Welfare & Lavoro

Co-progettazione dove sei?

Migliaia di organizzazioni che gestiscono i servizi di welfare (assistenza domiciliare, servizi educativi, centri diurni) stanno faticosamente riprogettando le modalità di erogazione, riorganizzando lo staff, definendo le procedure per garantire la sicurezza dei beneficiari e dei lavoratori, gestendo gli squilibri finanziari. Ma non sempre le policy pubbliche sono adeguate

di Aurora Donato e Federico Mento

In questi giorni, si sono susseguiti interventi, appelli e riflessione in merito all’impatto della pandemia Covid19 sulle organizzazioni del Terzo Settore. Quel prezioso ordito di passione civile e competenze che ogni giorno si prende cura di tutti coloro che vivono una condizione di fragilità, rischia di essere lacerato irrimediabilmente dagli effetti devastanti della crisi. Ciò che stiamo vivendo rappresenta qualcosa di inedito, non possiamo limitarci ad aprire la consueta borsa degli attrezzi, con cui abbiamo cercato di aggiustare, spesso con crescente imperizia, le crisi e le difficoltà del passato. Migliaia di organizzazioni che gestiscono i servizi di welfare (assistenza domiciliare, servizi educativi, centri diurni) stanno faticosamente riprogettando le modalità di erogazione, riorganizzando lo staff, definendo le procedure per garantire la sicurezza dei beneficiari e dei lavoratori, gestendo gli squilibri finanziari. Si tratta di uno sforzo poderoso che testimonia la vitalità del Terzo Settore, la sua capacità di resilienza, la sua enorme generosità. Eppure, la severità della crisi rischia di trasformare questa spinta in una sfibrante fatica di Sisifo; in tal senso è necessario un quadro di policy solido che sappia guardare oltre la fase emergenziale. Ad oggi, le misure articolate dal policy maker sono state balbettanti, incerte, di respiro corto.

L’articolo 48 del Decreto Cura Italia, pur proponendo alcuni passaggi condivisibili, presenta diversi elementi che dovrebbero essere meglio specificati e corretti, per non lasciare le amministrazioni locali e le organizzazioni di Terzo Settore nella terra di nessuno delle interpretazioni. Nonostante alcuni tentativi di fornire un indirizzo in merito, fra cui la sottoscrizione da parte della Regione Lazio di un protocollo di intesa con ANCI Lazio, cooperazione sociale, Forum Terzo Settore Lazio e sindacati, l’attuazione dell’art. 48 appare finora in effetti abbastanza variegata. Sebbene dal tenore letterale della norma sembra emergere un vero e proprio obbligo per le amministrazioni di fornire le prestazioni sostitutive – secondo un ordine di priorità individuato dalle amministrazioni stesse, ma coinvolgendo gli enti gestori tramite “co-progettazioni” – non dappertutto si sta effettivamente procedendo alla riconversione dei servizi. Inoltre, il secondo comma relativo alle modalità di pagamento risulta foriero di ambiguità, non agevolando il complesso compito degli enti gestori.

Ciononostante, in molte realtà sono stati avviati percorsi virtuosi di riprogettazione dei servizi, dalla singola attività reinventata per volontà degli operatori che, anche prima dell’intervento del Governo, non si sono arresi a lasciare da soli gli utenti, a interventi strutturati come quello del Comune di Milano che ha attivato un percorso di coprogettazione per le modalità alternative di erogazione e il sostegno dell’utenza da remoto, coinvolgendo unitariamente tutti gli enti gestori dei servizi sospesi ed approvando in tempi brevi i progetti per la rimodulazione del sistema.

Al momento, il disegno di legge di conversione del Decreto Cura Italia è stato approvato dal Senato senza modifiche sostanziali all’impianto dell’art. 48. Seppur sia difficile immaginare un intervento migliorativo alla Camera, è sempre possibile – anzi, è quantomai necessario – intervenire ulteriormente sulla disciplina dei servizi sociali.

In primo luogo, è urgente chiarire la obbligatorietà – ovviamente fintantoché ciò sia concretamente possibile e garantendo la tutela della salute degli operatori e degli utenti – della riconversione dei servizi, anche di quelli attualmente non espressamente inclusi nell’elencazione dell’art. 48, ma riconducibili alla sua ratio, come l’Assistenza Educativa Culturale (AEC) e le altre forme di assistenza nella scuola primaria e secondaria.

Con riferimento alla delicata questione dei pagamenti (art. 48, co. 2), poi, ferma restando l'opportunità di un sostegno complessivo agli enti gestori, andrebbero previste ulteriori ipotesi di “quote” da corrispondere in favore degli enti gestori, che riconoscano il notevole sforzo da questi messo in campo. Attualmente, la norma prevede la corresponsione di una quota per lo svolgimento dei servizi alternativi e di una quota per il mantenimento delle strutture, per garantire che le stesse risultino immediatamente disponibili e in regola con le disposizioni vigenti alla ripresa della normale attività.

A tali corresponsioni dovrebbero essere aggiunte ulteriori voci volte a valorizzare e a retribuire l’elemento di “riprogettazione” del servizio, i costi aggiuntivi spesso imposti dalle nuove modalità (non necessariamente meno dispendiose per enti, anzi), i costi per la conservazione delle risorse necessarie a garantire una pronta riapertura delle attività in modalità ordinaria quando sarà il momento, che sussistono anche per chi non gestisce una struttura. Inoltre, dovrebbe essere prevista espressamente anche l’erogazione e la retribuzione di servizi aggiuntivi connessi alla fase di emergenza, sul modello della richiamata co-progettazione del Comune di Milano, che prevede anche lo svolgimento (e la retribuzione) di “ulteriori servizi di emergenza” individuati come prioritari dall’Amministrazione, in ragione dell’evoluzione dei bisogni socioassistenziali e sociosanitari della città. Si tratterebbe di una deroga alla disciplina ordinaria in materia di appalti pubblici coerente con la fase di emergenza, sul solco anche delle previsioni in materia di solidarietà alimentare. Del resto, tanto il Codice dei contratti pubblici, quanto il diritto dell’Unione europea, consentono forme di affidamento particolari per ragioni di urgenza.Vi è poi il tema della transizione e gestione dei servizi in scadenza, che esula dal contenuto dell’articolo 48, ma che a nostro avviso necessita di attenzione da parte del legislatore. Ci riferiamo ai servizi in scadenza rispetto ai quali la straordinarietà dell’emergenza non consentirà di avviare celermente una nuova procedure di affidamento, lasciando pertanto nell’incertezza coloro che ad oggi gestiscono quei servizi e gli utenti che ne fruiscono.

L’istituto delle proroghe c.d. “tecniche”, previste dal Codice dei contratti pubblici (art. 106, co. 11), potrebbe non risultare sufficiente, in quanto tali proroghe sono limitate al tempo strettamente necessario e all’esecuzione delle stesse prestazioni previste nel contratto, agli stessi prezzi, patti e condizioni. In tal senso, le prestazioni oggetto di proroga non saranno mai esattamente le stesse previste dal contratto, poiché le attività sono state ricalibrate alla luce dell’emergenza sanitaria. Con riferimento a tali ipotesi è necessario ragionare sui moduli procedimentali più adatti per traghettare i servizi verso il futuro, anche prevedendo delle speciali procedure “ponte” per la “riprogettazione” dei servizi in scadenza, che valorizzino la co-progettazione con gli enti. Soprattutto sotto la soglia di rilevanza comunitaria (che per i servizi sociali è di € 750.000), il legislatore nazionale non incontrerebbe limiti nel prevedere procedure, anche snelle e accelerate, pur nel necessario rispetto dei principi del procedimento amministrativo, che – focalizzate sull’elemento della “riprogettazione” dei servizi, che potrebbero generare un rilevante valore per le amministrazioni in termini di un contributo da parte degli enti con riferimento alle modalità di erogazione delle prestazioni nella nuova fase.

L’evidente straordinarietà della crisi può rappresentare un’opportunità per innovare le procedure per la programmazione e l’affidamento dei servizi. In primo luogo, rafforzando l’istituto della co-progettazione, poiché l’incertezza della fase post-emergenziale non potrà essere ricompresa nella rigidità dei capitolati, ma dovrà necessariamente ricorrere a meccanismi dialogici tra la stazione appaltante e le organizzazioni che erogano i servizi. Al medesimo tempo, l’esperienza di questi mesi ci potrà servire per uscire finalmente dall’equazione tra ore di prestazione e risultato, portandoci a ragionare con un approccio spostato sul perseguimento degli outcome, dei benefici prodotti per i beneficiari del servizio. Nei prossimi mesi il Terzo Settore sarà chiamato ad uno compito ancora più arduo: ricucire insieme i frammenti di un Paese uscito a brandelli dalla crisi, cerchiamo di mettere a sua disposizione tutti gli strumenti per rispondere a questa sfida, da cui dipende la qualità del nostro presente e del futuro che sapremo costruire per le generazioni future.


Gli autori: Aurora Donato è avvocato e co-founder Legal Team, Federico Mento è co-direttore Ashoka Italia


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