Cooperazione & Relazioni internazionali

Le testimonianze dei naufraghi sbarcati a Pozzallo il giorno di Pasqua

Nessun caso di positività tra i migranti presenti all'Hotspot di Pozzallo dove si trovano 50 persone. I 101 arrivati autonomamente a Pozzallo su un gommone nel giorno di Pasqua si trovano al centro Don Pietro e hanno ricevuto supporto e assistenza dal team di Medu. Un ragazzo somalo ha raccontato il suo periodo di detenzione a Beni Walid in Libia: "C'è una grande buca nel terreno, da cui non si può uscire: è l'ingresso al piano sotterraneo dove mettono i prigionieri"

di Alessandro Puglia

Nessun caso di positività al Coronavirus all’hotspot di Pozzallo dove al momento si trovano 50 persone precedentemente sbarcate in Sicilia. La situazione è sotto controllo e non ci sono casi di positività neanche nel centro Don Pietro di Ragusa dove si trovano i 102 migranti che hanno raggiunto autonomamente il porto di Pozzallo con un gommone partito dalla Libia il giorno di Pasqua.

Qui i migranti stanno per concludere il loro periodo di quarantena e a fargli visita offrendo tutto il supporto medico e psicologico è stato il team di Medu (Medici per i diritti umani) Sicilia.

«Le condizioni psico-fisiche dei migranti sono generalmente buone, pur non senza alcune criticità. Tre di loro sono stati ricoverati in ospedale nei giorni scorsi per TBC, mentre diversi erano i casi di scabbia al momento del loro arrivo a Pozzallo. Durante la visita il team Medu ha anche fornito informazioni sulla pandemia in corso, distribuito mascherine e raccolto testimonianze. Queste ultime purtroppo confermano come la situazione dei migranti in Libia sia sempre la stessa: costantemente a rischio di rapimento, detenzione, tortura e sullo sfondo una guerra e la minaccia di un virus la cui presenza è ormai accertata anche lì» scrive il team di Medu che ha raccolto una preziosa testimonianza di un ragazzo somalo di 17 anni.


«Sono stato 3 anni in Libia. Due li ho passati in una prigione a Beni Walid. C'è una grande buca nel terreno, da cui non si può uscire: è l'ingresso al piano sotterraneo dove mettono i prigionieri, legati a due a due al polso per tutto il tempo: qualunque cosa la devi fare insieme al tuo compagno, incluso andare in bagno. Lì aspetti che ti picchino e torturino. Vedi questa cicatrice vicino al gomito? Me l'hanno fatta con il coltello. Rimani lì dentro a meno che ti vendano o che qualcuno non paghi per la tua libertà. Ci sono ancora tante persone in quel buco, adesso.»

Il campo di detenzione di Bani Walid è lo stesso in cui è stato prigioniero Segen, il giovane eritreo di appena 26 chili, morto il giorno dopo il suo sbarco a Pozzallo il 12 marzo 2018.


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