Attivismo civico & Terzo settore

Fondazioni garanti del credito alle imprese? Un non senso

È un ruolo che non spetta alle Fondazioni, ma allo Stato. Non solo: un provvedimento del genere rischierebbe di drenare risorse al Terzo settore proprio in un momento dove la tenuta sociale del Paese è decisiva. E anche i numeri dicono che i presupposti dell'ipotesi avanzata da Tito Boeri e Claudio Guiso sono del tutto inconsistenti

di Carlo Borzaga e Felice Scalvini

Crediamo ci si debba interrogare, e interrrogare gli interessati, circa la solidità delle considerazioni e le proposte contenute nell’articolo di Tito Boeri (foto) e Claudio Guiso “La crisi sociale e la garanzia delle fondazioni”, apparso su “la voce.info” e ripreso da ”il foglio.it”, riguardo alle Fondazioni di origine bancaria.

Vi si legge infatti che “troppo spesso hanno messo le finalità sociali in secondo piano rispetto all’esercizio di un ruolo centrale nella governance delle banche conferitarie” e che “la pandemia Covid-19 offre alle fondazioni bancarie la grande opportunità di assolvere al loro compito primordiale” proponendo l’utilizzo del loro patrimonio a garanzia di finanziamenti al sistema produttivo locale e – in caso le imprese garantite non riuscissero a restituire del tutto o in parte i prestiti – di farvi fronte destinando ai rimborsi parte dei fondi altrimenti destinati alle erogazioni Francamente ci pare una proposta quanto meno affrettata perché basata – diversamente da come vediamo normalmente fare negli articoli de La Voce – su impressioni da gazzettieri piuttosto che su dati di fatto e perché frutto di una visione molto parziale della complessità del sistema economico e sociale italiano. Proviamo allora innanzitutto a verificare con i dati la duplice affermazione secondo cui le fondazioni di origine bancaria sarebbero soprattutto occupate ad esercitare un ruolo centrale nella governance delle banche e porrebbero invece in secondo piano le finalità sociali che il legislatore e le comunità di riferimento hanno loro assegnato. I dati su cui basiamo la verifica sono quelli contenuti nell’ultimo rapporto prodotto dall’ACRI, relativo al 2018 e da tutti scaricabile dal sito.

Partiamo con il verificare “l’esercizio di un ruolo centrale nella governance”. Complessivamente sono rimaste 18 su 85 le Fondazioni con una partecipazione superiore al 5% nella banca conferitaria, di cui 6 con una partecipazione tra il 5% e il 20%, 6 tra il 20% e il 50%, ed infine 6 – quelle più piccole – con più del 50%. In compenso 38 non hanno più alcuna partecipazione e 32 sono sotto il 5%. Davvero, con questi dati, si fa fatica a accusare ancora le fondazioni di un soverchiante impegno nella governance delle banche. Peraltro, anche guardando al passato, più che di soverchiate impegno nella governace si dovrebbe parlare del grande impegno di risorse che le fondazioni hanno impiegato nel sostegno al nostro sistema bancario dopo la crisi del 2008, come riconosciuto da profondi conoscitori del nostro sistema finanziario a partire d Guido Rossi e dallo stesso Mario Draghi.

Anche l’accusa di non dedicare adeguata attenzione e risorse alla finalità sociale è smentita dai dati contenuti nei ben documentati apporti annuali dell’Acri. Nel solo 2018 le fondazioni, dopo aver versato al fisco complessivamente 323 milioni, ne hanno destinati 1.025 a erogazioni, principalmente nei settori dell’arte e cultura (255,9), ricerca e sviluppo (140,5), volontariato e beneficenza, (129,8), contrasto alla povertà educativa minorile (119) assistenza sociale (115,5), educazione, istruzione (100,4), sviluppo locale (83). Un flusso di risorse in gran parte destinate alle rispettive comunità, fatto salvo il trasferimento a favore del Mezzogiorno realizzato attraverso il sostegno alla Fondazione con il sud. Un portafoglio complessivo di risorse destinato per il 25% a Pubbliche Amministrazioni e per il 75% al Terzo Settore, del quale le fondazioni sono ormai una delle principali fonti di sostegno.

Me se l’analisi di Boeri e Guiso si può definire affrettata, ancora più discutibile è la proposta. Innanzitutto perché garantire alle imprese l’accesso al credito durante una situazione di crisi è compito delle istituzioni pubbliche – nazionali ed europee – e non delle fondazioni. Forse è il caso che, anche in tempi di crisi ognuno faccia il suo mestiere. Inoltre, Boeri e Guiso sembrano dimenticare che le Fondazioni di origine bancaria sono uno dei pochissimi soggetti sul cui sostegno potranno contare le migliaia di organizzazioni della società civile impegnate in attività di carattere sociale, culturale e ricreativo e nella ricerca, che la crisi in corso ha costretto alla chiusura e che non avendo natura imprenditoriale non possono contare sui vari sostegni pubblici tutti pensati per le imprese. Le stesse iniziative di cui tutti riconoscono il valore proprio in queste settimane e che, dopo l’importante recente impegno di imprese e cittadini nel sostenere con donazioni il sistema sanitario, vedranno nei prossimi anni ridursi anche queste fonti di sostegno. Domanda: credono Boeri e Giuso che queste attività siano cosi marginali per i cittadini – e così poco influenti sul reddito e sull’occupazione – da preferire loro un ulteriore e – dopo le decisioni prese dal governo e dalle istituzioni europee – quasi superfluo sostegno alla liquidità delle imprese? Viene francamente da pensare che l’obiettivo vero della proposta sia il tentativo – non nuovo e su cui c’è stato anche un pronunciamento della Corte Corte Costituzionale – di riportare il patrimonio di queste fondazioni sotto il totale controllo pubblico. Con buona pace del Terzo settore e degli sforzi della società civile per una Italia migliore.

Ovviamente la storia ci ha consegnato anche vicende come Montepaschi, e tutto è migliorabile, ma non può essere misconosciuto, senza dati adeguati a supporto e sulla base di semplici, generiche affermazioni, il ruolo che le Fondazioni di origine bancaria stanno oggi interpretando, soprattutto a sostegno dell’universo del Terzo settore, componente fondamentale in tutti i nostri territori della protezione sociale e dell’economia locale. In questa direzione, invece di cogliere ogni occasione per far loro cambiare mestiere – sembra di gran lunga più vantaggioso per il paese sollecitarle ad operare con sempre maggior impegno, efficacia e capacità innovativa.


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