. L’app è stata realizzata da due cooperative di medici di medicina generale e pediatri di libera scelta lombardi, la Cooperativa Medici Milano Centro e GST (attiva a Legnano e nel varesotto), entrambe aderenti a CO.S Consorzio Sanità, ed è già stata offerta gratuitamente alle istituzioni – Regione Lombardia e Ministero della Salute in primis – alle altre cooperative di medici su tutto il territorio nazionale e anche ai singoli medici che volessero utilizzarlo.

Alberto Aronica è il vice presidente della cooperativa CMMC, il cui presidente è anch’esso positivo al Coronavirus. «La piattaforma era stata studiata per la gestione della cronicità. In sole due settimane, la piattaforma di telemedicina è stata convertita, aggiornata con i parametri necessari secondo quanto indicato dalla letteratura e i relativi algoritmi per monitorare i pazienti contagiati dal Coronavirus o con sintomi sospetti o dimessi», spiega. «La condizione di emergenza sanitaria generata dalla rapida diffusione del Covid-19 ha fatto emergere i limiti della ospedalizzazione come unica soluzione per la gestione del paziente positivo in presenza di un numero elevato di pazienti da prendere in carico. La saturazione dei posti letto rende necessario un’immediata riorganizzazione e quindi una modifica del modello a favore delle cure domiciliari, come dimostra anche la delibera approvata recentemente dalla Giunta regionale lombarda».

La condizione di emergenza sanitaria generata dalla rapida diffusione del Covid-19 ha fatto emergere i limiti della ospedalizzazione come unica soluzione per la gestione del paziente positivo in presenza di un numero elevato di pazienti da prendere in carico. La saturazione dei posti letto rende necessario un’immediata riorganizzazione e quindi una modifica del modello a favore delle cure domiciliari

Che cosa si comunica a “Visitami” (questo il nome dell’app)? «Frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, temperatura, presenza di sintomi come nausea, vomito e anosmia che la letteratura ci dice essere sintomi abbastanza caratteristici, astenia, stato coscienza, pressione arteriosa. Mattina e sera. Noi in tempo reale vediamo il panel della situazione», spiega il dottor Aronica. Se alcuni di questi parametri di combinano rispetto a una situazione di rischio, scatta un alert, che dice al paziente di chiamare il medico mentre al medico segnala che il signor Rossi sta peggiorando. Possiamo fare anche una videovisita, volendo, o andare a domicilio e decidere caso per caso come intervenire. È un sistema “banale” se vuole, ma consente ai medici di gestire la situazione».

Nelle due cooperative, sono 450 i medici che stanno usando l’app. «Potenzialmente possono usarla tutti quelli che lo vogliono. Noi qui in Lombardia stiamo vedendo da un mese che ogni medico su 1.500 assistiti ha 25/30 pazienti con sintomi molto sospetti: ci siamo organizzati per avere negli studi orari contingentati, in modo che la sala d’attesa non sia un ricettacolo di germi. È un metodo per seguire molti pazienti, i primi giorni chiamavamo tutti ogni mattina, è un vantaggio perché con un solo sguardo ho una visione della situazione. La cooperativa è una struttura che consente di avere un centro servizi, il contatto con una software house che ha sviluppato il progetto, avere servizi che il singolo medico può avere…».

Aronica racconta di un paziente che seguiva da giorni a domicilio, positivo al Covid19, che ha cominciato ad avere aumento della frequenza respiratoria non normale: «è scattato l’alert, ho chiamato e ho parlato con la moglie, lui era in uno stato di semi-incoscienza ma lei non si era accorta, l’ho fatto ricoverare. I pazienti se stanno a casa hanno un’evoluzione più positiva, perché rischiamo meno di avere altre infezioni e sono molto rassicurati dal fatto che tutti i giorni inseriscono dei dati che il loro medico vede… tutto fa sì che ci sia minor afflusso negli ospedali».

Il 24 marzo la Giunta regionale lombarda ha attivato una maggior presa in carico e monitoraggio da parte dei medici di famiglia, anche attraverso sistemi di telemedicina, dei pazienti a domicilio, dopo settimane in cui rispetto ad altre regioni (vedi Veneto) questa via era stata poco esplorata. È cambiato qualcosa? «Per il momento no», risponde Aronica. «Dovrebbero iniziare a funzionare le USCA- Unità Speciali di Continuità Assistenziale, unità territoriali composte prevalentemente da giovani colleghi che vanno a domicilio, però sono un po’ slegate, almeno con questo sistema è possibile condividere una parte di dati. I colleghi di Bergamo, dove queste unità funzionano già, ci hanno detto che i pazienti poi chiamano comunque il loro medico e chiedono di lui. Il problema è che non abbiamo DPI. Al bando regionale solo le grandi società potranno rispondere, si tende ancora a emarginare il medico che base che segnalerà il caso ma non potrà gestirlo, mentre sarebbe fondamentale che fosse il medico a gestirlo. Il Veneto, che ha una organizzazione di medicina territoriale che permette di tenere a casa il 70% dei pazienti, la mortalità è minore: lo abbiamo visto. La Lombardia ha puntato su una sanità ospedaliera di altissimo livello e gli ospedali hanno dimostrato che la loro battaglia, con sacrifici, la stanno vincendo: il problema è la guerra durerà anni e si vincerà sul territorio, non negli ospedali. Dovremo organizzare il territorio, monitorizzare i singoli pazienti, per evitare che ripartano focolai. E sul territorio troppo spesso i medici sono soli, nei loro studi, senza la capacità imprenditoriale di gestire queste complessità. Per questo il modello cooperativo è vincente: al medico affida la parte medica, supportandolo in quella organizzativa, così che il tutto risulta più efficace».

Photo by National Cancer Institute on Unsplash


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