Economia & Impresa sociale 

Continuità aziendale, la strada da sperimentare

È necessario immaginare di reperire nuove risorse e nuovi capitali: capitali di rischio veri, non condizionanti ma legati ad un disegno di sviluppo e nuove risorse. Immagino sia possibile costituire uno o più grandi fondi, anche su base territoriale in cui conferire beni liberi, aree dismesse, beni di enti religiosi, lasciti di famiglie, aree marginali, beni demaniali di difficile valorizzazione e da questo avviare attività a favore delle comunità

di Giacomo Libardi

Si moltiplicano, in questi giorni, le iniziative che tentano di dare continuità all’esperienza delle cooperative sociali travolte dal ciclone covid, fare qualche bell’esempio? Così per non lasciare troppo al non detto…. nel mentre molti attori, non solo quelli della tradizionale rappresentanza, si affacciano sulla scena della tutela degli enti di Terzo settore. Complice anche una normativa non compiutamente attuata che ha lasciato in un limbo non definito e privo di tutele alcune forme organizzative del Terzo settore, il riferimento è alle fondazione o associazioni che gestiscono servizi, totalmente esclusi dai vari decreti cura Italia.

Risulta evidente come la tempesta, abbia colpito in maniera selettiva, i servizi sociali, educativi e di prossimità, sia per i destinatari l’oggetto di questi, servizi alle persone, sia per la modalità con cui questi erano prodotti, la relazione. Più in generale l’epidemia ha colpito tutto il mondo dei servizi, una terza ondata ristrutturatrice, dopo quella che ha colpito negli anni 2000 la produzione manifatturiera e otto anni dopo il 2008, il sistema finanziario. Ripensare i servizi da quelli sociali al tempo libero vuol dire in ogni caso intervenire sul più consistente bacino occupazionale esistente, ripensare i modelli organizzativi, di sostenibilità e la dotazione tecnologica.

L’ epidemia ha infatti colpito le cooperative sociali in una fase di maturità organizzativa e di stabilizzazione dei mercati, in cui la tendenza ad appiattirsi sul modello organizzativo delle cooperative di produzione lavoro risultava fortissimo. Questa attrazione rispondeva da un lato al crescente ruolo dei dipendenti rispetto ai volontari ed ai famigliari che aveva caratterizzato la fase pionieristica, dall’altra alla omologazione fra forme che le organizzazioni di rappresentanza hanno imposto in sede di vigilanza cooperativa, in Trentino si pensi a come viene limitato il ruolo dei volontari nelle compagini sociali. Potremmo dire che le cooperative travolte da troppo successo tendevano a regredire.

La crisi ha spazzato via in un attimo certezze, mercati, posizionamenti. Mettendo all’ordine del giorno il tema della continuità aziendale non solo delle cooperative sociali ma di tutto il Terzo settore produttivo. Nelle situazioni di crisi si tende a reagire ricorrendo all’esperienza e in questo caso sono emersi due riflessi incondizionati, il primo che tende a garantire la continuità aziendale attraverso la richiesta e il riconoscimento della continuità dei servizi, una sorta di ridotto “vuoto per pieno” e di valorizzazione dei costi incomprimibili che garantisce la sopravvivenza delle imprese, il secondo è il ricorso alla finanza e alla capitalizzazione, ricostruendo quell’alleanza virtuosa tra fondazioni di origine bancaria, volontariato, associazioni di rappresentanza e fondi europei che tanto è alla base della nostra storia. Si tratta di due risposte ambedue legate al contingente, che permettono nell’immediato di non serrare la saracinesca, ma che coprono un raggio di azione molto breve. Immaginano che in qualche modo questa sia una parentesi, che il dopo, passata la burrasca sia come il prima. E questo scenario non è del tutto accettabile. Esiste infine una terza posizione che prevede di alimentare il processo di capitalizzazione ricorrendo a forme di imposizione fiscale, superando uno dei più significativi momenti di crescita del Terzo settore che è stata l’esperienza del 5 x mille, con la sua carica evocativa di sussidiarietà, volontarietà e gratuità ed il cui limite è dato, dal gran numero di organizzazioni e enti che vi ci ricorrono (che è anche la cifra del suo successo).

Io credo che sia necessario da un lato attivare tutti gli strumenti necessari a garantire la continuità delle imprese, a rafforzare la loro capacità di stare sul mercato e di rispondere ai bisogni delle comunità (in cambiamento) e dall’altro che vadano in questa crisi individuate nuove vie, liberate nuove risorse finanziarie e , ricostruito un grande disegno di mutualizzazione dei bisogni. Non ci scordiamo che il modo in cui risponderemo a questa emergenza avrà come esito la comunità che ci ritroveremo domani.

Per fare questo è necessario immaginare di reperire nuove risorse e nuovi capitali. Capitali di rischio veri, non condizionanti ma legati ad un disegno di sviluppo e nuove risorse, immagino sia possibile costituire uno o più grandi fondi, anche su base territoriale, rifacendosi alla normativa vigente nella regolamentazione dei trust in cui conferire beni liberi, aree dismesse, beni di enti religiosi, lasciti di famiglie, aree marginali, beni demaniali di difficile valorizzazione e da questo avviare attività a favore delle comunità. Rimettere in circolo beni marginali a servizio di un disegno di sviluppo delle comunità e dell’occupazione. Questo fondo strumento dovrebbe avere una strumentazione finanziaria, anche innovativa, ma essere legato alla materialità dei beni comuni, essere finalizzato al metterli in produzione . Soprattutto in un momento in cui il limite allo sviluppo della finanza pare essere riconducibile solo al quantitativo di inchiostro o di carta per stampare moneta. Una rilevante iniezione di risorse da usare e non da consumare per riscrivere un nuovo capitolo nei servizi di prossimità. Recuperando quel dato iniziale, che ha rappresentato la vera innovazione, di incorporazione della domanda nell’impresa sociale.

La maturità della cooperazione sociale pare essere caratterizzata da una sorta di processo di secolarizzazione, se l’uso del termine è lecito, in cui alcune caratteristiche iniziali si sono perse. Il processo in corso, la necessità di riscrivere nuovi patti con le comunità originarie, il ridisegno dei servizi nel tempo e non più solo nello spazio, la necessità di condividere risorse e luoghi possono originare dei momenti di qualificazione del nostro operare.


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