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L’invito di Francesco a ripensare la solidarietà

È sotto gli occhi di tutti che l’emergenza Coronavirus stia alimentando lo spirito solidale. Apprezzando questo moto d’amore, Francesco esorta l’uomo a un ripensamento della solidarietà. Un ripensamento, però, che non deve essere ridotto a cogliere le sue nuove forme e a rinnovare le buone intenzioni, ma che va inteso come presupposto attraverso cui far sì che la solidarietà diventi davvero un principio di vita osservato quotidianamente. Da tutti!

di Vincenzo Comodo

Nel bel mezzo della tempesta Covid-19, Papa Francesco affronta il tema della solidarietà, praticamente ogni giorno. Senza limitarsi ad apprezzare i classici gesti di aiuto che la caratterizzano, ma fornendo anche delle indicazioni su come “attualizzarla”.

D’istinto, si potrebbe pensare che tale proposito sia maturato durante questi giorni di quarantena. Tuttavia non è proprio così. Infatti, già un paio di mesi dopo l’inizio del suo pontificato, ricevendo la Fondazione “Centesimus annus”, aveva segnalato che fosse opportuno un «ripensamento della solidarietà». E dinanzi alle urgenze della pandemia in atto, la necessità di tale ripensamento riemerge in tutta la sua portata.

Non foss’altro perché la solidarietà ha manifestato di avere nuovi volti e ha confermato di nascere da inediti bisogni. Allora, tanto per fare qualche esempio, ben vengano le raccolte fondi via social, attraverso programmi televisivi e radiofonici, per l’acquisto di ventilatori polmonari, attrezzature sanitarie, mascherine; le donazioni elargite mediante bonifici ed sms inviati a numeri speciali, per la realizzazione di strutture ospedaliere; le messe a disposizione gratuite delle piattaforme digitali, per l’insegnamento scolastico a distanza; i tantissimi volontari, per l’assistenza ad anziani, malati e a persone sole. E ben vengano anche i piccoli atti di carità compiuti a favore di coloro i quali non dispongono più delle risorse per sbarcare il lunario, il cui numero sta crescendo notevolmente, purtroppo.

Proprio su quest’ultimo punto, Papa Francesco ha speso parole di apprezzamento il 27 marzo scorso, nell’omelia pronunciata a Santa Marta, dicendo: «In questi giorni sono arrivate notizie di come tanta gente incomincia a preoccuparsi in un modo più generale degli altri, molte persone pensano alle famiglie che non hanno a sufficienza per vivere, agli anziani soli, agli ammalati in ospedale e pregano e cercano di fare arrivare qualche aiuto. Questo è un buon segnale. Ringraziamo il Signore perché suscita nel cuore dei suoi fedeli questi sentimenti».

Alla luce di tali riscontri, dunque, si può affermare che stia lievitando la percezione del bisogno di sostenersi reciprocamente. Percezione che viene tradotta in bene concreto. Perché, evidentemente, è sempre più diffuso il sentirsi sulla stessa barca; come è sempre più sentito il dovere di afferrare ognuno il proprio remo, per uscire prima possibile dalle acque tempestose in cui vi troviamo.

Nel pomeriggio della stessa giornata, poi, in una piazza San Pietro vuota, ma con l’umanità intera convenuta a un epocale momento di preghiera che ha già trovato il suo posto nella storia, Papa Francesco ha rinnovato l’invito a «trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà». Abbracciando la Croce di Cristo. Cosa che sta già avvenendo!

Ora, «al di là delle emergenze, come quella che stiamo vivendo», il Santo Padre è stato molto saggio nel far emergere quanto questa terribile prova del Coronavirus sia anche propizia «per trasmettere alle generazioni future l’attitudine alla solidarietà, alla cura, all’accoglienza».

Ma anche quanto sia determinante per ripensare la stessa solidarietà. In che modo? Estirpando le interpretazioni di essa, seguite da relativi atteggiamenti, che non colgono appieno la sua essenza. In altre parole, il fare solidarietà non va ridotto a una pratica saltuaria scaturita, ad esempio, dalla commozione provata per aver ascoltato una toccante storia di vita oppure generata da una catastrofe ambientale o ancora da uno stato di necessità. Come ha ribadito nella Evangelii gaudium, non è «una mera somma di piccoli gesti personali nei confronti di qualche individuo bisognoso, il che potrebbe costituire una sorta di “carità à la carte”, una serie di azioni tendenti solo a tranquillizzare la propria coscienza». Niente di tutto questo! Deve tradursi, invece, in una caratteristica del nostro stile di vita, che possa comprovare davvero che il prossimo viene considerato come fratello. Sempre! E non soltanto nei momenti di difficoltà.

Pur nella drammaticità di questo momento epocale, allora, Papa Francesco ci fa capire che abbiamo un’occasione davvero ghiotta per aggiornare il significato dell’essere solidali. E, di certo, non va gettata alle ortiche. Ci indica, inoltre, che la rotta tracciata è quella giusta. Ed esorta a continuare a seguirla. Quindi, avanti tutta!


*Vincenzo Comodo docente Pontificia Università Lateranense – Istituto di Teologia della Vita Consacrata “Claretianum”


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