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Globalizzazione: il nemico perfetto

Quali narrazioni sono in grado di arginare lo spettro dell’insignificanza, la malattia dell’invisibilità, le menomazioni della disuguaglianza? Molti intellettuali discutono oggi d’immunità, comunità, stato di eccezione. Facciamo il punto

di Pietro Piro

C’è un nuovo nemico sulla bocca di tutti. Un nemico che accomuna il piccolo commerciante e la signora anziana in coda alle poste per ritirare la sua pensione minima. Il medico di paese e l’impiegato, la casalinga e l’autotrasportatore. Un nemico perfetto perché è ovunque e in nessun luogo, presente in ogni cosa, eppure, assente ed etereo. È il colpevole di tutto, con assoluta certezza. Senza di lui tutto sarebbe stato diverso. Avremmo avuto vite migliori, ricchezza, Stati forti e nessuna immigrazione. Questo nemico terribile ha un nome ben preciso: globalizzazione. Non ho mai sentito evocare tante volte questo spettro, quanto durante le interminabili discussione nelle file al supermercato durante la Fase 1.

Tutti erano d’accordo su un fatto: sé siamo qui in fila come neanche nei regimi socialisti (La coda di Vladimir Sorokin potrebbe essere una lettura adatta al periodo) è perché la globalizzazione ha causato la pandemia. Tutta colpa della globalizzazione. Il beato Alcuino di York fu il primo ad affermare: Vox populi, vox Dei (voce di popolo, voce di Dio) e credo che, in questo caso, sia opportuno approfondire questa diagnosi popolare e verificarne i limiti e le potenzialità. Soprattutto perché trova una forte eco in quel filone di pensiero che si definisce “sovranista”.

Ritorno dello Stato sovrano


Durante la Fase 1 ho letto due volumi che esprimono una visione ben precisa dell’uomo e del mondo. Il primo è: Coronavirus: fine della globalizzazione di Marco Gervasoni e Corrado Ocone. Secondo gli autori, quello che il coronavirus ha fatto crollare è l’ordine della globalizzazione e la sua ideologia, il globalismo (p. 6). Il Covid 19 è evidentemente il “figlio della globalizzazione” (p. 8) e sta facendo a brandelli l’ideologia globalista nelle sue fondamenta (p. 17).

Fondamenta che sono: L’idea che le frontiere siano obsolete; il libero commercio; la libertà di movimento; l’europeismo (per chi vive nel Vecchio continente). Idee inadeguate e pericolose che aumentano il rischio di contagi e indeboliscono la sovranità degli stati. Idee che sfociano in una ideologia liberista che indebolisce l’individuo e lo sradica dalla propria comunità (p. 21). A queste idee malsane gli autori oppongono il ritorno di un ethos conservatore (p. 23).

Comunità, radici e limiti, parole chiave di un etica conservatrice. Quest’etica è fortemente radicata nei luoghi e l’uomo la abita da protagonista. Lo Stato torna ad essere centrale perché è ancora l’unica istituzione in grado di proteggerci quando siamo in pericolo (p. 28). Il Covid 19 riposta alla ribalta la paura e la capacità, tutta politica, di dominarla e organizzarla (p. 32). I sovranisti hanno il compito di dimostrare di essere patrioti e nazional-conservatori partecipando a governi di salute pubblica e guidando le prossime tappe del cammino verso il rafforzamento dello Stato-nazione (p. 34).

Emerge chiaramente, dallo studio del volume, come l’uomo della globalizzazione si possa sentire debole e insicuro di fronte a poteri troppo grandi e ingestibili che, non solo gli impediscono le sicurezze economiche e sociali, ma mettono anche a repentaglio la sua vita. È un uomo impaurito, terrorizzato dal troppo grande, che sogna un passo indietro della Storia che lo riporti a una dimensione di radicamento che la globalizzazione gli ha rubato. Il sovranismo come reazione profonda a uno sradicamento, a una perdita di senso e di luogo, a una dimensione gestibile e comprensibile. Tuttavia è anche un movimento legittimo, comprensibile, opportuno, dove la globalizzazione ha significato solo miseria e desertificazione sociale.

Contro la folla


Il secondo volume, approfondisce e supera questa prospettiva. Parlo di Contro la folla. Il tempo degli uomini sovrani di Emenuele Ricucci. Se si riesce a superare l’impatto di uno stile guerreggiante, il libro rivela una preoccupazione umanissima e sincera per la qualità della vita degli uomini di questo pianeta malato. Per Ricucci il sovranismo è: «significa “protezione”. L’uomo odierno vuole essere tutelato dal mondo pazzo che lo esclude, che lo riforma fin nella sua più insita intimità, che lo utilizza fino a strizzarlo, che lo dissacra e non lo rispetta. Protezione da un mondo sempre meno a dimensione umana» (p. 113). Per Ricucci (e sono molti ormai di questo parere) l’uomo globale si sta rivelando un bluff di sofferenza (p. 116).

Somiglia molto di più all’ uomo-massa di orteghiana memoria che a un individuo capace di coltivarsi e di costruire cultura, un senza-volto che brucia la vita (p. 37). Il sovranismo di Ricucci è un percorso di riappropriazione dell’umano, un invito a una svolta antropologica: «Se il sovranismo vorrà essere un qualcosa di più caratterizzante di una rivolta al mondo postmoderno, dovrà organizzarsi in un apparato culturale e dovrà partire dai vizi e dalle virtù degli uomini per farlo. Ma non di alcuni traghettatori incomprensibili. Dovrà tradursi in un modello di vita, in un modello antropologico, per prepararsi a ricevere l’ostia santa della risurrezione anticonformista. Sovranismo culturale e Sovranismo antropologico. Dotti motti d’accademia per indicare ferrea volontà di vita nuova». (p. 119).


La destra che viene


Per storia personale, riferimenti culturali e vissuto, ritengo di essere molto lontano da pensatori come Gervasoni, Ocone, Ricucci. Sé loro appartengono a quella che un tempo si definiva Destra, io dovrei appartenere a quella sempre più sbiadita parte chiamata Sinistra. Eppure, sento che c’è qualcosa di profondo che mi accomuna al loro modo di ragionare. Soprattutto nella parte delle diagnosi. La globalizzazione per moltissimi ha rappresentato solo perdita d’identità, sradicamento, inquinamento, violenza, sopruso, paura. Come continuare a narrare le magnifiche sorti e progressive a chi non ha avuto pianto che lacrime? Come poter cantare le lodi del globale quando questo ha significato perdita del lavoro, emigrazione forzata, taglio dei legami familiari, povertà e istupidimento commerciale? La globalizzazione ha certamente degli aspetti positivi e innovativi. Tuttavia, oggi, con lucido distacco, occorre chiedersi con fermezza: per chi? Quanti i sommersi e quanti i salvati? Sono convinto che se adoperiamo dei criteri di valutazione utilizzando alcuni indicatori: fame, elettrificazione, malattie, tasso di natalità, ricchezza pro-capite, alfabetizzazione, il mondo non è stato mai così in buona salute come adesso (e la lettura di Steven Pinker dovrebbe averci convinto su questo punto). Tuttavia, occorre anche sapersi svincolare dalla fredda logica dei parametri e ascoltare un po’ di più l’uomo della strada per capire come tutto questo “benessere” incida sulla sua visione del mondo. Ecco, sé ci sforziamo di ascoltare, oggi molti si sentono terrorizzati in un mondo troppo grande e terribile. Anche sé hanno cibo a sufficienza e la terza media. È su queste paure che si basa il fondamento di ogni discorso populista, sovranista, reazionario.
Quali alternative propone la Sinistra a queste paure?

Quali narrazioni sono in grado di arginare lo spettro dell’insignificanza, la malattia dell’invisibilità, le menomazioni della disuguaglianza? Molti intellettuali discutono oggi d’immunità, comunità, stato di eccezione. Discorsi importanti che seguo con interesse. Tuttavia, per la maggior parte delle cosiddette persone comuni quello che manca oggi è il lavoro, la dignità, la piena cittadinanza. Credo che manchi oggi alla sinistra una capacità di accumunare, di fare fraternità tra gli oppressi. Proponendo obiettivi chiari, semplici, concreti. Obiettivi realizzabili. Manca una prospettiva di liberazione seria e credibile.

Il vuoto umano e sociale – che rischia di essere incolmabile – lasciato dal movimento operaio, dai partiti socialisti e comunisti, dal sindacato e dalla società civile, è stato colmato dalle destre che sono le uniche in grado di offrire oggi una risposta credibile alla paura. Non necessariamente scientifica o socialmente egualitaria. Ma credibile. Su questo terreno, i pensatori di destra stanno costruendo la base solida per una egemonia che durerà molti anni.


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