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Pasinelli: «Ricerca scientifica e innovazione per ricostruire valore»

L’attuale emergenza coronavirus ha reso ancora più fragili le persone affette da una malattia genetica rara, aumentando le difficoltà che questi pazienti devono affrontare, ma ha fatto anche comprendere il valore universale e l’importanza della ricerca. Ne parliamo con Francesca Pasinelli, Direttore Generale di Fondazione Telethon

di Marco Dotti

Fondazione Telethon lavora da 30 anni al fianco chi soffre per una malattia genetica rara. Lo scopo? Offrire loro una speranza grazie alla ricerca scientifica. Per questo, tra maggio e giugno Telethon lancia dei bandi per selezionare i migliori progetti proposti da ricercatori di tutto il Paese. Accanto al tradizionale bando generale per progetti sulle malattie genetiche rare, ecco due iniziative speciali.

La prima è una nuova edizione del “seed grant”, in collaborazione con quattro associazioni di malattie rare – Associazione Italiana Glicogenosi, Associazione Italiana per la lotta alle Sindromi Atassiche, “Una vita rara AHDS-MCT8 Onlus” e“ Help Olly”: i fondi già raccolti dalle associazioni saranno assegnati a progetti esplorativi di durata annuale selezionati grazie al metodo rigoroso della Fondazione Telethon, così che questi “semi” possano effettivamente far crescere la conoscenza su malattie fino ad oggi molto poco studiate.

L’altra iniziativa è invece la risposta della Fondazione all’emergenza sanitaria attuale: un bando dedicato a progetti che utilizzino le malattie genetiche come modello per far luce su COVID19 e il comportamento del nuovo coronavirus. In questi mesi in cui la comunità scientifica di tutto il mondo ha iniziato a studiare questo nuovo agente infettivo sono emersi infatti diversi punti di contatto con l’ambito di studio della Fondazione: dai sistemi di trasporto che il virus sfrutta per riprodursi una volta infettata la cellula che sono gli stessi mutati in alcune malattie genetiche del “traffico cellulare”, a specifiche molecole responsabili, quando alterate, di malattie genetiche che sono risultate essere coinvolte anche nell’interazione tra SARS-CoV2 e le cellule umane.

Abbiamo incontrato il Direttore Generale della Fondazione Telethon, Francesca Pasinelli.

Si parla molto, oggi, di ricerca. Anche se l'informazione è quasi esclusivamente concentrata sul tema del vaccino per il coronavirus…
Sicuramente la situazione che viviamo oggi ha acceso i riflettori se non altro su un fatto: che nessuno si aspetti che la soluzione possa venire da cose altre che non siano soluzioni provenienti da progetti di ricerca, siano queste un vaccino o un antivirale. Il rischio che vedo è un altro: pur parlando di ricerca, non ci si concentra sul fatto che la ricerca stessa non è in grado di rispondere emergenzialmente ai problemi.

Possiamo spiegare questo punto?
Mentre in emergenza posso riorganizzare la sanità: compro più respiratori, creo più letti in terapia intensiva. Certamente se ci organizzassimo meglio prima delle emergenze, potremmo rispondere alle stesse emergenze con più rapidità. La ricerca scientifica ha bisogno d'altro. Ha bisogno che i fondamentali vengano compresi e che non si ricorra a un'idea estemporaneamente. Non uscirà il vaccino da laboratori che, a causa di una strategia mancante e di finanziamenti mancanti, di fatto non sono nelle condizioni per poter lavorare sul virus. Oggi la verità è questa: il virus può essere manipolato solo in quei laboratori attrezzati per farlo, che abbiamo soltanto in alcuni centri diagnostici…

… Paradossalmente le nostre università non sono attrezzate, proprio a causa della scarsa strategia, di investimenti in ricerca molto frammentati…
In un Paese che investe poco in ricerca, la dispersione dei finanziamenti comporta minor capacità di incidere. Se avessimo fondi a livello nazionale e concentrati, anziché suddivisi su base regionale, potremmo investire sui progetti migliori. Se vogliamo una ricerca che costituisca un valore per il Paese, ammettendo così che attraverso l'innovazione si costruisce valore, dobbiamo farlo su base nazionale senza cadere in logiche dispersive. Logiche che possono avere senso in altri ambiti, ma non nella ricerca.

Al tempo stesso, oltre ai centri di ricerca, c'è una proliferazione di tavoli tecnici costituiti anch'essi su base emergenziale…
Avere dei tavoli tecnici permanenti sarebbe invece importantissimo. Non serve la rincorsa al parere sul coronavirus, serve profondità di campo. Prediamo l'esempio della peer review, che è un concetto molto profondo: quando mi arriva il progetto di un ricercatore che deve fare uno studio su una malattia mitocondriale, il peer a cui mando il progetto non è un generico laureato in discipline biomediche, ma uno specialista che studia le malattie mitocondriali. Questo processo di revisione reciproca è fondamentale in ricerca. Quando parliamo di ricerca e di esperti dobbiamo essere serissimi: dobbiamo avere tavoli veri, non salotti televisivi. Dovremmo attenerci a questi fondamentali ogni volta che si deve procedere con un investimento in ricerca. La pressione mediatica, il gradimento popolare, la visibilità sui media sono tutte cose che non possono attenere alle scelte strategiche sulla ricerca. Non solo ora in tempo di emergenza, ma sempre.

Proprio ora è importante più che mai tenere alta l'attenzione sulle fragilità e sulle malattie rare…
Fin da subito ci siamo detti che, anche nel pieno della pandemia, dovevamo andare avanti con più forza sulla strada della ricerca sulle malattie rare. È importante non solo non abbassare l'attenzione, ma proseguire con metodo lungo un percorso che negli anni ha dato frutti straordinari.

Il tema dell'attivarsi per le buone cause è al centro di questa straordinaria energia che sta attraversando il Paese, pur nella tragedia. Come possiamo continuare a sostenere questa energia?
Vedo e sento molto questa energia. Il nostro Paese è pieno di difetti, ma ricco di staordinaria generosità. Quello che pavento è il rischio che abbiamo avuto dopo i terremoti: lla capacità di raccogliere fondi e la capacità di rispondere a un appello sono condizioni necessarie affinché vengano svolte buone cause. Ma, al contempo, sono capacità insufficienti. Tra la raccolta dei fondi e l'atto generoso e la soddisfazione del bisogno passa la capacità di scegliere la destinazione di quei fondi. Oltre al monitoraggio e all'affiancamento nella destinazione. Il come e il cosa fare si devono sposare con l'efficacia.

È un tema che emerge spesso in rapporto al Terzo Settore.
Il non profit, molto spesso, si fa legittimare dalla sua stessa legittimazione d'intenti. La valutazione di efficacia chiama in causa quali competenze mettiamo in campo per destinare al meglio le risorse raccolte. Molto spesso, però, il donatore non esercita una funzione vera di controllo. Anche il donatore, mosso da un istinto emotivo e molto generoso, si fa bastare quest'anno. A fronte di molta gente che non dona, perché è sospettosa o peggio, c'è molta altra gente che dona ma poi si disinteressa di quanto ha donato.

Questo apre un'altra questione: serve, anche per il Terzo Settore, un'organizzazione strutturata…
Torniamo al caso delle raccolte fondi: non basta aprire un numero verde per essere abilitati a usare correttamente i soldi raccolti. Per farlo, bisogna avere delle strutture e dei sistemi che valutano i bisogni, le capacità di spendere e attuino tutti quei processi – come la destinazione dei fondi e la gestione del portafoglio progetti finanziati – che sono la parte più difficile. In Telethon la parte più difficile viene dopo la raccolta fondi, quando i soldi dobbiamo destinare e quando i progetti di ricerca che possono diventare farmaci li dobbiamo fare diventare farmaci.