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Gli adolescenti non si lamentano: sicuri che va bene così?

I pensieri e i lavori dei ragazzi all’interno del progetto “La storia siamo noi” ci restituiscono la capacità che gli adolescenti hanno di adattarsi alle situazioni della vita, anche quelle più estreme. In questo si dimostrano più abili degli adulti. I ragazzi non si lamentano, tengono dentro e fanno finta che vada tutto bene. Ma forse a loro non basterà la riapertura delle porte per tornare alla socialità...

di Michela Tocchet

In questi mesi di tempo e vite sospese, io e le mie colleghe educatrici e psicologhe della Cooperativa sociale Itaca attraverso il progetto “La storia siamo noi” abbiamo avuto modo di raccogliere i vissuti, i racconti e le emozioni legati a questo periodo di moltissimi ragazzi del territorio. L’iniziativa, promossa all’interno del servizio Operativa di Comunità dell’ULSS 2 Marca Trevigiana, ha coinvolto 12 Comuni dell’area coneglianese e nasce come risposta all’interrogativo, generato dall’emergenza Covid-19, di “come rimanere in contatto con i ragazzi e con le comunità pur rimanendo a distanza”, unita al pensiero di dare valore e visibilità al vissuto dei giovani raccogliendo le loro testimonianze, lasciando la libertà di raccontarsi attraverso i mezzi espressivi che più li rappresentano.

Questi racconti sono arrivati, uno alla volta, timidamente, ma costanti nel tempo. Sono foto, poesie, disegni, canzoni, video, power point, pagine di diario. Già nella forma i ragazzi hanno dato segno della loro unicità e originalità, del loro essere adolescenti, ma ciascuno con il proprio stile. Da questi elaborati emerge una visione di sé e dei propri vissuti che mette in luce diverse facce di come i giovani stanno vivendo questa chiusura e questa lontananza fisica.

Ciò che emerge in maniera più evidente è la nostalgia: nostalgia degli amici, che più di ogni altra cosa mancano e a cui bisogna messaggiare di continuo e che bisogna chiamare spesso; nostalgia della routine quotidiana, fatta di piccoli gesti e cose da fare che ora si sono trasformate; persino nostalgia della scuola, di cui sono i primi a sorprendersi, ma che ora vedono come quel luogo che ogni giorno garantiva loro di incontrare i compagni, di imparare le cose di persona, di uscire di casa, di sentirsi parte di un tutto.

C’è chi a casa prova molta noia e vive con fatica la distanza dal mondo, senza prospettive. Magari vedono il futuro grigio, ma i ragazzi non si lamentano. Tengono dentro e fanno finta che vada tutto bene.

C’è poi chi si isola e non si fa raggiungere, né dalla scuola né dal mondo. Sono quei ragazzi che più di tutti andrebbero scoperti e riportati alla socialità, a ritrovare motivazioni e prospettive nelle cose che li circondano. I più difficili da trovare, ma non necessariamente da conquistare poi, mostrando un esempio di adulto attento all’altro e accogliente.

Ma c’è anche chi in questa dimensione ha sperimentato cose nuove, ha riscoperto lo stare in famiglia, la “fortuna di avere un fratello o una sorella con cui condividere tutto”, chi si prende i propri spazi per disegnare, giocare, cucinare, fare dello sport o un’attività di piacere reinventandola e reinventandosi.

Lo stare in casa diventa per molti uno spazio in cui riflettere, ora che nelle loro giornate il tempo non è scandito dalle corse per i tanti impegni scolastici, sportivi, musicali, ecc. In cui rendersi conto del valore delle cose che mancano, della loro semplicità, del desiderio di tornare ad una normalità che ha però in sé una consapevolezza diversa, che non è scontata.

Un altro aspetto interessante è l’attenzione che nelle loro testimonianze i ragazzi pongono agli altri. Non solo si rendono conto di come il loro sforzo nello stare a casa sia finalizzato al “far star bene” e non mettere in pericolo gli altri, ma molto spesso nei loro racconti c’è il pensiero che vola a “come staranno gli altri”, come gli amici e il mondo fuori dalla loro casa sta vivendo questo momento. Ecco che la chiusura diventa sviluppo di altruismo, empatia e senso di comunità.

I pensieri ed i lavori raccolti ci danno, così, lo specchio delle capacità che gli adolescenti hanno di adattarsi alle situazioni della vita, anche quelle più estreme, ed in questo molto spesso si dimostrano più abili degli adulti.

Sono capaci di sperimentare, di provarsi in cose nuove, di inventarsi passatempi e attività senza preoccuparsi se il risultato non è dei migliori. Il loro tempo non è mai sprecato, come invece appare spesso agli occhi degli adulti che li circondano.

Hanno, ad esempio, una maggior capacità di comunicare e mantenere anche a distanza le relazioni via web, poiché questa dimensione è parte di loro da prima del lockdown; in questo senso non è l’affetto di amici, compagni e parenti a mancare, ma il bisogno di trasmetterlo mostrandosi, incontrandosi, abbracciandosi, stando assieme. Questa “attesa di incontro” fatta di videochiamate, messaggi e foto sta sviluppando in loro un desiderio esplosivo di “vita reale” al di là del digitale. Molti adulti erano preoccupati che l’uso delle tecnologie non facesse più emergere questo bisogno. Probabilmente, questa esperienza ha reso i giovani ancor più competenti, capaci di trovare un equilibrio tra vita online e offline, mostrando le potenzialità dell’una, e l’insostituibilità e unicità dell’altra.

La capacità di resilienza degli adolescenti ci porta a pensare che non solo riusciranno a superare questo periodo, ma ne usciranno (letteralmente) con una consapevolezza diversa, portando con sé delle risorse personali ed interpersonali nuove, che solo una situazione così particolare poteva portarli a sviluppare. Una maggiore sensibilità e attenzione all’altro, una capacità aumentata di vivere e sopravvivere a restrizioni importanti e situazioni difficili, una consapevolezza del valore di relazioni, affetti, libertà diversi e più forti. Questo non vuol dire che questa situazione non abbia portato, e continui a portare con sé, criticità e fatiche profonde, che vanno riconosciute e accolte dagli adulti che li circondano. Affrontare un isolamento sociale come quello di questi mesi è una sfida che un adolescente può superare, ma non senza un malessere, a volte anche profondo.

In questo senso, il ruolo degli adulti (genitori, insegnanti, educatori) è fondamentale, perché possa riconoscere e dare voce a questa fatica anche quando non viene espressa. Gli adolescenti hanno dalla loro una buona capacità di comprendere la realtà, ma vanno ancora aiutati ad esternare e rielaborare i vissuti emotivi che l’esperienza provoca.

La relazione è il pane quotidiano dei giovani, così l’assenza di contatto con gli altri rappresenta una privazione fondamentale. Al contempo, anche i timori legati all’attuale situazione di salute possono portare delle preoccupazioni profonde rispetto al futuro, alla socialità e al benessere. In questo periodo del loro sviluppo iniziano a palesarsi le domande fondamentali della vita, che riguardano il posto che l’Uomo occupa non solo nel pianeta, ma nell’Universo; una situazione come quella che stiamo vivendo ora non può non avere un profondo effetto su questi pensieri, e sulle risposte che i ragazzi si danno di fronte a questi grandi interrogativi.

Anche la ripresa delle attività può essere accompagnata da un’ansia del riprendere le cose, dell’uscire di nuovo, dello sconvolgere nuovamente gli equilibri che si sono creati in casa. In questa ripresa un pensiero sospeso va a quei giovani che nella chiusura in casa hanno trovato una dimensione sicura e lontana dal mondo, per i quali non basterà la riapertura delle porte per tornare alla socialità, poiché già prima del lockdown avevano la tendenza ad isolarsi e allontanarsi dalle relazioni.

Sono molti gli aspetti di crisi che possono nascere nei ragazzi, e naturalmente molto diversi per ciascuno di loro. È facile che questi pensieri non vengano verbalizzati ed esplicitati dagli adolescenti, ma rimangano sospesi nelle loro teste e nei loro cuori. Sono adolescenti, l’ansia è sempre presente, anche quando non è espressa.

Per questo gli adulti che li circondano devono riuscire a dare loro voce, a riconoscerli e dare loro spazio anche quando non vengono raccontati, attraverso l’empatia, il confronto su questi temi, sulle criticità di questo periodo, la condivisione dei propri timori e le proprie paure, anche di adulti. Confrontarsi in questo modo con un adolescente non significa appesantirlo dei nostri pensieri e vissuti di adulti, ma dargli un segno di riconoscimento della sua maturità e capacità di confronto, mostrargli un modello di adulto che riconosce le proprie emozioni e quelle degli altri, e ne parla. Un adulto attento non solo a ciò che fanno, ma anche a come si sentono.

E questa prospettiva può diventare un’opportunità per gli adulti, per reinventare il proprio modo di rapportarsi ai giovani.

Può essere un modo per i genitori per mostrare la propria fiducia nelle capacità dei figli, che molto spesso in questi mesi sono diventati insieme a loro cuochi, aiuto in casa, tuttofare, tutorial maker, mostrando delle competenze che prima non c’erano e che adesso vanno riconosciute e valorizzate. Un’occasione per dialogare di più, per confrontarsi sulle cose di casa e del mondo, per riconoscersi nelle reciproche fatiche (il lavoro come la scuola a distanza). Ed una volta riaperte le porte, incentivare la ripresa degli incontri con gli amici (naturalmente nel rispetto delle regole), il contatto con il mondo.

Per i genitori, gli insegnanti, gli educatori e i politici può diventare l’occasione per ripartire da LORO, dagli adolescenti, dalla fiducia incondizionata che ripongono negli adulti. Ci osservano costantemente, cercano di capire come reagiamo e come stiamo, hanno bisogno di mille specchi in cui riconoscersi. E noi, come adulti, possiamo scegliere l’immagine da riflettergli, l’esempio da mostrargli. Trovare il modo di motivarli nella loro crescita, nella costruzione della loro identità, (ri)partendo proprio dalle fatiche percepite in questo periodo (nello studio, nelle attività, nell’isolamento), dalle emozioni provate, dalle risorse che hanno scoperto di avere, dai bisogni che in questo momento loro come gli altri giovani sentono importanti, da cui ripartire. E insieme co-costruire e creare.

I ragazzi non vogliono più tutto come prima, loro sono già cambiati, sono diversi, hanno il desiderio del gruppo, hanno il pensiero di sé e dell’altro (anche quando stanno soli). E in questo ci danno uno spunto per riprendere la vita in maniera differente, anche come adulti, in un’ottica legata alla relazione, alla comunità, all’attenzione agli sguardi e alle emozioni.

Michela Tocchet, Psicologa Operativa di Comunità, Cooperativa sociale Itaca – Pordenone


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