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Economia & Impresa sociale 

Enti locali, da pianificatori ad agenti di sviluppo

Ecco alcune ipotesi di lavoro, talune a costo zero, attivabili immediatamente, a medio termine ed a lungo termine. A partire dalla co-programmazione e programmazione pluriennale degli acquisti e dall'affidamento di contratti pubblici socialmente responsabili per arrivare all'avvio dei social bonus

di Luciano Gallo* e Gianfranco Marzocchi

L’emergenza globale del CODIV-19 sta mettendo alla prova tutti; in Italia i “pezzi” della Repubblica, ciascuno per i profili di competenza, le comunità locali come ultimi terminali e, soprattutto, imprese e cittadini, singoli e associati. Una volta che saranno diradati lo sgomento, la paura e l’incertezza e, complice l’istinto di (necessaria) sopravvivenza, occorrerà immaginare l’evoluzione delle comunità locali. A tale proposito, potrebbero svolgere un ruolo decisivo, da un lato gli appalti “strategici”, nel senso che si dirà, dall’altro il Terzo settore nell’ambito della c.d. amministrazione collaborativa. Prima di descrivere le ipotesi di lavoro, ritenute agibili per il superamento della (o, quanto meno, per la minimizzazione dell’impatto della situazione di) crisi, occorre considerare e, possibilmente gestire, il rischio dell’acuirsi della propensione alle “contrapposizioni”.

In un contesto di crisi, che genera lacerazioni, è richiesto un supplemento di solidarietà e di collaborazione (il “con”), mentre le contrapposizioni (i “contro”) amplificano le disgregazioni presenti.

La prima contrapposizione potrebbe riguardare gli operatori economici, che saranno chiamati a “contendersi” i primi contratti pubblici nell’ambito delle procedure di affidamento, indette, in primo luogo, dagli enti locali e, verosimilmente, nell’ambito di un mercato pubblico meno abbiente.

Il secondo possibile rischio è, per così dire, di “percezione”, ovverosia il convincimento dei cittadini e delle imprese che le pubbliche amministrazioni siano autoreferenziali, poco inclini al cambiamento e sostanzialmente insensibili alle nuove e pressanti esigenze dei primi. Da un lato, cioè, il convincimento che i privati sono chiamati ad affrontare da soli le angosce del futuro, in un clima di difficoltà economiche e finanziarie, dall’altro, le amministrazioni pubbliche che non saranno toccate dall’impatto della crisi.

La crisi, in realtà, non risparmia nessuno. Appare evidente che le amministrazioni pubbliche, in primo luogo quelle locali, proprio in quanto chiamate a governare lo sviluppo delle comunità locali, non avrebbero ragione d’esistere in una comunità priva di vitalità. Appare, altresì, urgente un’azione strutturata delle amministrazioni locali, fondata su una visione di una nuova forma di relazione fra PA e comunità, sussumibile in un’Agenda per l’Innovazione Sociale e per lo Sviluppo sostenibile dei Comuni (AGISCO).

È necessario, pertanto, un nuovo protagonismo delle autonomie locali non tanto come enti regolatori, pianificatori, decisori e controllori, ma soprattutto come “agenti” di sviluppo locale capaci di cambiare anche il volto del diritto (pubblico), non più o non solo come “limite” al comportamento altrui, ma (anche) come diritto “buono”, in quanto rivolto a sostenere ed a promuovere relazioni, non solo formalmente corrette, ma anche sostanzialmente produttive di solidarietà concreta “con” le persone più in difficoltà.

In questa prospettiva si inserisce, a pieno titolo, la Riforma del Terzo settore – avviata nel 2016 – e declinata con la nuova disciplina dell’impresa sociale (d. lgs. n. 112/2017), del c.d. cinque per mille (d. lgs. n. 111/2017) e con il Codice del Terzo settore [CTS] (d. lgs. n. 117/2017).

Fatta questa premessa, è possibile indicare – seppure nella sinteticità del presente scritto – alcune ipotesi di lavoro, talune delle quali a costo zero, attivabili immediatamente, a medio termine ed a lungo termine.

  1. Azioni ad operatività immediata.

Co-programmazione e programmazione pluriennale degli acquisti.

È convinzione unanime che occorre partire da un’attenta analisi di ciò che è avvenuto “durante” la crisi, in modo da avere maggiore consapevolezza nella “transizione” della crisi. Appaiono decisive le potenzialità di due strumenti previsti dall’ordinamento giuridico, da un lato, la co-programmazione (art. 55, comma 2, del CTS), dall’altro, la programmazione pluriennale dei contratti pubblici, superiori ai 40.000 euro, da parte delle stazioni appaltanti (art. 21 del d. lgs. n. 50/2016 e ss. mm., recante il c.d. codice dei contratti pubblici – CCP). La co-programmazione, introdotta dal CTS, è attività collaborativa fra enti pubblici ed Enti del Terzo settore; è espressione del “con” e non del “contro”. La co-programmazione è, tranne i costi interni dell’attività amministrativa, tipici di un qualsiasi procedimento amministrativo, a costo zero. Dall’altro lato, gli enti locali sono obbligati dal Codice dei contratti a “programmare” almeno per un biennio l’acquisto dei contratti pubblici di forniture e di servizi. Programmare bene gli acquisti diventa in questa fase un’attività decisiva per la stessa tenuta socio-economica del contesto locale. E dopo aver programmato bene, occorrerà scrivere gli atti di gara in modo ineccepibile, per scongiurare il contenzioso, ma, soprattutto, utilizzare il criterio del “prezzo più basso” nei soli casi tassativamente previsti dal codice dei contratti.

Affidamento di contratti pubblici socialmente responsabili.

I Comuni prima o poi dovranno riavviare i servizi sospesi, avviarne di nuovi e dare continuità all’attività amministrativa, con la conseguente indizione di procedure di affidamento ai sensi del codice dei contratti. Le Direttive dell’Unione europea del 2014 sulle concessioni e sugli appalti incentivano, fra l’altro, l’uso strategico dei contratti pubblici per finalità ambientali (ad esempio attraverso i CAM – criteri ambientali minimi) e sociali. Si tratta di opzioni immediatamente attivabili, che presuppongono in primo luogo una precisa volontà politica. Procedure di affidamento, innovative ed intelligenti, possono realizzare risultati molto importanti per il più celere ed efficace superamento della crisi.

Alcune altre proposte:

  • uso sapiente dei c.d. lotti a tutela delle MPMI (micro, piccole e medie imprese);
  • uso sapiente delle c.d. gare riservate previste dal CCP (art. 112 in materia di inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, e art. 143 in materia di servizi sociali e degli altri servizi, anche culturali, espressamente indicati da tale disposizione);
  • inserimento di clausole sociali nelle gare, soprattutto di quelle di rilevanza europea, quali quella a tutela dell’occupazione del personale del precedente operatore economico (art. 50 CCP), quella per la promozione di esigenze sociali (art. 100 CCP), nonché ai fini della valutazione delle offerte, l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (art. 95 CCP).

Co-progettazioni e convenzioni con Enti del Terzo settore.
Infine, l’utilizzo delle co-progettazioni(art. 55CTS) e delle convenzioni con le OdV e le APS (art. 56 CTS), anche per progetti innovativi e sperimentali, risponderebbe alle esigenze di integrare saperi, risorse e azioni dei soggetti, pubblici e del privato sociale, nel solco della collaborazione (del “con”) e non già della contrapposizione (e non del “contro”).

Tali strumenti, inoltre, garantirebbero – come confermato dalla previsione contenuta nell’art. 48 del c.d. decreto “Cura Italia” sulla rimodulazione di alcuni servizi socio-sanitari e socio-assistenziali nel periodo di emergenza – una maggiore duttilità e co-responsabilità rispetto agli istituti disciplinati dal Codice dei contratti.

Azioni a medio termine

L’amministrazione collaborativa può essere utilmente attivata utilizzando altri strumenti previsti dal Codice del Terzo settore. Alcune proposte a costo zero.

La valorizzazione di beni pubblici per finalità sociali
I numerosi beni pubblici degli enti locali potrebbero essere riutilizzati e valorizzati per finalità sociali. Il CTS mette a disposizione forme speciali di partenariato; il riferimento è agli articoli 71, commi 2 e 3, e 89, comma 17. Ancora una volta la scelta di valorizzare un bene pubblico per finalità sociali è, in primo luogo, di volontà politica. Fine dell’ente non è la sola redditività economica, ma soprattutto l’uso del bene per un impatto sulla comunità.

La valutazione di impatto sociale (VIS).
Il CTS ha introdotto lo strumento della VIS, quale metodologia per misurare, in termini oggettivi, l’impatto sociale generato dallo svolgimento delle attività di interesse generale, indicate dall’art. 5 dello stesso Codice, sulle comunità di riferimento. Tenuto conto che l’impatto della crisi sarà in misura rilevante di tipo sociale, appare evidente anche l’opportunità di applicare la disciplina sulla VIS.

La costituzione di imprese sociali.
Recentemente l’OIL (Organizzazione Internazionale per il Lavoro) ha stimato il numero di addetti che – in conseguenza della crisi – perderanno lavoro; si tratta di un evento, ove confermato dai fatti, dalle conseguenze rilevanti sotto tutti i punti di vista. Il d. lgs. n. 112/2017 ha riscritto la disciplina dell’impresa sociale, che si apre, fra l’altro, alla partecipazione – entro dati limiti –degli enti pubblici e dei soggetti for profit; è previsto, inoltre il coinvolgimento attivo dei lavoratori, dei destinatari dei servizi e degli altri soggetti interessati nell’assunzione delle decisioni strategiche. L’impresa sociale, in particolare la cooperativa sociale, ma non solo, potrebbe essere un importante attore nella fase di transizione.

Azioni a lungo termine

Le ultime riflessioni guardano al lungo periodo; in massima parte si tratta di proposte di interventi normativi, che tengano conto delle indicazioni emerse medio tempore. Alcune proposte.

In primo luogo, con un minimo intervento normativo, il DUP (Documento Unico di Programmazione), strumento strategico per la programmazione generale degli enti locali, previsto dal Testo Unico degli Enti Locali(art. 170 d. lgs. n. 267/2000), potrebbe avere anche valenza “sociale. In tal modo, le esigenze sociali verrebbero “integrate” nell’ambito della costruzione a monte delle politiche dell’ente locale, pertanto non più governate per soli profili di competenza “verticali” e mediante strumenti di settore (ad esempio, con i piani di di zona nella materia del welfare).

In secondo luogo, occorrerebbe promuovere ulteriormente l’impiego degli strumenti di finanza ad impatto sociale/capitali pazienti (ne è esempio il Progetto della Presidenza del Consiglio sul FIS – Fondo per l’Innovazione Sociale, istituito dalla legge finanziaria per il 2018); i finanziamenti sarebbero finalizzati, fra l’altro, alla creazione di valore sociale non solo in termini di output, ma anche di outcome di medio-lungo periodo rispetto al contesto sociale di riferimento.

In coerenza con quanto fin quì indicato, sarebbe molto importante dare attuazione all’art. 81 CTS, che introduce il c.d. social bonus; si tratta di uno strumento (credito di imposta per sostenere gli interventi di riqualificazione di beni pubblici per finalità sociali) che ha prodotto risultati positivi nel settore delle attività e dei beni culturali (mediante l’omologa figura dell’art. bonus).

L’emergenza ha ribadito la centralità dei servizi alla persona e del welfare.

Al netto di una riflessione – non ideologica – sulla tenuta della legge quadro sul sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali, nel ventennale della sua approvazione (legge n. 328/2000) e, dunque, sulla possibile evoluzione dei servizi al passo con i tempi, altri spunti di riflessione sono a portata di mano; citiamone alcuni:

  • estensione del concetto di welfare ad ambiti affini o ulteriori (ad esempio, conciliazione lavoro-famiglia, attività culturali, agricoltura sociale, workers buyout);
  • rapporto fra welfare e governo del territorio;
  • rapporto fra welfare e sviluppo sostenibile.

Qualche esempio.

Attualmente il valore degli immobili viene determinato sulla base di alcuni parametri e criteri (i c.d. OMI). Potrebbe essere utile introdurre il criterio della qualità del welfare cittadino, come rilevato sulla base di misurazioni oggettive e condivise.

In secondo luogo, i progetti di rigenerazione urbana – tanto più che interessano di norma un arco temporale medio-lungo – potrebbero essere finalizzati anche alla VIS.

E continuando, attraverso una modifica puntuale del Testo unico dell’edilizia (DPR n. 380/2001), con riferimento alle opere di urbanizzazione, primarie e secondarie, potrebbe essere inserita il relativo utilizzo per il “finanziamento di progetti di welfare comunitario e generativo, nonchè di progetti che utilizzino la metodologia della finanza ad impatto sociale, con la relativa misurazione della VIS ”.

Una nuova centralità non tanto del “dove si abita”, ma del “come si vive”.

Ancora, potrebbe essere stabilito l’obbligo – per tutti i Comuni – di dotarsi di un disability manager o, auspicabilmente, di un welfare public manager, cui affidare, a prescindere dall’inserimento o meno di tale soggetto nell’organigramma degli enti, il ruolo di “facilitatore” dell’integrazione, trasversale, delle esigenze riconducibili al settore del welfare all’interno delle politiche pubbliche generali e settoriali. Infine, la promozione di sistemi basati sulla reputazione e sulla relativa effettività (rating secondo i criteri dello sviluppo sostenibile), ai quali agganciare misure premiali o facilitazione di accesso a finanziamenti o altri benefici. Una cosa, in conclusione, pare pienamente interiorizzata in tempo di crisi. Abbiamo il dovere morale di fare quanto possiamo e riteniamo utile o necessario per migliorare le condizioni individuali e quelle di relazione. Questo, sì, dipende solo da noi.


*esperto di rapporti fra PA e Terzo settore
**presidente Aiccon


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