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Coronavirus. Qui occorrono subito azioni concrete di “responsabilità aumentata”

Il mantra del “nulla sarà più come prima” associato al “ne usciremo migliori” arma la peggiore delle trappole. Pensare il “dopo” saltando il “durante” significa consegnarsi ad affascinanti quanto improbabili fughe dalla realtà. Siamo immersi in un “durante” che sta consegnando elementi utili per fronteggiare le sfide e per prefigurare alcuni scenari desiderabili. Eccoli

di Marco Marcatili* e Massimiliano Colombi

C’è un Paese ancora a “testa bassa”: piegato dal fronteggiamento estenuante del Coronavirus; scosso dai lutti forzatamente senza commiato; incerto nelle soluzioni di fronte ad un virus sconosciuto e difficile da inquadrare in maniera definitiva; con una prospettiva reale di breve periodo e una speranza che fatica a spingersi oltre l’immediato. Teste basse anche perché sovraccariche di parole a volte vuote, altre volte ostili e in alcuni casi a bassa affidabilità. Rischio, incertezza e fragilità sembrano i tre massi al collo che impediscono alle teste di rialzarsi per guardare oltre e immaginare altro. Teste basse perché ci scopriamo raccolti ad interrogarci sul senso della nostra esistenza personale, familiare e comunitaria; impegnati a riscoprire la nostra interiorità per troppo tempo sedata da un culto mortifero delle apparenze; concentrati a immaginare nuove modalità che consentano di conservare quanto di vitale scoperto in questo periodo.

Nello stesso tempo alcune retoriche sembrano invadere il Paese e creare un vortice pericoloso che sembra risucchiare la possibilità di prefigurare scansi credibili e sostenibili.

È tornato il mantra del “nulla sarà più come prima” che associato al “ne usciremo migliori” arma la peggiore delle trappole: pensare il “futuro automatico”. Abbiamo già vissuto questa illusione ad esempio nella crisi finanziaria del 2008: oggi, purtroppo, sappiamo che tutto o quasi è tornato come prima.

Una seconda miopia si è riscontrata nelle aree del Centro Italia scosse dal terremoto del 2016: “tutto com’era e dov’era” era la bussola per una ricostruzione impossibile. Anche qui un’idea automatica e quindi non pensata ha fatto perdere tempo e consumato speranza.

A tutto ciò si aggiunge un delirio contemporaneo che si costruisce intorno alla dicotomia “prima-dopo” utilizzata per determinare la fine della pandemia e l’inizio di una nuova era. Se appare difficile esprimersi sulla fine senza cadere nella logica delle scommesse, si rischia un’affidabilità da oroscopo nel determinare le caratteristiche della “nuova” era. Si potrebbe riflettere sul fatto che già oggi sappiamo con certezza che siamo chiamati a vivere e ad abitare il “durante” e che il “dopo” più prossimo sarà più simile al durante che non al prima. Sappiamo che mascherine, distanziamento sociale, diversa organizzazione del lavoro, nuova modalità di fruizione dei servizi e spazi pubblici, inedite scelte per il tempo libero saranno elementi che ci accompagneranno per un periodo più lungo rispetto a quanto da noi desiderato.

Siamo immersi in un “durante” che sta consegnando elementi utili per fronteggiare le sfide e per prefigurare alcuni scenari desiderabili.

  • La forza della solidarietà organizzata e spontanea sta aiutando a vedere l’inadeguatezza di alcuni paradigmi fondati sull’individualismo e sulla competizione sfrenata.
  • La possibilità di coniugare la competenza professionale con l’umanizzazione delle relazioni disegna un nuovo spazio professionale non solo per i lavori di cura.
  • Le conquiste di un welfare e di una sanità orientati in senso universalistico non sembrano più vecchi arnesi di epoche passate, ma possono rappresentare utili agganci per ripensare nuove modalità di convivenza accogliente e inclusiva.
  • Nello stesso tempo anche la vecchia Europa alle prese con le fatiche di mostrarsi competente e capace di fronteggiare le nuove sfide è chiamata a dare prova di sé, chiamando tutti i Paesi ad una fiduciosa scommessa su una reciproca affidabilità.

In questa prospettiva possiamo comprendere come le sfere dello Stato, del Mercato e della Comunità interroghino tutti gli uomini “di buona volontà” per la ricerca di nuovi equilibri tanto importanti nel “durante” da aprire percorsi da traghettare nel “dopo”. Per questo pensare il “dopo” saltando il “durante” significa consegnarsi ad affascinanti quanto improbabili fughe dalla realtà.

Il desiderio di “rialzare la testa” – meglio se tutti insieme – ci impegna allora a riconoscere altri virus – sociali ed economici – in corso di incubazione che potrebbero rappresentare un contro bilanciamento vitale, in attesa di costruire un sistema efficace di antivirus.

  1. Il primo è il “virus di umanità” che, anche in questa difficile fase, sta attaccando lentamente alcuni approcci turbo capitalistici in favore di una “economia umana” e una certa propensione antropologica a incentrare le nostre viste solo sui valori, metodi e parole funzionali al mercato. La crescita economica durante la fase di globalizzazione ha prodotto una serie di “fratture” non più sostenibili: tra la l’economia e il sociale, tra l’umano e l’ambiente, tra la produzione e la finanza, tra la competizione e la collaborazione. Mentre tutto si espandeva, tutto si slegava: il nostro modello di crescita ha indebolito la trama dei rapporti sociali, inasprito le diseguaglianze, minacciato le possibilità di sviluppo futuro, eroso ogni intermediazione e svuotato le istituzioni. Ogni slegatura è diseconomia e si pagano oggi i conti della fase storica alle nostre spalle. Non sappiamo ancora bene in che cosa consisterà la prossima crescita economica, ma sappiamo che una crescita senza umanità non è sviluppo.
  2. Il secondo è il “virus della sostenibilità”. L’aumento di ricchezza e di benessere passerà da scelte in grado di aumentare l’economia, l’umano, il sociale e l’ambiente contemporaneamente. Migliorare la qualità delle relazioni umane, occuparsi di una sfida sociale o ambientale, come quella della salute, dell’acqua e dell’alimentazione, deve essere concepito come un vero e proprio business, non come atto filantropico esterno o indipendente dal core business. In questo senso l’impresa non è più un’organizzazione chiusa, ma un’infrastruttura aperta a cui viene richiesto di migliorare la qualità di un territorio e assicurare la sostenibilità dello sviluppo umano.

Conosciamo quanto siano deboli i modelli predittivi nei periodi di normalità, stimare le previsioni sugli effetti economici nei settori e nei territori è oggettivamente impraticabile nella “nuova normalità” fatta di una socialità indefinita, di una evoluta emotività nei consumi e investimenti futuri, e di una domanda pubblica ancora tutta da costruire nei contenuti e nelle modalità di intervento.

Di fatto siamo entrati nell’emergenza con una stima del 3,5% di perdita complessiva di PIL nel 2020, ma gli ultimi dati sono di un calo oltre il 10%, che significherebbe per il sistema Italia una perdita secca di 200 miliardi di euro, oltre che effetti devastanti sul piano delle diseguaglianze sociali e opportunità reddituali.

Paradossalmente, questa volta, ad essere più colpito potrà essere il capitale sociale senza protezione rispetto alla pratica del distanziamento, ai meccanismi finanziari in discussione nei vari decreti e al restringimento dei bilanci pubblici e famigliari. Certamente i “bazooka” della BCE, il fondo europeo salva-Stati e le risorse straordinarie dei Governi nazionali saranno importanti per la dimensione degli investimenti, ma progettare il “durante Covid” significa anche attuare subito misure e azioni “anti-cicliche”. Tutti insieme abbiamo capito gradualmente in questi mesi i comportamenti sani per rispettare gli altri di fronte all’emergenza sanitaria. Occorre immaginare e condividere alcune azioni concrete di “responsabilità aumentata” con l’obiettivo di prendersi cura degli altri di fronte alla possibile devastazione sociale ed economica.

  • Per le medie imprese leader, può significare “farsi carico della filiera”: non incassare subito dai clienti; pagare in anticipo i fornitori; dare continuità alle produzioni utili e programmi di investimento; investire nel capitale sociale dei fornitori strategici.
  • Le Amministrazioni e le imprese pubbliche di servizi, possono investire per “essere soggetti anticiclici”: essere di esempio non riducendo le attività per contenimento dei costi; favorire il più possibile lavoro agile, evitando cassa integrazione o ferie per i dipendenti; dare continuità all’erogazione di servizi sostitutivi/aggiuntivi utili alla comunità; aumentare il plafond degli investimenti.
  • Il Terzo Settore, che corre il rischio di vedere evaporare tutte le realtà nascenti e maggiormente innovative, è chiamato a “sviluppare una logica di rete” che possa attenuare tutte le fragilità degli altri attori sociali, culturali e sportivi.

Tutto ciò perché questa volta non è solo importante resistere per sé, ma anche per il sistema.

E per tutte queste ragioni ci sembra importante restare connessi a parole di bellezza che ci vengono offerte da un poeta come Rainer Maria Rilke: “non si tratta di contare il tempo; si tratta di crescere come l’albero che resiste fiducioso”. E come insegna Arturo Paoli “camminando, s’apre cammino”.

Per questo il “durante” sarà decisivo per un pizzico di “dopo” o semplicemente di “allora”.

*Economista di Nomisma **Sociologo e direttore di Anteas


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