Attivismo civico & Terzo settore

Al Terzo settore serve un atto di umiltà per provare ad innovare davvero

Non basta continuare a dire “siamo qua noi”. Le tecnologie socio-sanitarie e socio-educative messe in atto negli scorsi 20 anni sono ancora quelle giuste? Oppure erano già superate? Misura di impatto, verifica degli outcome, welfare generativo: sono etichette o sono entrate nel metabolismo delle organizzazioni?

di Mino Spreafico

In queste settimane un'emozione che mi si presenta tutti i giorni, tutte le mattine è una spinta a raggiungere chi è senza voce. Non intendo le persone “mute”, ma penso agli anziani soli nelle loro case e che all’arrivo di Coronavirus non erano ancora in alcuna lista di attesa per frequentare un qualche centro diurno, un Alzheimer Caffè per esempio, o una RSA; penso anche agli anziani che erano già dentro le RSA prima della crisi; penso ai giovani disabili che dalle loro famiglie raggiungevano quotidianamente strutture di varia dimensione e capacità, sia diurne che residenziali e ora sono rientrati a casa oppure sono altrettanto imprigionati in strutture che li ospitano; penso ai ragazzi autistici che spesso non usano le parole ma altri gesti per connettersi al mondo; penso ai ragazzi che non ci stavano “dentro” e ricorrevano a sostanze per stare in equilibrio, ma altrettanto stavano maturando una idea di cambiamento. Ci sono poi gli studenti e i docenti in difficoltà, i migranti che erano per la strada o stavano arrivando sulle nostre sponde, i lavoratori precari che aspettavano concorsi, occasioni stabili di lavoro.

In queste settimane ho visto molte reazioni e anche ottime iniziative in diversi campi: la Scuola, Il Mondo del Lavoro e recentemente anche le realtà del Welfare Aziendale, la Sanità, Il Terzo Settore con una attenzione particolare alle iniziative di tipo Finanziario.

Abbiamo visto una reazione molto rapida ed efficace nel sistema sanitario. Sono stati costruiti Ospedali provvisori ad elevato livello di complessità e specializzazione. Sì, abbiamo capito poi che serviva anche una sanità territoriale ma questo non ha impedito come prima reazione di curare gli acuti di cui detto.

Abbiamo visto una reazione tecnologica rapida e anche efficace: produrre valvole con stampanti 3D, manifatture che hanno cominciato a produrre supporti sanitari e DPI.

Abbiamo visto un ingresso a pieno titolo delle Tecnologie digitali nel mondo del Lavoro e della Scuola. In verità non è detto che in questi ambiti siano comparse delle vere innovazioni totali, ma solo una diversa organizzazione dell’apprendimento e della produzione. Non è vero si dirà ad esempio circa la scuola che le innovazioni sono profonde: si è modificata parte della didattica ma non è cambiata la scuola. Quanto meno vi sono state delle “deroge” al normale modo di fare lavoro e ancora una volta di fare scuola, si sono viste alcune devianze, qualche trasgressione che apriva a una innovazione radicale. Diciamo Scuola e Lavoro hanno ancora da esprimere vere innovazioni, ma gli sforzi sono in corso. Sono fiducioso. Qualcosa è spuntato.

Nel mondo delle persone senza voce di cui tratto non si è visto niente di simile. Ne ho prova almeno nel campo degli anziani e nel campo dei disabili perché li ho frequentati il più possibile, tutti i giorni. Da 60 giorni ad oggi.

Anziani: quanti sono? Dove sono? come raggiungerli? Prendo un dato che rende conto della dimensione del problema. Il dato che riporto in modo non preciso lo recupero da una Conferenza del 2018 di Fondazione Ferrero sul tema dell’invecchiamento attivo. In Piemonte ci sono circa 400 mila persone anziane over 75 e in situazione di autosufficienza precaria. Di queste 36.000 mila sono ospiti nelle RSA, vi sono circa 130.000 badanti. Gli altri 234.000 mila sono a casa da soli. Io non so se questa quota di persone comunica e come con qualche operatore socio-sanitario. Non lo so. I servizi sociali hanno messo in campo in questi anni un lavoro di comunità per anticipare la lettura dei bisogni, il terzo settore ha liste precise di persone da accudire. Le associazioni di volontariato possono essere presenti in un territorio, ma possono anche non esserlo. Estendiamo queste proporzioni ad altre Regioni e troviamo numeri impressionanti di anziani soli che non hanno un terminale con cui comunicare in questa fase di emergenza. Servono (servivano) operatori sociali domiciliari di nuova concezione che attivano azioni di care givers in tempi rapidi. Serve una formazione rapida di queste persone.

Disabili. Ci sono situazioni differenti. La attività ergoterapica, la attività di socializzazione è il minimo oggetto della loro presa in carico. Potersi muovere fisicamente è un bisogno per queste persone. Penso alle risorse della natura, non necessariamente alla pet terapy, al fitness, al costruire oggetti, al far riprendere le routine quotidiane.

Questi due ambiti sono un campo di lavoro dove sono attese iniziative nuove. Ho cercato di sollecitare il terzo settore che mi è prossimo per vedere se potevano accogliere volontari con il pre-requisito di essere quanto meno alfabetizzati. Se potevano unirsi a loro per guardare questa emergenza. Mi ha risposto un solo Centro sui tanti che ho contattato. Ho cominciato con loro una piccola attività che serve a me e spero serva a loro. Ma non voglio fare da solo perché non smuovo nulla.

Vedo il Terzo settore che perde fatturato e sta cercando di non abbandonare i contratti, gli appalti attivi. Si sta pensando a fare le stesse cose, a modificare i processi ma non i prodotti. Si attendono indicazioni Regionali per modificare “qualcosa”. Siamo sicuri che erano adeguate queste attività? Questi servizi?

Ma le tecnologie socio-sanitarie e socio-educative messe in atto negli scorsi 20 anni sono ancora quelle giuste? Oppure erano già superate? Misura di impatto, verifica degli outcome e non solo degli output, welfare generativo: sono etichette usate ma non entrate nel metabolismo delle organizzazioni.

Ho visto una certa resistenza ad accettare proposte di innovazione radicale sui prodotti socio-sanitari e socio-educativi. Mi sbaglierò. Il dibattito centrale in questi settori è come tenere attivo il bilancio. Come avere nuove risorse per fare le stesse cose. Si dirà poi che ci sono i volontari, che c’è il CSV. Dirò che non mi interessa il CSV, perché è una altra cosa quella di cui sto parlando. E’ andare oltre quel pezzo del sistema che alcuni chiamano il Quarto settore.

In sostanza: il Terzo settore è ottimo e comprendo le sue fatiche, ma dobbiamo creare nuove Organizzazioni. Serve un atto di umiltà. Non continuare a dire “siamo qua noi”, oppure proporre soluzioni paternalistiche dichiarandosi “Saggi del terzo settore” oppure “ Fondatori”. Vorrei aggiungere alcune parole alle loro autorevoli, ma che suonano senza un autentico nuovo Senso. Forse perché non hanno seguito la filiera emozione-sentimento-parola. Non lo so.

Questa è una stagione di nuova Fondazione, dove l’innovazione radicale di tipo sociale deve essere liberata, incoraggiata.

A chi ho pensato dunque in queste settimane? Sono i ragazzi e le ragazze che mi piacerebbe, mi piaceva vedere scendere in strada per fare cose nuove di tipo professionale a fianco degli erogatori dei servizi. Se poi costoro saranno più bravi e saranno capaci, diventeranno start-up e dovranno avere accesso ad una propria sostenibilità di tipo economico. Lì vanno messe le risorse, non per tenere in vita vecchi carrozzoni.

Ho seguito poi una altra pista. Mi sono guardato intorno a partire dal campo nel quale mi muovo, cioè il mondo della educazione e del welfare. Ci sono educatori e pedagogisti che erano pronti a lavorare con l’inizio del 2020. Cosa abbiamo insegnato loro? A prendere posto in una azienda di terzo settore? A partecipare ad un concorso per lavorare nei servizi pubblici? Abbiamo davvero insegnato la innovazione radicale nei servizi alla persona ? Abbiamo insegnato imprenditorialità? Abbiamo sviluppato competenze per operare in team multidisciplinari? Mi sono interrogato sul mio ruolo di Docente in alcune Università e non mi sono accontentato degli sforzi fatti.

Ho bussato alla porta della mia Università Cattolica. Ho ricevuto un conforto da 4/5 persone con alto ruolo dentro la stessa, ma ancora non ho trovato una soluzione operativa.

Immaginate quanto Capitale Umano fermo, congelato che non abbiamo immesso in Movimenti Leggeri di innovazione sociale. Poi li chiameremo ancora NEET mentre assisteremo di nuovo all’arrivo di Imprese Sociali Medio Grandi e con capitale straniero che investiranno in questi bisogni sociali vecchi e nuovi. E magari parte del Terzo settore si farà comprare da costoro.

Cosa ha impedito questa messa in campo di uomini e donne disposte a raggiungere almeno anziani e disabili chiusi in casa? Il motivo di non agire era dato da dati dichiarati di tipo scientifico. E’ stato detto di rispettare le norme di sicurezza. Capisco. Ma io sto parlando di azione professionale di tipo innovativo.

In questi giorni in modo un po’ grossolano dicevo ai miei amici “Puoi andare a vendere e comprare il formaggio, puoi vendere le sigarette; se ti va bene puoi anche lavorare in un ufficio o in una fabbrica considerata di tipo essenziale, ma non puoi metterti una mascherina e un paio di guanti e bussare alla porta di una famiglia che sai essere nel bisogno”. Spesso gli stessi parenti dell’anziano solo o del disabile sono così spaventati che ti dicono “è meglio di no”. Io stesso ho ricevuto qualche rimprovero ma sapevo di metterlo in conto. Se analizziamo nel dettaglio il rischio di contagio in un Ospedale, n un Ambulatorio, in una RSA , in un Centro commerciale, in un Mezzo di trasporto Pubblico e facciamo una media ci accorgiamo che un ipotetico “professionista volontario di tipo innovativo” non è fuori range e non rischia di più. Non è questo il momento di fare questa ponderazione, ma non è nemmeno troppo tardi. Ci sono ancora sacche di persone di tipo “grigio” (le chiamo così io non per il tono ma perché sono quasi fantasmi) che sono nel bisogno e che con la partenza della fase 2 saranno ancora in difficoltà.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA