Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Education & Scuola

La morte (non) solitaria

«Si è parlato tanto in questi giorni di morte solitaria. Ci sembra importante considerarla invece come una fase finale di vita "diversa", dove i limiti della competenza e della compassione sono i nostri, e come tali devono essere migliorati. Mai come ora è necessario per noi delle cure palliative farci più presenti al letto del malato solo, allontanato dalla famiglia, e insegnare ai nostri colleghi a fare altrettanto, perché sia garantita una morte dignitosa. E perché anche per salutare i nostri cari parta una "fase 2"». Le riflessioni di alcuni palliativisti

di L. Buonaccorso, L. De Panfilis, L. Montanari, M. Moroni e S. Tanzi

In questo drammatico periodo della pandemia da nuovo Coronavirus, il mondo delle Cure Palliative si trova di fronte ad un necessario cambiamento nella relazione di cura con i malati, i famigliari ed anche gli operatori. L’implementazione nella pratica quotidiana di preesistenti tecnologie di comunicazione basate su Internet, lo sviluppo di percorsi di telemedicina, la rimodulazione della intensità di assistenza in tutti i setting specialistici delle Cure Palliative (ospedale, ambulatorio, hospice e domicilio) e la restrizione degli accessi per le visite ai pazienti negli hospice e in altri setting di cura, hanno comportato lo stravolgimento di alcune pratiche consolidate e, negli anni, considerate elementi essenziali del “prendersi cura”, suscitando in alcuni professionisti la sensazione di una “perdita di identità”.

Come professionisti appartenenti a vario titolo e con diverse professionalità e discipline all’ambito specialistico delle Cure Palliative operanti su tutti i setting, desideriamo proporre alcune riflessioni per illustrare come, a fronte di uno scenario profondamente mutato – e, di fatto, in continuo cambiamento – sia inevitabile e necessario interrogarsi su come affrontare l’assistenza a pazienti e famigliari in Cure Palliative, preservandone comunque la dignità, facendo di ciò che è stato appreso negli anni un punto di partenza per costruire nuovi significati e modi di stare nella relazione e di comunicare, così come è stato all’inizio di questa disciplina.

Tutto questo comporta accettare la necessità di evolversi e di crescere, senza ridurre l’importanza di ciò che le Cure Palliative hanno creato, ma nello stesso tempo scegliendo di sostenere la fatica di stare nella relazione in un modo che non si era considerato prima.

L’epidemia di COVID19 ha prima di tutto evidenziato che in quanto professionisti sanitari è deontologicamente doveroso agire allo scopo di tutelare la Salute Pubblica, e quindi quella di pazienti, famiglie ed operatori. Non esistono, a nostro parere, setting “privilegiati” che possano essere considerati esenti da tale mandato, ma esistono, al contrario, discipline sanitarie (come le Cure Palliative) che necessitano di profonda riorganizzazione per tutelare la Salute Pubblica e, al contempo, mantenere quella individuale (intesa come salute fisica, mentale e spirituale). La caratteristica delle Cure Palliative moderne, infatti, è proprio la personalizzazione dell’approccio di cura, che garantisce una valutazione individuale e multi-professionale, basata sulla complessità dei bisogni della singola persona e della sua famiglia.

Noi crediamo che le Cure Palliative ai tempi del Covid-19 debbano trovare modi e strategie per continuare a curare ogni persona, nella malattia e nel processo del morire; questo rappresenta una straordinaria occasione di crescita e auto-riflessione per le Cure Palliative e più in generale per tutti i professionisti che si trovano a gestire la morte di molti pazienti allo scopo di preservarne la dignità, come non avevano potuto fare prima perché impegnati in altri tipi di assistenza. La pandemia ci ha imposto e ci impone, infatti, una profonda ed umile riflessione culturale e professionale su come alcuni vecchi paradigmi stiano cambiando.

Crediamo che quella che è stata definita “morte solitaria” non sarà tale se, nella straordinaria emergenza che stiamo vivendo, sapremo, innanzitutto, affrontare la sfida di aumentare le nostre competenze e la nostra vicinanza a questi malati, in termini di compassione e presenza consapevole. Sarà quindi anche importante aumentare con i nuovi mezzi tecnologici (e con il semplice recall telefonico, che è pratica specialistica di Cure Palliative con numerose evidenze) la umana "connectedness" tra i curanti, i pazienti e le famiglie, facendoci noi mezzo di presenza umana e personale nel veicolare la parte “tech” con adeguato “touch”.

Siamo convinti che accettare con umiltà e curiosità di imparare un nuovo modo di stare "di più e meglio" con i nostri malati e le loro famiglie (in tutti i setting) e saper prendere parte con reale compassion alla decisione dolorosa di allontanarci nella distanza fisica, ma non nella Cura, sia un elemento fondamentale del nuovo modo di fare Cure Palliative.

Riteniamo che pensarla solo come una morte solitaria, limiti la possibilità di vedere la vita anche dove apparentemente non riusciamo a vederla, perché presi dalle nostre difficoltà e paure, senza riferimenti certi che non si possono più mettere in pratica e che ci chiedono di interrogarci su come garantire comunque la relazione di cura. Ci sembra importante considerarla invece come una fase finale di vita "diversa", dove i limiti della competenza e della compassione sono i nostri, e come tali devono essere migliorati. Se terremo conto che ciò che vediamo e sentiamo è ciò che possiamo trasmettere nella relazione, anche senza le parole, ma con i gesti di cura e con occhi in cui possiamo rispecchiare il rispetto per i pazienti, potremo considerare che quella persona non sia morta da sola.

Tutto questo non può essere improvvisato, ma le Cure Palliative possono fare da apri-pista ad altre discipline, supportandole nella relazione e comunicazione con i pazienti e i famigliari. D’altronde ogni giorno, prima del COVID-19, abbiamo fatto esperienza di malati che vivevano il processo del morire senza un’adeguata presa in carico globale, facendoci sentire ancora una volta che i limiti erano (e sono) i nostri.

Mai come ora è necessario per noi delle cure palliative farci più presenti al letto del malato solo, allontanato dalla famiglia, e insegnare ai nostri colleghi a fare altrettanto: rimanere, trattare adeguatamente i sintomi, evitare interventi futili o dannosi alla fine della vita, sostenere la sofferenza legata alla morte del paziente. Perché sia garantita una morte dignitosa. Questa situazione “diversa” ci migliori ad affrontare, come professionisti in generale, le morti solitarie che verranno anche in futuro nei diversi setting, faccia entrare nel nostro DNA il modus operandi della “presa in carico globale” propria delle cure palliative.

Siamo, infine, pienamente consapevoli che sia necessario non rimanere fermi sulla posizione presa nella piena fase emergenziale (fase in cui l’unica certezza era che il distanziamento sociale avrebbe dato risultati positivi), ma sia giunto il momento di evolvere anche noi in una “fase 2” che preveda interventi di breve e di medio-lungo termine che così riassumiamo:

  • progressiva e graduale riapertura degli Hospice alle visite, contestualizzate al periodo del fine vita e/o di saluto della salma (prevedendo ovviamente una adeguata dotazione di DPI per i visitatori e tempi programmati di permanenza).
  • maggiore e più efficace continuità di presa in carico attraverso i setting (da Ospedale a Territorio, inteso come hospice ma anche e soprattutto come Servizi di Cure Palliative Domiciliare e Servizi Ambulatoriali, che dovranno a nostro parere rimodulare tipologia e numerosità degli accessi, potenziando pratiche di telemedicina). Ancora una volta auspichiamo che questa situazione legata al Covid-19 migliori la comunicazione tra operatori di servizi diversi, mettendo al centro la continuità assistenziale di pazienti e famigliari e facendo della collaborazione tra diversi professionisti uno strumento di cura.
  • maggiore tutela di pazienti e persone con bisogni ad alta complessità e di Cure Palliative ospitate presso strutture come RSA e Case di Riposo, allo scopo anche di indirizzare adeguatamente i percorsi di Cura verso un 1° livello di assistenza (MMG + team di Cure Palliative a supporto) oppure un livello specialistico (Team di Cure Palliative Domiciliari).

Ci auguriamo che le nostre riflessioni possano diventare terreno fertile per una discussione costruttiva, che sappia far emergere il ruolo fondamentale delle Cure Palliative in questo momento storico unico, e sia di stimolo per un continuo miglioramento di noi stessi e della nostra disciplina.

Matteo Moroni, Struttura Semplice Dipartimentale Cure Palliative, AUSL Romagna, sede di Ravenna; medico.

Luigi Montanari, Struttura Semplice Dipartimentale Cure Palliative, AUSL romagna, sede di Ravenna; medico.

Loredana Buonaccorso, unità di Psico-Oncologia, USL-IRCCS Reggio Emilia; psicologa e psicoterapeuta.

Ludovica De Panfilis, Unità di Bioetica, USL-IRCCS Reggio Emilia; bioeticista.

Silvia Tanzi, Unità di Cure Palliative, USL-IRCCS Reggio Emilia; medico

Photo by Saad Chaudhry on Unsplash


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA