Cooperazione & Relazioni internazionali

L’opera e il tempo dei sistemi territoriali

Nell'emergenza coronovirus una delle più grandi criticità è la marginalizzazione dei territori. L'analisi di Giovanni Teneggi, direttore generale Confcooperative Reggio Emilia

di Giovanni Teneggi

Nell’ampio dibattito sugli assetti socio-economici del nostro Paese in tempo di COVID, è evidente l’assenza di una considerazione piena e ben informata del ruolo dei territori. Pur comprendendo il richiamo anche a gap di rappresentanza (una sorta di political divide subito dalle istituzioni locali), mi soffermo qui su due criticità diverse e, a mio parere, più decisive per la marginalizzazione dei territori.

La prima si può riferire al deficit strutturale di flussi locali e orizzontali nei processi partecipativi ed economici. Nello sviluppo di queste dimensioni, la fatica dell’esercizio territoriale è stata sostituita da tempo dal fascino di quello digitale. L’attesa riposta nelle comunità locali, quali ambiti di formazione del valore politico, sociale ed economico, si è progressivamente e sempre più massicciamente rivolta alla presunta sostanziabilità di comunità digitali. La capacità indistinta di accesso ai processi decisionali riconosciuto ai “cittadini” di queste ultime, unito a quello di tribuna espresso via social, dà percezione di una maggiore efficacia di questa forma di partecipazione. A ciò si aggiunga una certa verticalizzazione, nelle rispettive filiere, di tutti gli interessi degli attori locali (sociali, politici ed economici) che tendono a cercare considerazione e tutela esclusivamente nel loro campo, provando a risalire livelli di potere invece che allargare consensi e capacità territoriali.

La seconda criticità voglio indicarla nel propagarsi di un approccio soluzionista. Ben lontano dall’affermazione di un principio di competenza, il soluzionismo tende ad assegnare alla specializzazione professionale prevalente il dominio assoluto sulla decisione. Ad alimentarsene è il globale nel surfare i problemi generando, di volta in volta, controindicazioni allo stesso modo dominabili. I territori, che vivono di soluzioni integrate e progressivamente sostenibili, ne risultano schiacciati e delegittimati. È vero che la questione del cambiamento climatico segna forse il gameover del globale finanziario e consumistico che più di tutti ha incrementato questo fenomeno; non mi pare di vedere, però, controintuitività a questo paradigma ancora degne di nota nelle istituzioni decisive. Giampiero Lupatelli (CAIRE), nel tentativo di superare il rischio di una concorrenza definitiva fra globale e locale, introduce efficacemente al proposito l’immagine del «comando di ampie vedute» scaturente da competenze tecniche «incardinate in infrastrutture civili e istituzionali» (Territori (im)previsti. Politiche antifragilità dopo il coronavirus. A cura di Ciapetti L. e Lupatelli G., 2020).

I fatti e le emozioni di questo periodo di sospensione COVID della storia hanno accelerato l’impatto di queste criticità. Per l’ambito di osservazione che qui ci proponiamo – il ruolo dei territori – il dominio del soluzionismo ha manifestato infatti molti dei suoi caratteri. Alle spalle – e ancora oggi – abbiamo avuto la sospensione dei processi decisionali partecipativi e l’affidamento dominante alle soluzioni sanitarie centrali. Davanti a noi, si prospetta l’affidamento alla potenza di flussi finanziari massivi e della tecnologia digitale. I territori sono stati evocati e narrati con grande impatto emotivo ma per un chiaro ruolo riparativo oppure di contenimento taumaturgico del disagio. «Questa crisi – scrive Antonio De Rossi (Politecnico di Torino) – ha evidenziato in modo drammatico quanto la dimensione spaziale-territoriale sia stata espulsa dalle policies per essere ridotta a mero spazio diagrammatico astratto» (De Rossi A., Aree interne e montane, gli atouts da giocare, Rivista «il Mulino», 4/2020). Il modo con il quale si è potuto affermare questo quadro è sintomo di una lesione non rimarginabile con sole istanze etiche o politiche.

Occorre, invece, argomentare l’utilità specifica dei sistemi territoriali, riferibile agli obiettivi di tutta la comunità nazionale (del globale) e nell’affermazione di un principio di competenza. Mi attengo a questa indicazione avanzando tre ipotesi.

  1. Di fronte all’evoluzione, irrimediabilmente leaderistica e digitale, della rappresentanza e delle opportunità di partecipazione dei cittadini ai processi decisionali, i sistemi territoriali sono opzioni integrative essenziali alla tenuta democratica del Paese. L’accelerazione che la crisi COVID ha dato a questa deriva del sistema politico dà infatti evidenza assoluta alla necessità di riallestire i territori come sistemi partecipativi.
  1. Occorre analizzare, con più attenzione e competenze dedicate, il ruolo che le istituzioni territoriali e i sistemi localmente più coesi hanno messo a disposizione, in tutti i settori, per il fronteggiamento dell’emergenza. In Emilia-Romagna, ad esempio, questo esercizio ha già fatto riconsiderare il ruolo dei piccoli ospedali territoriali. L’analisi, che dopo la crisi finanziaria del 2008 è clamorosamente mancata sul valore dei sistemi imprenditoriali e finanziari mutualistici, presto dimenticati dopo l’opera di contenimento anticiclico che avevano spontaneamente agito, non deve mancare oggi a proposito dei sistemi territoriali di fronte al COVID.
  1. La riflessione scientifica sul valore degli asset comunitari e territoriali ha compiuto passi e ottenuto modellizzazioni ormai riconoscibili. Le pratiche diffuse consentono di rappresentare l’economia comunitaria come un fenomeno presente; la ricerca e la letteratura sottolineano da più parti, sempre più generali, la considerazione della vicenda comunitaria nell’ambito delle teorie per lo sviluppo sociale ed economico. Le visioni postCOVID devono però specificarne e attenderne alcune funzioni peculiari collegabili a questioni generali.

Funzione coesiva e di regolazione. Si tratta di aumentare la natura ecosistemica delle comunità locali nella crescita del tasso di relazione fra le loro parti. Non vi potrà essere sostenibilità e coesione sociale della dimensione globale, senza una maggiore capacità dei suoi microsistemi territoriali di agire relazioni cooperative, per la generazione “sul posto” di fiducia, di risposte ai bisogni e di meccanismi regolativi. I territori regionali e macroregionali complessivamente più competitivi saranno quelli internamente più coesivi e generativi.

Funzione trasformativa. Si tratta di aumentare la fruibilità dei patrimoni materiali e immateriali presenti sui territori (privati, pubblici e comuni) per la loro trasformazione in valore civile ed economico. La dotazione patrimoniale del nostro Paese viene spesso valorizzata in termini censuari o per meccanismi impositivi. Ora è indispensabile che sviluppi valore entro progetti di intraprendenza territoriale. Sentiamo parlare più facilmente di agevolazioni per il rientro di capitali evasi che non per l’attivazione di questi capitali dormienti.

Funzione connettiva. Si tratta di aumentare la capacità dei luoghi di essere parte di una conversazione globale, nella contaminazione culturale e generazionale che consente, quale condizione necessaria allo sviluppo. Non vi sarà pace per la dimensione globale senza la capacità dei territori di comprendere questa conversazione, esserne parte e approfittarsene.

Funzione pedagogica. Un antico proverbio africano, molto noto, recita che “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”. Possiamo fare riferimento anche alla più moderna letteratura sull’educazione per richiamare alla necessità di patti comunitari per l’educazione e, quindi, di sistemi territoriali capaci di riconoscerli, garantire loro stabilità e continuità, fruirne per capacitare cittadinanza.

Un ultimo appunto serve a dare credibilità a questa istanza. Ai territori occorrono uno stesso filo di voce, una rappresentazione e un’azione comuni. Devono essere storia e comunità, di territorio in territorio, ma solo insieme possono essere nuovo spazio politico. L’esperienza di UNCEM (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani), con la sua Piattaforma per la Montagna, ne è una testimonianza viva. I territori devono essere geografia e paesaggio, di terra in terra, ma solo insieme possono diventare una destinazione e un’opportunità. Diverse sono le istituzioni impegnate in questa opera e alcune come Fondazione Symbola, CAI (Club Alpino Italiano) e FAI (Fondazione Ambiente Italiano) ne rappresentano la chiara possibilità.

Il tempo è ora.


da Pandora Rivista
*Giovanni Teneggi direttore generale Confcooperative Reggio Emilia


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