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Test sierologici, facciamo chiarezza

È ancora vivo il dibattito sull’impiego di questo strumento nella lotta al coronavirus. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Luisa Bracci Laudiero, scienziata del Cnr Immunology Network

di Giuseppe Bentivegna

In merito all’evoluzione dell’utilizzo dei test sierologici a livello nazionale, la dottoressa definisce la situazione «un po' caotica, nel senso che c'è una grande confusione e non si riesce a far passare un concetto importantissimo: che il test sierologico è fondamentale insieme alle analisi molecolari nel fare diagnostica su malattie virali» come il Covid-19.

In relazione alla ricerca campione su 150 mila cittadini, partita dopo l’individuazione di un test scelto con un bando di gara tra 72 partecipanti ed ufficializzato con il decreto legge del 25 aprile, la dottoressa Bracci Laudiero sottolinea che «la risposta di questo test sarà una valutazione a livello del territorio per cercare di capire le percentuali di italiani che hanno avuto la malattia, ossia quanto effettivamente il virus ha circolato nella popolazione». Ma questo è solo uno degli utilizzi possibili: «quello che vorrei sottolineare – continua – è che non è l'unico. E soprattutto a mio avviso non è più importante, il test sierologico serve anche per aiutare a fare diagnosi insieme al tampone. L'idea che i test diagnostici siano perfetti deve essere allontanata, perché anche il tampone di cui tanto si parla e si usa come “golden standard” per la diagnosi della malattia, in realtà dà tra il 30% e il 35% di falsi negativi».

Sarebbe quindi sbagliato, conclude la dottoressa, avere delle “remore ideologiche” sull’utilizzo dei test sierologici per la diagnosi, anche perché hanno dimostrato di avere una precisione che va ben oltre il 90%.


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