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Solidarietà & Volontariato

Anche nell’emergenza resta attiva un’associazione su due

Quasi 1.400 risposte al sondaggio svolto dai Csv dell’Emilia-Romagna. Seppure tra le difficoltà, si continua a coprire i bisogni sociali più disparati. Molte le realtà in stand-by: solo un quinto si dichiara indisponibile a svolgere servizi. Emerge anche il quadro complesso dei bisogni rilevati nella cittadinanza

di Stefano Trasatti

Quasi la metà degli enti di terzo settore continuano a svolgere attività di volontariato durante l’emergenza Coronavirus; e buona parte degli altri è disposta a farlo se ve ne saranno le condizioni. È il risultato del sondaggio che i sei attuali Csv dell’Emilia-Romagna hanno svolto nei giorni scorsi, in seguito a un accordo con la Regione. Una rilevazione, si mette in guardia nel report finale (In allegato in fondo alla pagina), che non ha valore statistico in quanto non basata su una logica campionaria, ma le cui conclusioni offrono sicuramente “indicazioni importanti”.
Sono state infatti quasi 1.400 le realtà (“associazioni o enti di Terzo settore”) che hanno compilato il questionario online tra il 26 marzo e il 2 aprile, distribuite in tutta la regione: e 668 di esse (48%) hanno dichiarato di svolgere “servizi essenziali” durante l’attuale emergenza.

La motivazione addotta dall’80% delle 725 associazioni rimaste “ferme” è il rispetto dei decreti restrittivi del governo, seguito a grande distanza dalla indisponibilità di volontari e dalla mancanza di dispositivi di sicurezza. Ma solo 305 di esse – pari a circa un quinto del totale – dichiareranno alla fine di non essere disposte a svolgere alcuna attività in collaborazione con i Comuni tramite i loro volontari.

Tornando alle associazioni “attive”, dal sondaggio emerge che anche per loro sono parecchie le difficoltà a operare. La carenza o mancanza di dispositivi sanitari (almeno al momento della risposta) è dichiarata da oltre la metà (361), ma la scarsità di risorse o di volontari disponibili sono denunciati da 200 risposte ciascuno, mentre la mancanza di beni di prima necessità non sembra essere un problema se non in una cinquantina di casi.

Ma cosa stanno facendo le associazioni? La risposta più frequente riguarda la forma di volontariato diventata quasi un simbolo dei tempi del Coronavirus: la distribuzione/consegna di beni alimentari e farmaci a persone già in difficoltà (poveri, disabili) o rese fragili dall’isolamento (anziani); seguono gli innumerevoli servizi di ascolto o supporto psicologico via telefono, quindi il volontariato di protezione civile e il trasporto sociale.

Ma è la lettura completa delle risposte (specie quelle alla voce “Altro”) in questa e in altre sezioni a mostrare la scoperta, o meglio la conferma più interessante del sondaggio: l’estrema capacità del volontariato di diversificare in modo creativo le proprie attività andando a coprire tutti i bisogni, anche nelle nicchie più dimenticate. Dall’accoglienza di persone in difficoltà (minori, donne, rifugiati) e personale sanitario, alle lezioni on line di sport e teatro; dal confezionamento di dispositivi di protezione alla raccolta, riparazione e distribuzione di materiale informatico; dalla prenotazione di spazi nei parchi per anziani e disabili, al disbrigo di pratiche burocratiche, al supporto pre e post parto…

Creatività, ma anche flessibilità: circa due terzi delle associazioni attive affermano infatti di aver dichiarano di aver intrapreso azioni nuove rispetto all’ordinario, rivolte in modo abbastanza uniforme, nell’ordine, ad anziani, persone sole in quarantena, famiglie con disabili, persone con patologie a rischio. Ma anche a migranti, soggetti con fragilità economica, minori, proprietari di animali ecc. Anche qui la lettura del report testimonia una grande varietà di destinatari.

Il sondaggio permette anche di avere un’idea del numero di volontari mobilitati. Sono più di 10 mila quelli “ingaggiati dalle associazioni” emiliano-romagnole, il 14% dei quali “nuovi”. A questi vanno aggiunti quelli attivati dai Comuni e le centinaia coordinate dai Csv che non appartengono a nessuna associazione.

Puntuale anche l’osservazione dei bisogni rilevati nella cittadinanza: il lungo elenco di problematiche – dalle disuguaglianze tecnologiche, alle povertà – costituisce un autentico quadro della complessità sociale generata dall’emergenza.

Il report si conclude confermando l’alto grado di collaborazione del terzo settore sia al suo interno che con le istituzioni pubbliche. E vengono infine citati i servizi che i Csv – ritenuti utili allo scopo dalla quasi totalità dei rispondenti – dovrebbero maggiormente erogare in questo periodo: comunicazione al primo posto, seguita da supporto nella ricerca di dispositivi sanitari, consulenza normativa, facilitazione dei rapporti con la PA, ricerca di nuovi volontari (molto alta la richiesta), formazione, e una lista molto lunga alla voce “Altro”. Lo scopo dei promotori del questionario era del resto proprio quello di leggere il “momento” attuale delle associazioni e capire come sostenerle in modo efficace.

In apertura foto di Congerdesign da Pixabay


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