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Se Silvia fosse stata Silvio non staremmo assistendo a questo scempio. La finiamo?

«L'accanimento vergognoso su Silvia Romano dipende dal fatto che è giovane, è donna e pure volontaria», dice la scrittrice femminista Lea Melandri. «A un uomo nessuno avrebbe riservato questo trattamento ignobile. I vestiti, la religione, la gravidanza, il corpo. Le donne sono sempre state giudicate per questi aspetti della vita privata»

di Anna Spena

Dagli ignoranti che lanciano insulti sui social, agli psicologi improvvisati diventati tutti esperti della sindrome di Stoccolma fino agli ignobili titoli dei giornali. “L’ingrate e islamica”, “islamica e felice”. E poi ancora le illazioni sulla presunta relazione con uno dei carcerieri. La possibile gravidanza, l’indignazione generale per essere scesa da quell’aereo con il jilbab. Cara Silvia se ad essere rapito 18 mesi fa in kenya nel villaggio di Chakama, a 80 chilometri da Malindi, e obbligato ad una prigionia in Somalia per mano di uomini vicini al gruppo jihadista Al-Shabaab, l'organizzazione somala affiliata ad Al Qaeda, fosse stato un uomo non staremmo assistendo a questo scempio vergognoso. E probabilmente, in quanto uomo, da quell’aereo agli occhi dei più sarebbe sceso “un eroe”. D’altronde questa gara a chi dice più sciocchezze è iniziata proprio quando ti hanno rapita dal più" acculturato tra gli acculturati", Matteo Salvini, che in un post scriveva: “Ennesima oca giuliva volontaria italiana rapita in Kenya. Ma stare a casa e aiutare gli italiani fa brutto?”. «Troppa invidia», dice la scrittrice femminista Lea Melandri, «per una giovane donna che ha fatto la scelta coraggiosa di partire. È stata rapita ed è sopravvissuta e con forza ne è uscita».

Tutto questo odio perché Silvia Romano è una donna? Sarebbe stato lo stesso per un uomo?
Assolutamente no. Nessuno può dubitare del fatto che questo accanimento vergognoso dipenda dal fatto che Silvia è una giovane donna. Nello scorso anno sono stati altri tre gli italiani rapiti e poi liberati, due convertiti all’islam. Non mi pare abbia fatto nessun tipo di notizia.

I vestiti, la religione, la gravidanza, il corpo…
Una cartina tornasole. Il modo così aggressivo con cui è stata accolta da una parte degli italiani non ci deve meravigliare, indignare sempre, ma meravigliare no. Le donne sono sempre state giudicate per questi aspetti della vita privata. Le donne sono sempre guardate e la loro vita intima è da millenni nell’immaginario maschile un corpo erotiche che si esaurisce in due categorie: moglie e madre, o al massimo puttane. Nel caso di Silvia poi si è aggiunto l’elemento della conversione che automaticamente la mette “in combutta con i terroristi”. Invece a questa donna va tutto il mio sostegno, stima, solidarietà ed anche affetto profondo, che ha incontrato sessismo e misogenia sia quando è stata rapita sia quando è tornata in Italia.

Appunto siamo in Italia
La violenza sulle donne non ha patria e attraversa tutte le culture sessiste e patriarcali che non sono finite. E attenzione non focalizziamo l’attenzione solo solo sulle destre o su personaggi che definiamo inqualificabili. È un problema di molti Paesi, anche dell’Italia, quello di non riconoscere intelligenza, autonomia e libertà alle donne. E poi agli occhi dei più stolti l’ennesima aggravante è che Silvia Romano è partita come volontaria.

Perché?
Il volontariato in Italia è diffusissimo, una grande risorsa che va tutelata. Questo desiderio di cura di sé e cura del mondo che esce dall’ambito domestico, non gode della considerazione che meriterebbe. Se ne parla poco, solo quando lo si vuole screditare, condannare. Poi se sei una donna a fare volontariato e lo fai all’estero è inaccettabile.


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