Cooperazione & Relazioni internazionali

Coronavirus e diritti: chi controlla l’eccezione

La rete di associazioni “In Difesa Di” ha inviato una lettera al Comitato Interministeriale per i Diritti Umani (CIDU) affinché le misure per contenere la diffusione della pandemia non prescindano dal rispetto dei diritti umani fondamentali

di Anna Toro

Divieto di assembramento, limitazioni alla libertà di movimento, distanziamento sociale, quarantena obbligatoria. Sono certo misure eccezionali, una temporanea sospensione di alcuni diritti fondamentali al fine di contenere la diffusione del COVID19 e allo stesso tempo assicurare il rispetto del diritto fondamentale alla salute. Non a caso la popolazione italiana, a parte qualche eccezione, si è attenuta alle misure imposte senza grandi discussioni. Ma cosa succede laddove già vigono democrazie fragili o sistemi repressivi e autoritari? E pure in una democrazia come la nostra, le misure per contenere la diffusione del COVID19 possono prescindere da criteri di trasparenza e rispetto dei diritti umani? Se lo è chiesto la rete “In Difesa Di – Per i diritti umani e chi li difende” che nei giorni scorsi ha inviato una lettera al Comitato Interministeriale per i Diritti Umani (CIDU), per chiedere che le Nazioni Unite siano notificate al più presto sulle misure eccezionali approvate per far fronte all’emergenza COVID19 e che venga attuato un monitoraggio sulle deroghe ai diritti umani fondamentali.

«Sin da subito è stato evidente il rischio che lo stato di emergenza a livello globale possa trasformarsi – soprattutto nei paesi governati da regimi autocratici e con deriva autoritaria – in uno stato d’eccezione permanente o che possa divenire il pretesto per limitare ulteriormente gli spazi di agibilità civica e le libertà civili» spiega Francesco Martone, portavoce della rete che, nata per sostenere chi viene criminalizzato per il suo impegno in difesa dei diritti umani fondamentali, è oggi composta da oltre 40 associazioni. «Per questo già il mese scorso vari esperti delle Nazioni Unite e l’Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet hanno esortato gli Stati a garantire un approccio basato sul rispetto dei diritti umani, ad approvare soltanto misure proporzionate e temporanee, e a garantire il diritto alla salute a tutte e tutti, incluse le persone più vulnerabili e marginalizzate».

Si guarda ad esempio con preoccupazione all’Ungheria di Viktor Orbán e al recente conferimento dei pieni poteri al presidente per la gestione dell’emergenza. In Brasile un gruppo di 70 organizzazioni della società civile ha scritto una lettera contro la misura provvisoria 928 firmata dal presidente Bolsonaro, che sospende addirittura fino al 31 dicembre le tempistiche che le autorità pubbliche e le istituzioni hanno per rispondere alle richieste di informazioni presentate ai sensi della legislazione sulla libertà di informazione del paese e proibisce i ricorsi in caso di richieste respinte. Ancora, le misure e i progetti relativi al data tracing digitale, tutte da seguire con estrema attenzione per evitare abusi nonostante le deroghe ad alcuni diritti civili fondamentali per esigenze di salute pubblica. Qui in Italia come altrove.

Come sottolineato dalla lettera inviata al CIDU, si tratta infatti di situazioni che nonostante l’eccezionalità devono comunque essere regolate dal diritto internazionale, il quale già prevede una serie di obblighi per gli stati in seguito alla proclamazione dello stato di emergenza. Tra questi, l’obbligo di notifica ai “treaty bodies” delle Nazioni Unite qualora venissero significativamente limitati i diritti fondamentali quali quello alla mobilità, alla vita familiare o alla riunione ed assemblea. Attraverso il Segretario Generale delle Nazioni Unite, chi si avvale di queste deroghe deve quindi informare tutti gli Stati membri, includendo tutte le informazioni sulle deroghe applicate, e sulle ragioni delle stesse, allegando tutta la documentazione necessaria. «L’obbligo di notifica immediate riguarda anche la fine della deroga» si legge nella lettera.

Ancora, la rete In Difesa DI ricorda che la proclamazione dello stato di emergenza, con tutte le conseguenze che ne derivano, dev’essere informata da criteri di trasparenza e “accountability” chiari e verificabili. Ma se in alcuni paesi, come ad esempio la Francia, esiste una autorità nazionale indipendente che svolge opera di monitoraggio e vigilanza, in Italia invece tale istituzione indipendente non c’è. «Ciò non esime comunque il nostro Paese dall’obbligo di assicurare il rispetto delle condizioni prescritte dal diritto internazionale» scrivono le associazioni, che auspicano la produzione, da parte del CIDU, di un dossier pubblico e dettagliato sulla compatibilità delle decisioni prese dal governo in materia di COVID19 con le Convenzioni internazionali sui diritti umani delle quali l’Italia è parte, assicurando così un monitoraggio costante.

Dopotutto non è raro che il controllo pervasivo di una società si trasformi in una trappola da cui è difficile tornare indietro, e l’appello fatto dai relatori speciali ONU dell’Ufficio dell’Alto Commissario ONU sui Diritti Umani non a caso mette in guardia sul rischio che la crisi del COVID-19 possa essere utilizzata dai governi per rafforzare i loro poteri, senza alcun controllo, o per accentuare i loro tratti autoritari. «L’ l’Italia – spiega Martone – in quanto membro del Consiglio ONU per i Diritti Umani, dovrebbe adoperarsi con ogni mezzo a sua disposizione affinché la situazione di emergenza non diventi un pretesto per giustificare violazioni dei diritti umani e attacchi contro i difensori e le difensore dei diritti umani in altri paesi del mondo».


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