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L’oratorio educa alla vita, cominciando dal protocollo sanitario

Le linee guida per i centri estivi hanno lasciato aperte molte domande e sollevato alcuni timori legati alle responsabilità. Don Falabretti guida la Pastorale Giovanile della CEI: «Se il protocollo sanitario è una precondizione per poter entrare in oratorio e fare le attività di sempre, allora è solo una perdita di tempo rispetto all’attività educativa che abbiamo in mente. Ma in questo tempo, il protocollo sanitario deve diventare esso stesso un laboratorio educativo. L'oratorio d'altronde non è il luogo del tempo libero: è un luogo che educa alla vita»

di Sara De Carli

Summer camp e grest? Con l’inglese, i minivolley o l’oratorio? Sì, no, forse. Troppe responsabilità e troppi vincoli, dicono alcuni. Ma i ragazzi hanno bisogno, replicano altri. A cinque giorni dalla pubblicazione delle “Linee guida per la gestione in sicurezza di opportunità organizzate di socialità e gioco per bambini ed adolescenti nella fase 2 dell’emergenza COVID-19”, che dal 15 giugno consentono l’apertura dei centri estivi, la voglia di mettersi in gioco convive ancora con i timori. Don Michele Falabretti guida il Servizio nazionale per la Pastorale Giovanile della CEI. In tutta Italia, solitamente, in estate ci sono 2 milioni di bambini e i ragazzi che partecipano alle attività estive degli oratori, con 350mila adolescenti che gratuitamente si prendono cura di loro. E quest’anno?

Don Falabretti, che faranno gli oratori?
Intanto bisogna capire molto bene la paura e l’incertezza. Davanti a tanti morti è chiaro che farsi domande è un segno di responsabilità, non di paura. Poi però aggiungo che con la situazione un po’ alla volta si fanno i conti. Le linee guida governative stanno chiedendo attenzioni ai protocolli sanitari – ci torno fra un attimo – ma a parte questo non ci stanno chiedendo niente di più di quello che ci hanno sempre chiesto da quando come oratori ci siamo messi a interagire con l’amministrazione pubblica rispetto ai servizi educativi. Il senso di responsabilità deve andare insieme a un senso di dovere educativo, che la responsabilità poi la mette in conto. Nessuno potrà essere accusato di un contagio, però potremo essere accusati di non aver rispettato un protocollo sanitario. E allora io qui invito a fare un ragionamento: cos’è per noi il protocollo sanitario?

Come guardare al protocollo sanitario?
Se è una precondizione per poter entrare in oratorio e fare le attività di sempre, allora il protocollo sanitario è solo un fastidio, una perdita di tempo rispetto all’attività educativa che abbiamo in mente. Ma in questo tempo, il protocollo sanitario deve diventare esso stesso un laboratorio educativo. Mettere in fila i bambini, fargli lavare le mani, controllare la mascherina, chiedere di giocare col distanziamento… non sono una perdita di tempo per fare cose che non c’entrano con l’azione educativa: al contrario, la nostra azione educativa inizia lì. Invece di fare due laboratori al giorno ne faremo uno, l’altro sarà quello, per tutti. Se educo i bambini alla vita e al rispetto dell’altro sto già facendo la mia missione. Allora non sarà una fatica in più. Da tempo d'altronde ormai abbiamo abbandonato l’idea che l’oratorio sia il luogo del tempo libero: l’oratorio è un luogo educativo se educa alla vita, dentro cui c’è anche la fede. Non è che si parte dalla fede e dentro la fede c’è la vita: è il contrario, io educo alla vita e lì dentro scopro anche gli aspetti della fede.

Un’altra indicazione?
Una cosa che spero abbiamo capito, in questi mesi, è che le difficoltà si superano insieme. L’educazione deve essere un lavoro di rete, dove si fanno alleanze. Questo delle alleanze è un tema da riscoprire. Per l’estate si stanno chiamando a raccolta tutti, ma non dobbiamo lavorare insieme solo perché c’è un’emergenza, dobbiamo farlo sempre. È un’esigenza del mondo educativo, lavorare di più e meglio insieme.

Qui il progetto "Aperto per ferie" della CEI per la programmazione delle attività estive in collaborazione con i Comuni e i territori.


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